 MARINA DEGLI ALBIZZI,
figlia di Giorgio, Colonnello dei Corazzieri dello Zar, discendente da una antica
famiglia fiorentina trasferitasi in Russia, e di Marika Korolkoff originaria di
Penza nella Russia occidentale.
Dopo i primi moti della rivoluzione bolscevica, Giorgio lascia
San Pietroburgo (allora Pietrogrado)
ed il suo reggimento di Corazzieri
per raggiungere un reggimento della Cavalleria Circassa in Caucaso. Marika
decide di seguirlo
con la famiglia
composta dalla figlia Ina e dalle due nonne, Caterina Akinfoff e Lidia Obuchoff,
accompagnata da vari servitori, quattro donne di servizio e da
due circassi con i cavalli.
La
prima tappa è Batalpaschinsk dove nasce Marina il 16 luglio 1918.
Da qui di città in
città comincia l'odissea della famiglia
che per più di due
anni attraversa la Russia
al seguito
dell'Armata Bianca
fino in Crimea,
vendendo e facendosi derubare di tutto ciò che aveva portato con se.
Alla fine
Marika resta sola con le due figlie di 2 e 6 anni e Real, il suo cavallo arabo
dal mantello grigio
in groppa al quale giunge sul Mar Nero a
Novorossiysk
da dove s'imbarca sulla nave che la porterà a Costantinopoli e poi a Napoli. Alla partenza il fido Real,
che era stato venduto ad un ingegnere delle ferrovie, si getta in mare dietro al piroscafo ed è abbattuto con una fucilata.
Giorgio degli Albizzi alla fine del 1920 viene ucciso in una delle ultime battaglie
che vedrà il massacro di quello che rimaneva dell'Armata Bianca ad opera dei Rossi.
In Italia le tre profughe vengono accolte dai Principi Borghese (fu grazie al
loro interessamento che esse poterono partire dalla Crimea) i quali si assumono
l'onere di educare e mantenere Ina, la maggiore delle sorelle. La sorella minore
con sua madre (che morirà di tisi all'età di 33 anni) vengono invece accolte a Monaco di
Baviera dai cugini, duchi di Leuchtenberg, con i quali Marina resterà fino al definitivo
trasferimento in Italia nel 1938.
Fino al 1942 anno in cui si sposa, si manterrà esercitando la professione di
infermiera crocerossina in ospedali di Bologna e Napoli.
Donna di forte personalità e carisma, ha sempre
seguito il marito nelle sue missioni all'estero, allevando tre figli ed adempiendo al
suo ruolo di rappresentanza in modo esemplare. E' deceduta nel febbraio 2009 all'età di 91 anni. |
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Giorgio degli Albizzi |
Marika su Real nel 1915 |
Livia Borghese a Roma con Ina
7 anni e
Marina 3 anni |
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Marina
Crocerossina nel 1938
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Tutta la famiglia a Roma nel 1947 |
A Buenos Aires 1952 |
Nel 1942 è nominato viceconsole a Ginevra dove, per incarico ufficioso del
Duca di Spoleto, entra in contatto con gli
alleati per tentare di iniziare segrete trattative di armistizio.
Le condizioni richieste dagli inglesi portarono in lungo
la trattativa - della quale era al corrente anche il Principe Umberto - che
continuò praticamente senza risultati fino alla costituzione del governo
Badoglio.
Marieni
ebbe l'impressione che da parte britannica si
preferisse mandare a monte le trattative, perché l'Italia uscisse completamente
distrutta dalle ostilità e che la "resa senza condizioni" fosse inevitabile e già
decisa.
Poco dopo l'8 settembre 1943, per attriti nei confronti del console generale a
Ginevra ottiene di essere trasferito al
Consolato di Coira, nei Grigioni, rimasto senza reggente, perché il titolare aveva
aderito alla Repubblica di Salò.
Data la penuria di mano d'opera in Svizzera, conseguenza del richiamo degli
svizzeri
sotto le armi, tesse accordi con le autorità cantonali e centrali per poter dare
un lavoro retribuito ai rifugiati e profughi in fuga dall'Italia, tra i quali
molti militari fedeli al Re che non volevano essere arruolati dai nazifascisti, molti ebrei, ma anche valligiani in fuga dalla carestia e civili
noti per la loro attività antifascista che non potevano più nascondersi in
Patria.
Inizia in questo periodo la collaborazione con Allen Dulles
capo dell'OSS per la Svizzera e competente anche per l'Italia e la Germania. Con
lui ha frequenti contatti ed anche aspri confronti nel tentativo di dissuaderlo
dal progetto di distruggere le dighe della Valtellina - serbatoio di energia per
l'industria attorno a Milano - perchè quel sabotaggio avrebbe causato perdite
umane incalcolabili fra la
popolazione a valle delle dighe.
Convince infatti Dulles a ripiegare su operazioni meno
spettacolari, ma altrettanto efficaci miranti ad interrompere in più punti ed a
varie riprese gli elettrodotti, azioni che avrebbero dovuto essere portate a compimento dai partigiani della Valtellina,
ma che fortunatamente non furono più necessarie perchè nel frattempo era
intervenuta la resa dei tedeschi e la fine delle ostilità.
Dal 1945 rientrato al ministero
a Roma, viene chiamato ad occuparsi dell'Europa orientale comunista dall' allora
Consigliere d'Ambasciata Maurilio Coppini che dirigeva
l'Ufficio II degli Affari Politici. Quando Coppini viene destinato a Vienna, Marieni diventa reggente dell'ufficio.
E' in questa
funzione che deve accompagnare una delegazione di ufficiali sovietici dell' Ambasciata
di Mosca a Roma al campo di internamento di Lipari, ove erano raccolti i russi bianchi e cosacchi
che avevano combattuto nell'esercito di
Vlasov contro l'URSS e che i Sovietici volevano far rimpatriare. La missione
dei russi fu un insuccesso perchè nessuno si lasciò convincere dalle loro
lusinghe e così quei disgraziati scamparono al massacro che li
attendeva in patria, massacro che non fu risparmiato invece ai prigionieri degli inglesi
che essi rimpatriarono d'ufficio.
E' poi
trasferito alla Direzione Generale Affari Politici quale reggente dell'Ufficio
I, il più importante perché si occupava dell'Europa Occidentale e del Nord
America.
Nel giugno del 1944, dopo la
liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nomina il figlio Umberto II di Savoia
Luogotenente generale del Regno. Umberto ha prerogative di capo dello Stato
senza tuttavia possedere la dignità di re, che resta in capo a Vittorio Emanuele
III.
Il Luogotenente ha la piena fiducia degli Alleati grazie alla scelta di
mantenere la monarchia italiana su posizioni filo-occidentali.
Umberto firma il decreto legislativo luogotenenziale 151/1944, che stabilisce
che dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali
sarebbero state scelte dal popolo italiano, che a tal fine avrebbe eletto a
suffragio universale un'Assemblea Costituente per deliberare la nuova
costituzione dello Stato dando per la prima volta il voto alle donne. La
luogotenenza dura fino al 9 maggio 1946 cioè fino alle dimissioni di re Vittorio
Emanuele III.
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Un giorno dell'inverno 1946, chiamato dal Ministro Baldoni, Capo del Personale, gli viene offerto di andare al Quirinale quale funzionario di
collegamento col Ministero degli Esteri, in quanto colui che copriva
quell'incarico, in vista del prossimo referendum istituzionale
Monarchia/Repubblica, si
era fatto trasferire all'estero. Egli accetta.
Il suo incarico consiste nel sottoporre al Principe Umberto di Savoia, nominato
dal Re Luogotenente del regno, le numerose richieste
di udienza, di fissarne la data e di portargli, ed eventualmente
illustrargli i telegrammi ed i rapporti dall'estero che il Ministero riteneva di
fargli vedere. Ebbe così modo di notare che il Principe era un uomo capace, di
pronta e vivace intelligenza e di notevole cultura che si teneva molto bene
informato di tutto. Ma lo colpì e preoccupò la rassegnazione del Principe su ciò
che il futuro gli riservava; sembrava un vero Cireneo che portava la croce per
peccati non suoi. Malgrado ciò, a suo giudizio sarebbe stato un ottimo Capo dello Stato anche come
Presidente della Repubblica.
Rimane accanto al Re sino alla sua partenza da Ciampino con un aereo militare
per l'esilio di Lisbona.
Torna al Ministero, e qualche settimana dopo il Segretario Generale
Ambasciatore Franzoni gli comunica la nomina, nonostante il suo
grado ancora basso, a suo stretto collaboratore quale Capo Ufficio coordinamento
della Segreteria Generale.
Compito dell'Ufficio era quello di distribuire il lavoro, i telegrammi e i
rapporti che provenivano dall'estero, fra i vari uffici del Ministero secondo le
loro rispettive competenze e controllare che rispondessero tempestivamente alle
richieste delle Rappresentanze all'estero, secondo le istruzioni del Segretario
Generale. Attività molto interessante perché coinvolgeva tutto il lavoro della diplomazia
italiana. Erano quelli i tempi in cui in Europa, risollevata dagli
americani grazie al piano Marshall, cominciava il lavorio diplomatico per la cooperazione europea
ed un eventuale Mercato Comune presso l'Organizzazione per la cooperazione
economica europea a Parigi e per l'istituzione di organismi europei come la
Comunità del Carbone e dell'Acciaio, dell' Euratom ecc. che vedranno la luce
alcuni anni dopo.
Il 1948 è l'anno delle elezioni che furono una gran vittoria dell'anticomunismo.
Non fu solo il merito del Governo della ricostruzione e della Democrazia
Cristiana, ma soprattutto del
Prof. Gedda, Presidente dell'Azione Cattolica e
creatore dei Comitati civici che fecero una propaganda molto intelligente ed
assidua, sfruttando bene i timori diffusi fra gli elettori. A questa azione
collaborarono attivamente alcuni amici funzionari del Ministero degli Affari
Esteri tra di essi Marieni e il compagno di concorso Pasquale Prunas, Capo di
Gabinetto di Sforza.
Nel 1948
è destinato al Sud Africa, ma per una grave malattia di sua madre
deve rinunciare non potendo lasciarla sola e andare così lontano. Approfitta
invece del fatto che il Ministro Prina Ricotti lo richiede come Primo
Segretario alla Legazione di Atene con l'appoggio del Segretario Generale
Ambasciatore Zoppi. Erano tempi bui per quel Paese dilaniato dalla ribellione
comunista e dove Atene era praticamente assediata dalle bande armate di Marcos aiutate e
armate dall'URSS e particolarmente dalla Yugoslavia di Tito.
Qui lavora per liberare 12 nostri "criminali di guerra" condannati subito dopo
lo sbarco degli inglesi "ab irato" dai tribunali popolari della resistenza.
Tra di essi, certamente innocenti perché le nostre truppe a differenza di
quelle tedesche non avevano compiuto crimini di guerra né in Grecia né altrove,
c'era il Consigliere di Prefettura, Dr. Giovanni Ravalli, divenuto in seguito Prefetto di
Palermo e poi di Roma.
In quel periodo, primavera del 1949, muore ad Atene sua madre dopo una violenta
crisi cardiaca.
Nel 1950 viene trasferito come primo segretario all'ambasciata di Buenos
Aires retta da un ambasciatore non di carriera, ma di nomina politica, Giustino
Arpesani col quale, dopo le iniziali diffidenze si trova invece molto in
sintonia. Poco dopo è nominato Consigliere d'ambasciata. E' il periodo della
dittatura peronista
che riuscirà a modernizzare l'Argentina con lo sviluppo economico che comporta la costruzione di strade, l'avvio
dell'industria e con la diversificazione della produzione interna fino ad allora
prettamente agricola gestita da latifondisti che prediligevano la monocoltura.
Ha modo di assistere alla caduta e alla scomparsa in quegli anni della
egemonica influenza della Gran Bretagna in Argentina e in tutta l'America
latina e lavora alacremente perchè le industrie e le ditte italiane ottengano le
commesse perse dagli inglesi.
Nel 1954 viene inviato come Consigliere
d'ambasciata a Tokyo ma di fatto svolge per lunghi periodi le mansioni
di incaricato d'affari a causa della difficoltà del Ministero a nominare un
ambasciatore. Nessuno infatti gradiva restare così lontano dal centro del potere
di Roma per troppo tempo.
Il Giappone era allora dominato da
grande miseria provocata dalla guerra e dalla sconfitta. Sarà la guerra di Corea
a segnare l'inizio dello sviluppo economico ed a far risorgere il paese. Infatti
era stata riorganizzata l'industria che lavorava in pieno per fornire di tutto
il necessario l'esercito americano che combatteva per le Nazioni Unite e trovava
più conveniente rifornirsi in Giappone che far giungere tutti i materiali di cui
abbisognava dai lontani Stati Uniti.
Nel 1958 rientra a
Roma ed è nominato ministro plenipotenziario
e Vice Direttore Generale degli Affari
politici con la supervisione e responsabilità degli uffici che si
occupano dei Paesi di oltre Cortina, dei Paesi asiatici, dei
Paesi latino-americani, oltre ad un altro piccolo ufficio che si occupa delle
relazioni con la Santa Sede e con San Marino.
In quegli anni viene inviato per tre volte a New York all'ONU, per rinforzare la
Delegazione italiana in occasione delle Assemblee dell'Organizzazione col
compito di curare che le delegazioni latinoamericane e dei Paesi "emergenti"
votassero possibilmente a favore delle mozioni italiane, in occasione di
decisioni concernenti l'Alto Adige e le ex-Colonie.
Erano quelli i tempi che denotavano una grande attività del comunismo e si
vedevano i primi accenni dei tentativi di sovversione e di terrorismo. Vi era
evidente la mano di Mosca. Già allora i servizi informativi dei maggiori Paesi
della Nato avevano lanciato l'allarme, portato a conoscenza di tutte le
competenti autorità.
Nel 1960 il Ministro degli Esteri Segni, lo nomina Capo del
Servizio Stampa e Informazione del Ministero. Viene così a contatto con
moltissimi
giornalisti per alcuni dei quali serberà sempre grande stima. La sua funzione lo
porta a seguire il Ministro degli Esteri in tutti i suoi spostamenti e di
ricevere tutte le personalità politiche e diplomatiche che incontra l'On.
Antonio Segni per poi emettere i comunicati ufficiali relativi agli incontri.
Quando l'On.
Segni lascia il Ministero degli Esteri (maggio 1962) per passare al Quirinale,
Marieni è nominato Rappresentante Permanente al Consiglio d'Europa con titolo e
credenziali di Ambasciatore.
Il compito principale del Consiglio d'Europa consisteva allora nel costituire
il collegamento fra i sei Paesi fondatori della Comunità Europea (CEE o Mercato Comune) e i sette Paesi
dell'Area del libero scambio, detta
Efta, comprendente Gran Bretagna, Svezia,
Norvegia, Danimarca, Irlanda, Austria e Svizzera. Oltre che servire da trait-d'-union fra i due gruppi economici europei, il
Consiglio d'Europa doveva prendere l'iniziativa sulle convenzioni che portassero
alla crescente armonizzazione delle legislazioni dei vari Paesi senza le quali
non si sarebbe mai pervenuti ad una unificazione europea.
A fianco del Consiglio d'Europa era stata costituita la Corte dei diritti
dell'uomo alla quale l'Italia allora aveva aderito in un primo momento solo per
le controversie che nascevano fra gli Stati
.
A Strasburgo si riunisce oltre all'Assemblea
consultiva del Consiglio d'Europa anche semestralmente il Parlamento europeo e
pertanto ad ogni sessione dell'una e dell'altra istituzione è un via vai di
parlamentari e uomini politici che fanno spesso riferimento al rappresentante
permanente.
Durante il suo
mandato Marieni deve tra le altre cose gestire la difesa verso
il ricorso dell'Austria contro
l'Italia alla Corte dei Diritti dell'Uomo per i fatti di Fundres dove alcuni
giovinastri altoatesini avevano massacrato con sassi e bastoni una guardia di
finanza inerme che stava bevendo un caffè in un bar. Gli inquisiti risultati
colpevoli furono condannati a vari anni di carcere dai nostri Tribunali. L'Austria citò l'Italia davanti alla Corte dei Diritti dell'uomo
sostenendo che il giudizio non era stato equo e che la Corte era prevenuta.
Consiglio d'Europa, dopo essere
stato l'antesignano del Movimento di cooperazione europea, andava perdendo
vigore e importanza. Vigeva poi una teoria tra i diplomatici e cioè che le
Organizzazioni internazionali dopo dieci anni di esistenza entrassero
necessariamente in crisi! C'era, in questo, molto di vero almeno per quanto
riguardava il Consiglio d'Europa, l'Euratom (Comunità europea per l'energia
atomica) e per la CECA (Comunità per il carbone e l'acciaio) ormai praticamente
confluiti nella CEE e soprattutto per l'ONU di New York.
Per queste ragioni Marieni desidera
essere trasferito in una Ambasciata vera, dove poter rappresentare l'Italia
presso uno stato sovrano. Esprime le sue perplessità
e desideri al Ministro degli Esteri Fanfani durante una sua visita a Strasburgo
il quale dandogli ragione risponde che ci avrebbe pensato lui. Infatti dopo
qualche giorno il suo Capo di Gabinetto lo chiama per offrirgli l'ambasciata in
Finlandia che egli assume dal gennaio 1967.
La Finlandia era il Paese ideale per
conoscere meglio quanto avveniva nell'impero russo e nei dipendenti Paesi
comunisti. Infatti i Finlandesi per lunga consuetudine e per il contatto con il
temibile vicino, conoscevano e interpretavano alla perfezione il suo carattere e
le sue intenzioni. Per di più i finlandesi avevano dovuto cedere delle parti del loro
territorio e quindi le relative popolazioni erano diventate una fonte di utili
informazioni. Approfittando della vicinanza tra i due paesi l'Ambasciatore
Marieni ha così modo di compiere varie visite in URSS e viaggiare in alcuni
paesi dell'Est Europa e conseguentemente scambiare punti di vista e opinioni con
vari colleghi di oltrecortina e di rendersi conto di persona delle condizioni di
vita e delle aspirazioni di quelle popolazioni.
Durante il periodo passato a Helsinki
avvengono due solenni visite di Stato:
una del Presidente dell'URSS
Podgornyj, membro del triumvirato presieduto da
Breznev che allora governava quel Paese, e l'altra del Re e della Regina del
Belgio. E come al solito i ricevimenti ufficiali che accompagnano questi eventi
sono occasione di importanti incontri e colloqui privati più o meno informali
tra i membri delle rispettive delegazioni ed i funzionari delle ambasciate.
Il Presidente della Finlandia Uhro Kekkonen
è invitato a compiere una visita di Stato in Italia naturalmente organizzata
dall'Ambasciata di Helsinki. Gli incontri con le istituzioni e personalità
italiane, culminate con la visita della delegazione finnica al Presidente della
Repubblica Saragat, furono ritenuti da ambo le parti molto interessanti e
proficui.
Nella primavera del 1971 su invito del Governo finlandese
Presidente del Consiglio Moro viene a sua volta in visita ufficiale in Finlandia
dove ha colloqui ed incontri con personalità di alto livello dell'economia,
della finanza e della politica di quel paese.
Nel 1971 viene
offerta all'ambasciatore Marieni la sede di Algeri che egli accetta e raggiunge
nell'ottobre del 1971.
L'Algeria era uscita dalla guerra d'indipendenza con la
Francia da appena circa un decennio ed iniziava negli anni settanta a sviluppare lo
sfruttamento delle risorse petrolifere. Era l'epoca in cui tutti i paesi
cercavano di ottenere contratti di fornitura di gas e petrolio e l'ENI non
poteva lasciarsi precedere da troppi concorrenti. In quegli anni vengono anche
messe le basi per la costruzione del gasdotto che dall'Algeria e la Tunisia
attraverso il mediterraneo raggiungeva la Sicilia e che permise all'Italia nei
decenni successivi di avere un'alternativa all'approvvigionamento di gas russo.
All'
inizio del 1973 è promosso Ambasciatore, il massimo grado della
carriera diplomatica; fino ad allora ne aveva avuto solo l'incarico e le
funzioni.
Nel giugno si dimette dall'incarico e, rimasto ad Algeri per chiudere gli
affari correnti ed effettuare le consegne al suo successore, torna ad ottobre di
quell'anno a vita privata
nella sua villa di Bergamo.
A Bergamo prende parte attiva alla vita culturale e sociale della città.
Viene cooptato alla Comissaria dell'Accademia Carrara, assume la presidenza
della locale sezione della Soc. Dante Alighieri, fa parte del Rotary club
Bergamo Est, è presidente del Flora Garden club locale ecc.
Dopo pochi anni, nel 1976 inizia a raccogliere appunti sui suoi ricordi
in vista della stesura di un libro scritto sostanzialmente perchè i suoi
discendenti non dimentichino la storia più recente della famiglia e
contemporaneamente ricevano il suo testamento morale il cui senso traspare fin
dall'introduzione e dalle prime pagine del volume.
Quest'attività viene interrotta bruscamente nel 1977 a causa di un infarto
che lo limiterà per un paio d'anni. Recuperata
perfettamente la salute riprende la preparazione delle sue memorie fino ad
arrivare alla stesura della bozza definitiva. Tuttavia, prima a causa di
un'ischemia celebrale e poi di un tumore, non riesce ad avere la soddisfazione
di vedere il volume pubblicato. La sua opera portata in stampa a malattia già
avanzata, vedrà la luce proprio nei giorni della sua morte che avviene nella sua villa di Bergamo il 16 gennaio 1992.
_________
Nota 1
RICORDI DI UN
DIPLOMATICO - Dal Fascio allo sfascio
INTRODUZIONE (pag 5-12)
Questo volume non ha né pretese artistico - letterarie, né si prefigge di
fare la storia di un periodo che, bene o male, è già stato descritto molte
volte, né vuole essere un libro di memorie autobiografiche: troppi diari ed
opere simili sono stati scritti da diplomatici di vari Paesi e pochi hanno
suscitato un particolare interesse per la loro originalità. Basti pensare alle
memorie di tanti Ambasciatori inglesi ed americani succedutisi a Pietroburgo o a
Mosca, prima, durante e dopo la rivoluzione e le due guerre mondiali. Pochi han
saputo darci qualche previsione o il senso di quello che stava accadendo in
un'epoca tanto tribolata: solo un po' di cronaca e qualche pennellata di colore.
Unico scopo del presente scritto è quello di riportare le impressioni, i ricordi
di una famiglia ed in particolare di un uomo, appartenente ad una delle
generazioni più provate dalla storia del nostro Paese, il quale, nella sua veste
di diplomatico, ha potuto assistere a molti avvenimenti ed avvicinare alcuni dei
protagonisti di tale epoca sciagurata. L'intento prevalente è quello di dire la
"verità" in relazione ad avvenimenti direttamente vissuti o uditi raccontare da
qualche protagonista; lanciare una denuncia delle nostre condizioni morali e
politiche e cioè della corruzione dilagante che minaccia di sommergere l'Italia
e di assimilarla ad un Paese balcanico o sud-americano.
Forse è una presuntuosa illusione, ma potrebbe essere di qualche utilità
denunciare fatti e responsabilità che sono stati all'origine di molte nostre
tribolazioni.
***
L'attuale corruzione politica e amministrativa nel nostro Paese, ha avuto inizio
con la caduta della "Destra" piemontese e l'avvento della "Sinistra", in
particolare con l'invasione delle cariche e degli uffici dello Stato da parte di
elementi rappresentanti una piccolissima borghesia senza tradizioni, famelica ed
impreparata, in quanto tenuta per secoli lontana dalle cose pubbliche e dagli
alti impieghi e quindi bramosa di "rifarsi", travolgendo le intelaiature e le
regole morali vigenti. La maggior parte di questa nuova borghesia proveniva
dagli ex Stati Pontifici e dall'Italia centrale e meridionale. Della Destra
piemontese tutto si può dire, che era miope o troppo conservatrice, che non ha
forse sempre prodotto personalità di prima grandezza o geni politici, ma bisogna
tuttavia riconoscere che i suoi componenti potevano dirsi veri e leali servitori
dello Stato e della Patria.
Con la Sinistra e il conseguente allargamento dell'Amministrazione per
l'apertura a nuovi elementi, comincia purtroppo la corsa degli arrivisti e lo
spadroneggiare delle varie Massonerie che in Italia hanno avuto, quasi sempre,
l'aspetto di "mafia", "Cosa nostra", organizzazioni di mutuo soccorso, per
agevolare e proteggere i carrieristi e permettere speculazioni ed affari più o
meno puliti.
Una seconda e più forte ondata di corruzione arrivò al tempo della quasi
ventennale semi-dittatura di Giolitti. Tutte le persone "fidate" detenevano gli
alti posti della burocrazia. I
prefetti, veri satrapi delle provincie, erano onnipotenti,
manipolavano elezioni, compravano voti ecc.
Nell'Esercito la corruzione si affermava e perveniva a livelli preoccupanti,
basti pensare alle fortune del nefasto Badoglio e della sua cricca che
dipendevano in gran parte dalla Massoneria, dall'appoggio di Orlando ed dalla
tolleranza del Sovrano. Lo Stato Maggiore divenne feudo di gente ignorante e
servile al "Capo", professionalmente inetto e senza alcuna cultura, ma furbo e
ambizioso, falso e dittatoriale. Egli si attorniava di generali in parte
provenienti dalla bassa forza, promossi spesso e decorati non per meriti bellici
o professionali, che non esistevano, ma per i "bassi" servizi a lui resi. È noto
a tutti come Badoglio, che nella prima guerra mondiale avrebbe dovuto essere
deferito alla Corte Marziale per le sue gravissime colpe nel disastro di
Caporetto, ebbe l'abilità, attraverso le sue amicizie politiche e massoniche di
... farsi promuovere Vice Capo di Stato Maggiore! Uno dei più gravi errori del
Re e di Mussolini fu di non averlo sbarcato d'urgenza e così l'Italia e il suo
Esercito si avviarono ad altri e più gravi disastri!
Durante il Fascismo vi furono, certamente, vari episodi di corruzione, ma il
regime, deleterio per avere portato l'Italia alla sconfitta ed alla rovina con i
suoi imperdonabili errori e per l'alleanza con la Germania nazista, dal punto di
vista della Amministrazione corrente della cosa pubblica era, nel complesso,
molto meno corrotto dei precedenti governi, e soprattutto di quelli successivi e
comunque più onesto di quanto si vuol far credere oggi.
Gli "intrallazzi" di allora erano niente al confronto di quello che avvenne più
tardi! In molti dirigenti c'era ancora del senso del dovere, del patriottismo.
La prova ne sia che la famosa epurazione voluta dagli antifascisti saliti al
potere trovò ben poco riscontro di illeciti arricchimenti o "profitti di
regime".
Per quanto concerne Mussolini, ad esempio, dopo i suoi ventidue anni di dominio
assoluto e incontrastato dell'Italia, si trovò, in tutto, un podere di ... sette
ettari e la "Rocca delle Camminate", donatagli per sottoscrizione e ridotta
ormai ad un cumulo di macerie. Verità è che la sua vedova ha fatto per parecchio
tempo la fame.
La corruzione massima arriva in Italia con la nuova democrazia: al contrario di
ciò che dovrebbe essere, nel nostro Paese democrazia per i più è sinonimo di
licenza, di fare il proprio comodo. Tutta la gente rimasta lontana dalla cosa
pubblica per vari motivi, e non solo per ragioni politiche, si lancia
all'assalto della diligenza statale perché lo Stato è considerato la vacca da
mungere. Molti funzionari, allontanati dal regime per "insufficiente rendimento"
o per disonestà si fanno passare per provati antifascisti e tutti sono
reinseriti senza discriminazione e con promozioni: si è proceduto così alla
"ricostruzione delle carriere"!
De Gasperi, come Mussolini, non era un conoscitore di uomini, dal momento che
sosteneva che un uomo vale l'altro. Gravissimo errore! Quante serpi, povero
uomo, si è scaldato in seno! L'assalto alla cosa pubblica è divenuto da allora
generale. Quasi tutti i Ministri conservano attività lucrative inammissibili da
parte di amministratori del pubblico denaro. Persino Presidenti di Repubblica, o
i loro stretti parenti ed amici, si sono dati agli affari e alle speculazioni,
pur attaccando ferocemente e ad ogni pie sospinto... i "capitalisti e i
monopolisti" ed atteggiandosi ad uomini di sinistra!
Evviva sempre la forma
monarchica dello Stato!
Alcuni benemeriti scrittori e giornalisti denunciano di tanto in tanto lo
scempio che si fa del Paese; nessuno li ascolta; li si lascia dire: la libertà
di stampa non serve più a nulla! Alcuni dei maggiori giornali e riviste non
accettano di pubblicare critiche al sistema! I funzionari
delle pubbliche Amministrazioni sono stati moltiplicati per tre con l'assunzione
dei clienti dei vari Ministri, Sottosegretari e Deputati.
Ho potuto vedere di persona la segreteria particolare di un Sottosegretario agli
Affari Esteri composta di ben 52 impiegati, pagati dallo Stato, che si
occupavano soltanto di raccomandazioni e della corrispondenza con gli elettori e
i clienti dell'onorevole!
Si arriva così ai deficit cronici dei bilanci pubblici oberati da tanto
personale assolutamente improduttivo.
Altro formidabile "carrozzone", come noto, è quello degli Enti parastatali e
delle partecipazioni statali. Tutti i posti direttivi e gli impieghi piccoli e
grandi sono equamente suddivisi fra i Partiti al Governo, senza tenere nel
minimo conto il rendimento e le capacità e le qualificazioni delle persone. Il
sottobosco si sviluppa e avviluppa l'Italia. Le Società a partecipazione statale
sono pessimamente amministrate e cronicamente passive e organizzate in modo
preistorico. Ma che importa?
Il Ministero degli Esteri, l'organo che meglio conosco per averci passato quasi
40 anni, era riuscito per molto tempo a salvarsi: la compagine e la serietà
della "Carriera", persino durante il Fascismo e la guerra, avevano in gran parte
resistito alla bufera. Molti diplomatici italiani non erano forse
brillantissimi, ma nessuno poteva mettere in dubbio la loro onestà, il loro
senso del dovere e la loro devozione alla Patria.
Ora invece ...
I funzionari oggi
fanno rapida carriera solo se hanno poca dignità e nessuna iniziativa, se sono
legati a qualche uomo politico o ad un Partito di massa dominante e soprattutto
se dimostrano sempre obbedienza cieca e devozione servile al "Capo" del
momento. La preparazione e le capacità professionali non contano: bisogna
essere... furbi e "portaborse" di qualche potente. Gli onesti, quelli che
mantengono un certo riserbo e non si iscrivono ai Partiti, ritenendo che ciò sia
contrario alla loro funzione di Rappresentanti di tutto il Paese e si
preoccupano solo del servizio e del buon andamento dell'Amministrazione, sono
derisi o trascurati.
Guai poi se uno in base alla sua correttezza e disinteresse viene definito dai
suoi colleghi "un signore". Tale qualifica equivale a "poco capace", in quanto
da noi si confonde intelligenza e capacità con carrierismo e arrivismo. Peggio
ancora se ha la disgrazia di scoprire qualche "intrallazzo" e disonesta
speculazione e non tace! L'individuo è perduto! Quanto sopra avviene purtroppo,
e ancora in maggior misura, in tutte le altre carriere ministeriali.
Rimane per ora in Italia una sola istituzione ancora in gran parte sana, anche
se comincia a verificarsi qualche infiltrazione ed infezione come alcuni casi
recenti, e poco edificanti, hanno dimostrato. Essa è l'Arma dei Carabinieri.
Nelle mani degli uomini che fanno parte di questo organismo sarà il destino,
l'avvenire, la salvezza d'Italia. Esso deve essere ostinatamente incorruttibile
e colpire il più duramente possibile, e senza pietà, la corruzione e la
disonestà da qualunque parte esse vengano. Se farà così salverà la Patria, se
sarà troppo duttile e tollerante contribuirà alla sua perdita e distruzione.
I politicanti dei vari
Partiti paventano ora questo baluardo che resiste alle loro malefatte e pertanto
stanno tentando in tutti i modi di introdurre delle "riforme".
L'opinione pubblica italiana e soprattutto il popolo minuto è disgustato da
quello che vede; non crede più nelle istituzioni e nei partiti; comincia
purtroppo a disprezzare Parlamento e Governo perché pieni di incompetenti, di
affaristi, di cialtroni e di parolai. Sono gli uomini di partito che vilipendono
e diffamano le istituzioni democratiche preparando il caos. Si arriva al
paradosso che alcune persone moderate di una certa cultura ed anche oneste si
sono messe a votare ... il Comunismo. È una reazione di protesta stupida e
illusoria.
Una parte della colpa di tutto questo deve essere attribuita, purtroppo, anche
al Vaticano ed ai suoi errori politici, oltre che ai cattolici italiani.
Si badi bene: chi scrive è un cattolico convinto e praticante, non ateo né
anticlericale. Cattolico per convinzione, per tradizione familiare, per
educazione (12 anni di studi presso i Gesuiti) e per sentimento, che crede nei
dogmi e nella infallibilità del Pontefice Romano per quanto riguarda Fede e
Morale, ma non per quanto riguarda la politica! Quanti guai per l'Italia e
quante perdite per la Fede hanno arrecato la mediocrità di alcuni Pontefici e i
gravi errori della Curia Romana!
Il più grave e ripetuto di questi errori fu quello di chiamare attraverso i
secoli in Italia dei Barbari per cacciarne altri o per impedire la
riunificazione politica della Penisola. Quante volte si è ripetuto questo giuoco
da Carlomagno a Napoleone III !
Altro errore fu quello di avversare il Risorgimento e il movimento ineluttabile
e necessario dell'Unificazione d'Italia e ancor più di perseguitarne con armi
spirituali gli artefici ed i fautori! L'anticlericalismo inveterato e il trionfo
della Massoneria sono in parte conseguenza di tali errori!
La Curia Romana avrebbe dovuto invece benedire, nel suo stesso interesse e in
quello della Cristianità, i creatori e difensori dell'unità nazionale italiana
perché essi hanno liberato la Chiesa dal pesante fardello del potere temporale
causa di eventi nefasti per il suo prestigio. È noto che il potere temporale ha
spesso deviato la Chiesa dal perseguire i vari scopi per cui è stata creata e
cioè la predicazione del Vangelo di Cristo.
Fatto si è che solo dopo il 1870 si assiste allo sviluppo continuo e organico
delle Missioni cattoliche nel mondo — che prima erano ben poca cosa — ed alla
riconquista del prestigio e dell'influenza morale della Chiesa. Quanti secoli
hanno sprecato i Papi a perseguire scopi mondani e terreni invece di seguire
solo i comandamenti del Vangelo!
Senza potere temporale non ci sarebbe stato forse nemmeno lo scisma protestante.
Ma a Roma si comincia solo ora ad ammetterlo!
Il terzo grande errore, per quanto concerne l'Italia, fu la politica del "non
expedit" dopo la presa di Roma, che ha impedito ai cattolici di partecipare alla
vita politica del Paese unificato. Conseguenza tristissima ne fu — al contrario
di quanto avviene negli altri Paesi d'Europa e del mondo ove i veri Cristiani
sono il più sicuro sostegno dello Stato ed i migliori cittadini — la
trasformazione dei Cattolici italiani in ribelli (in parte, ancora oggi, alcuni
dei più sprovveduti considerano lo Stato un nemico da abbattere mentre si dicono
sostenitori delle regioni e di grandi federazioni supernazionali).
La politica del "non expedit" ha impedito la creazione di una classe dirigente
politica sana e capace, centrata appunto sui cattolici che nel nostro Paese sono
la grande maggioranza, trascurandone, tra l'altro, l'educazione civica e la
fierezza nazionale.
Sono stati arrecati danni irreparabili alla Fede, alienando da essa milioni di
probi cittadini e buoni patrioti. Il Vaticano si metteva nelle mani della
Francia repubblicana e laica pur di avversare Casa Savoia ... usurpatrice!
Uno degli errori più recenti, anch'esso grave per le conseguenze che provoca, se
pure in minor grado, è stato quello di permettere che un partito politico,
coacervo di interessi privati, alle volte anche poco confessabili, mosaico di
tendenze le più diverse e contrastanti, si chiamasse "cristiano". A parte il
fatto che il cristianesimo non può essere monopolizzato da un singolo partito
politico, cristiano è un nome troppo angusto per servire da etichetta ad
organizzazioni molto terrene e coprire spesso merce di contrabbando!
La politica è purtroppo sovente la meno pulita delle attività umane, perché
allora sfruttare il sentimento e il nome di cristiano per fornire sgabello e
scala, "instrumentum regni" ad ambizioni sfrenate e ad appetiti di dominio?
Non si è ancora compreso che le masse sprovvedute fanno risalire alla Chiesa e
per sino alla religione le colpe e gli errori o le mancanze degli uomini di
questo partito che — oltre tutto — di cristiano ha spesso molto poco, per lo più
solo una vernice esteriore di baciapilismo e di genuflessioni!
Comunque la somma di tutti questi errori ha fatto sì che i cattolici italiani
non abbiano potuto contribuire efficacemente alla costituzione di una classe
dirigente degna di questo nome, se si escludono i pochissimi cattolici liberali
del Nord per lo più provenienti da famiglie dell'alta borghesia e della
aristocrazia e perciò "ipso fatto" considerati, anche se non lo erano, come dei
tradizionalisti e dei conservatori.
Anche ai cattolici risale così, in parte, la responsabilità della mancata
educazione civica e dell'espandersi della corruzione. Anche da parte di alcuni
di essi dopo la prima guerra mondiale con il "Partito popolare" e dopo la
seconda con la Democrazia vi è stato l'assalto alla diligenza del potere. Si è
trattato per lo più dell'elemento cattolico deteriore e cioè impreparato e ultra
provinciale, costituito da una piccolissima borghesia, ambiziosissima e
famelica, di azzeccagarbugli di paese e di intellettualoidi di provincia: i così
detti professorini che consideravano l'Amministrazione statale come una
dispensatrice di laute prebende e di facili canonicati, la Nazione come una
vacca da mungere e lo Stato unitario come un nemico la cui autorità doveva
essere sostituita da quella delle Regioni per poter creare nuovi posti e nuovi
piazzamenti di sottobosco e centri di potere.
Questi arrivisti hanno voluto e dovuto tutto rivoluzionare e trasformare o
modificare, spesso senza alcuna necessità, spendendo a man salva, emettendo
nuove leggi a getto continuo e creando il caos solo per cancellare il passato,
spesso glorioso, le cui tracce davano loro fastidio.
Il presente scritto vuole seguire la traccia del progressivo espandersi della
corruzione in Italia, rilevata dall'esperienza di chi appartiene ad una
disgraziata generazione italiana la quale non ha fatto che assistere — dopo il
primo decennio di questo secolo — a guerre continue, a rivoluzioni e a
convulsioni che non costituiscono il clima più adatto per una vita ordinata e
per un'onesta amministrazione! Basti pensare che lo scrivente è vissuto
nell'epoca di due conflagrazioni mondiali, di quattro guerre minori (quella
Italo-turca - riconquista della Libia - guerra etiopica - guerra di Spagna)
senza contare la rivoluzione fascista, la caduta della Monarchia e la
restaurazione ... democratica!
Quindi non si meravigli il raro lettore di non trovarvi uno sviluppo logico o
citazioni di testi e di fonti e un ordine cronologico. Si procede invece un po'
di palo in frasca, l'unico filo conduttore è dato dall'analogia di argomento,
dallo scopo di rilevare e quindi denunciare il malcostume politico o
amministrativo che sia.
Segue il primo capitolo dal titolo La Famiglia che riporta brevemente
la storia dei vari antenati che in questo sito web è stata più ampiamente
documentata e pertanto quel capitolo viene omesso.
Nelle seguenti pagine web sono riportati integralmente gli altri capitoli
del volume e, allo scopo di chiarire ed ampliare la conoscenza degli
avvenimenti e dei personaggi citati, sono stati aggiunti links a siti web e
fotografie, molte provenienti dall'archivio personale.
1)
La Carriera Diplomatica: L'Esordio
2)
Il Patto d'acciaio e lo scoppio della guerra
3)
Contatti per negoziati di pace
4)
Il dopo-guerra
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