Entrai nella carriera diplomatica, come gli altri miei colleghi di allora,
con il proposito di servire la Patria come un soldato: era d'altronde
l'intenzione della maggior parte dei giovani di quel tempo che nutrivano ancora
nel cuore un ideale. È quello, anche, che ci invitò a fare lo stesso Ministro
degli Esteri Mussolini nel breve e semplice discorso che ci rivolse quando gli
fummo presentati e giurammo nelle sue mani con la vecchia formula dei tempi di
Carlo Alberto. A questo giuramento di fedeltà al Re quasi tutti tennero fede —
alcuni in modo eroico — versando il loro sangue dopo l'8 settembre 1943.
Lo spirito e l'ambizione che ci muovevano erano quelli dei "grands commis"
come si diceva in Francia una volta, dei veri servitori dello Stato.
Uno spirito
e un'ambizione alquanto differenti da quello dei giovani funzionari di oggi che
fin dalle prime ore di servizio non pensano che a sfruttare gli appoggi politici
e i nepotismi per essere rapidamente promossi, senza alcun merito e senza alcuna
profonda esperienza, ai gradi elevati, facendo di gomito e pestando i piedi agli
altri senza alcun pudore. Per noi l'esempio da imitare era quello di Costantino Nigra, Segretario di Cavour e poi suo Ambasciatore presso Napoleone III.
Nel
giugno del 1935 entrai così a Palazzo Chigi destinato provvisoriamente al
"Cerimoniale". Per quanto non si trattasse di un posto particolarmente ambito,
ne fui contento perché vi trovai delle persone simpaticissime e piene di spirito
che lavoravano, ma sempre "in laetitia": l'Ambasciatore Carlo Senni e i
segretari di Legazione Filippo Caffarelli, Giuliano Capranica del Grillo e Piero
Cittadini.
Si lavorava molto perché eravamo solo quattro funzionari laddove ora ce ne sono
decine, ma si lavorava in un ambiente sereno e da buoni amici, alternando al
lavoro momenti di svago con ingenui scherzi e sonore risate. Mi trovai bene
anche perché nessuno dei miei diretti superiori era un fervente fascista, anzi
...!
Capranica, a causa delle sue barzellette e citazioni scherzose, ebbe una grana
non indifferente. Lo denunziarono perché al Ristorante "Fagiano" lo avevano
sentito ... "sfottere Starace" e dire che era una "testa di ...!"
Mussolini era allora Ministro degli Esteri e Suvich, persona saggia e moderata
che da buon triestino non amava i tedeschi, era il Sottosegretario e
praticamente il capo di Palazzo Chigi. Capranica fu chiamato da Suvich che gli
diede un "cicchetto" e gli domandò cosa avesse detto esattamente. Egli rispose
né più né meno ripetendo, con molto gusto, la frase incriminata! Suvich,
nonostante fosse una persona molto austera e compassata, non potè fare a meno di
ridere e tutto finì lì!
Come si vede, la dittatura non era sempre tanto feroce come vogliono far
credere... gli antifascisti di oggi, i fuoriusciti di ieri!
Era scoppiata, nell'autunno, la
guerra d'Etiopia con l'incidente più o meno
manipolato di
Ual-Ual e io andai a fare il servizio militare come volontario,
frequentando un corso accelerato per allievi ufficiali presso l'81° Fanteria a
Roma. La mattina stavo in caserma e nel pomeriggio lavoravo, in uniforme, al
Ministero.
Ebbi così modo di avere le prime disastrose impressioni della impreparazione del
nostro Esercito dotato di materiale vecchissimo (il migliore dei cannoni era lo
SKODA preda bellica della guerra 1915-18!) Molti ufficiali superiori,
provenienti dalla bassa forza, erano professionalmente ignoranti e senza alcuna
cultura generale, anche se alcuni con un brillante passato di guerra. Questo era
l'Esercito da vent'anni praticamente nelle mani di Badoglio il quale l'aveva
ridotto a sua immagine e somiglianza!
Al cerimoniale mi occupavo dell'organizzazione di viaggi di Personalità
straniere in visita in Italia — dei privilegi dei diplomatici — e del ristretto
bilancio dell'ufficio per cui ebbi anche da liquidare le fatture delle
manifestazioni degli anni precedenti, tra le quali la Conferenza di Stresa fra
le quattro Potenze europee e il Convegno di Strà, primo incontro — andato molto
male — fra Hitler e Mussolini.
Quando i due dittatori decisero di incontrarsi per la prima volta, Mussolini
ordinò che fosse allestita allo scopo la villa di Strà sulla pianura veneta, di
proprietà dello Stato. La villa era in pessime condizioni e si dovette nel giro
di un mese, restaurarla completamente
e adattarla all'avvenimento. Si era
dovuto, tra l'altro, rifare alcuni solai pericolanti, molti pavimenti, tutto il
giardino, piantando addirittura alberi di alto fusto, creare sul tetto un grande
serbatoio d'acqua e poi impianti igienici, cucine moderne, servizi elettrici e
telefonici e ammobiliare il tutto con quadri, tappeti, letti, etc.
Per arrivare in tempo si fecero lavorare gli operai, giorno e notte, in tre
turni di otto ore l'uno alla luce di enormi riflettori. Il risultato fu
certamente molto bello ed imponente, ma non si era pensato che in quella
stagione c'erano molte zanzare e tutte quelle del Veneto attirate dalla grande
illuminazione notturna si erano... date convegno a Strà e allora... non era
stato ancora inventato il D.D.T.!
Risultato: i due dittatori non poterono chiudere occhio e si alzarono di pessimo
umore e con la faccia rossa e gonfia per le morsicature delle zanzare
...antifasciste che avevano sabotato l'incontro!...
Mussolini e Hitler non si accordarono in nulla e si lasciarono molto
freddamente. Tale freddezza durò a lungo. E sì che Mussolini era, allora,
considerato "il maestro" della rivoluzione, anche da Hitler che lo aveva imitato
ed era stato molto aiutato nei primi tempi con aiuti finanziari che gli venivano
recapitati dal Maggiore Renzetti, Console generale a Berlino e amico personale
di Göring.
Ci volle comunque molto tempo, la guerra d'Etiopia e le sanzioni, perché i due
Capi si ritrovassero.
Altra grossa spesa che il cerimoniale degli Esteri dovette affrontare fu
quella della Conferenza di Stresa dell'aprile 1935. In quella occasione furono
prese in prestito dal proprietario Principe Borromeo, le Isole Borromee e la
villa fu sottoposta a completo rinnovamento persino varando tra l'altro, nel
lago, cavi telefonici ed elettrici e alcuni "M.A.S." della Marina per assicurare
il trasporto.
Stresa, per il "Patto a quattro" ideato da Mussolini e firmato a Roma nel 1935,
dovrebbe passare alla Storia come una buona occasione perduta da Francia e Gran
Bretagna per arrivare a un'intesa e prevenire i colpi di testa dei due
dittatori. Tanto più che la Conferenza di Stresa faceva seguito al tentativo di
Hitler nel 1934 di annettere l'Austria, dopo aver fatto assassinare il piccolo
dittatore cattolico Dollfuss; tentativo impedito, per il momento, da Mussolini
che inviò alcune Divisioni alla frontiera con l'Austria.
Engelbert Dollfuss:
statista austriaco (Texing, Bassa Austria,
1892-Vienna 1934). Laureato in legge ed economia, dirigente di organizzazioni
contadine ed esponente del Partito cristiano-sociale, divenne ministro
dell'Agricoltura nel 1931 e cancelliere nel 1932. Sfidando i nazionalisti,
bloccò le tendenze all'Anschluss ma, a partire dal marzo 1933, instaurò
un regime sempre più autoritario, le cui tappe cruciali furono l'intesa con
l'Italia di Mussolini (Convegno di Riccione, agosto 1933), e l'adozione (maggio
1934) di una Costituzione di tipo corporativo e di ispirazione clericale, che
sanzionò il monopolio politico del Fronte patriottico costituito nel 1933.
Indebolito dalle crescenti pressioni tedesche e degli ammiratori interni di
Hitler, Dollfuss tentò di resistere ma finì assassinato il 25 luglio 34 nella
stessa cancelleria, per mano di un commando nazista |
Una vera intesa a Stresa fra i tre Paesi occidentali, cui in un secondo
tempo avrebbe potuto aderire la nuova Germania di Hitler - secondo i principi
del "Patto a quattro" firmato due anni prima a Roma ' - sarebbe stata benefica
per l'avvenire dell'Europa. Ma intesa non ci fu: il machiavellismo
anglo-francese non aveva affatto sostenuto Mussolini nella bega con Hitler per
l'assassinio di
Dollfuss, ben contente le due Potenze che i due dittatori
si scontrassero. Fu, però, un machiavellismo di corta veduta. Infatti, come è
noto, quando si presentò più gravemente il pericolo di Anschluss nel 1938,
Mussolini che era stato lasciato solo dai franco-inglesi, dovette accordarsi con
Hitler il quale potè occupare tranquillamente l'Austria.
Infatti sarebbe stato
impossibile per l'Italia opporsi da sola alla Germania già modernamente armata.
Bisogna dire che l'unico che aveva capito l'importanza di un eventuale accordo
era stato il francese Laval il quale aveva dimostrato maggiore buona volontà,
sabotato tuttavia dal "Quai d'Orsay" sempre intransigente.
Mussolini voleva in primo luogo assidersi fra le Grandi Potenze e costruire a
modo suo una specie di Unione europea "ante litteram", cioè un'Europa che
ruotasse intorno alle quattro Potenze solidali. L'idea, dopotutto, non era
malvagia ma i tempi non erano maturi e le velleità dei due Paesi occidentali,
Francia e Gran Bretagna, soprattutto della prima, erano ancora eccessive: essi
volevano tenere indefinitamente in condizioni di subordinazione Italia e
Germania.
Questo il grande errore; non avevano capito nulla di quello che bolliva in
pentola e delle aspirazioni dei due Paesi di più recente unificazione politica.
I due Paesi occidentali persero così l'occasione di
legare a loro l'Italia di Mussolini il quale voleva ormai ottenere mano libera
in Etiopia alla cui conquista già pensava.
Le ambizioni rnussoliniane spinsero il fascismo sempre più fra le braccia
di Hitler che non domandava altro perché non voleva rimanere isolato. Ma
Mussolini, incapace di negoziazione, non aveva fatto alcuna specifica richiesta
e Laval aveva istintivamente compreso che bisognava fare qualche concessione e
dare una soddisfazione all'Italia che era uscita scontenta — dopo tanti
sacrifici — dalla guerra mondiale; ma non fu ascoltato dalla Francia. Trovò
tuttavia modo di mantenere contatti più amichevoli con il dittatore italiano e
di fargli comprendere il proprio pensiero non ostile alle aspirazioni della
penisola.
pag 41.....omissis..... pag 43
Il lavoro al Cerimoniale era intenso e anche di un certo
interesse perché mi dava modo di conoscere e di parlare con molti diplomatici
stranieri accreditati a Roma, sia presso la Real Corte che la Santa Sede dai
quali, tra l'altro, ero spessissimo invitato; ma ne avevo quasi abbastanza e
pertanto cercavo di cambiare ufficio.
Fortuna volle che il Vice Capo di Gabinetto del Ministro Vidau con il cui
fratello, noto medico, andavo spesso a caccia nelle Paludi Pontine, mi chiamasse
al Gabinetto del Ministro a sostituire Blasco d'Ajeta il quale, sentito prossimo
l'avvento di Galeazzo Ciano come Ministro degli Esteri aveva, con l'opportunismo
che lo distingueva, piantato in asso il suo Capo
Ambasciatore Aloisi,
Capo di Gabinetto oltre che Capo della Delegazione Italiana alla S.d.Na, a
Ginevra. Quindi il posto, rimasto vacante, toccò a me.
La guerra d'Etiopia (pag 44)
Si stava intanto svolgendo la guerra d'Etiopia. Potei seguirla attentamente e
venire a conoscenza di molti retroscena sia perché al Ministero avevo
 |
Il
Gen.Fidenzio Dall'Ora
|
modo di
conoscerne le varie fasi e gli sviluppi — dai telegrammi in arrivo e in partenza
— sia perché, contemporaneamente, compivo il mio servizio militare all'81°
Reggimento Fanteria come allievo ufficiale e poi al I Reggimento Granatieri come
sottotenente. Venivo così a conoscenza di ciò che si pensava negli ambienti
militari e, soprattutto, vedevo come reagiva il semplice cittadino, richiamato
alle armi, di fronte all'opportunità o meno di questa guerra.
Ma, soprattutto, erano i contatti con il Generale Giuseppe Dall'Ora, Direttore
generale del Genio al Ministero della Guerra, ufficiale intelligentissimo, molto
colto e professionalmente assai preparato collaboratore molto capace ed amico di
mio Padre. Questi contatti mi permettevano di sapere come andavano le cose,
tanto più che il fratello di Dall'Ora, Fidenzio, Generale di Corpo
d'Armata, era l'Intendente Generale del Corpo di spedizione in Etiopia, e il
vero vincitore di quella guerra coloniale da lui preparata in breve tempo in
modo perfetto dal punto di vista logistico, dei trasporti, dei rifornimenti e
con la creazione di una imponente rete stradale. Era forse la prima volta nella
storia che i soldati italiani combattevano da "signori"!
pag 44.....omissis..... pag 54
 |
Filippo Anfuso |
Con altri colleghi mi occupavo del lavoro di segreteria per il Ministro e per il
Capo del Governo e cioè sbrigavamo e smistavamo tutta la corrispondenza che per
loro arrivava dall'estero e per quanto riguardava il Ministro anche di quella
che veniva dall'interno. Il Capo della Segreteria fu in un primo tempo
Anfuso
e poi il Console Generale Natali. Funzionavo anche da segretario particolare di
Anfuso quando egli divenne Capo di Gabinetto e dovevo occuparmi delle udienze
del Ministro e del Capo di Gabinetto e di quelle di Mussolini richieste dai
nostri Ambasciatori e da quelli stranieri accreditati a Roma. Ebbi così modo di
conoscere una quantità di personaggi poiché dovevo intrattenerli quando, per
vari motivi, le udienze subivano qualche ritardo. Era un lavoro complesso e
abbastanza interessante che non ci lasciava tregua.
In quel periodo di servizio a Roma, che durò fino al 1942, feci vari viaggi
all'estero per ragioni di servizio: il primo fu a Parigi e a Londra.
pag 54.....omissis.....pag 62
Rientrato Ciano dalla sua partecipazione alla guerra di Etiopia, si strinsero
sempre più i legami e addirittura l'alleanza con l'Austria e l'Ungheria che non
avevano partecipato alle sanzioni contro l'Italia. Si era formata, così,
un'alleanza tripartita che doveva sorvegliare e tenere in scacco la piccola
intesa creata e sovvenzionata dalla Francia con funzioni antirevisionistiche e
antiitaliane e che era capeggiata da quell'uomo di corte vedute e molto
pretenzioso che fu Dened.
La piccola, triplice alleanza — che noi a Palazzo Chigi chiamavamo gli "ospedali
riuniti" — era di per sé una buona idea, una specie di restaurazione in tono
minore delle funzioni dell'Impero Asburgico che i "democratici" massoni avevano
tanto stupidamente voluto distruggere con le conseguenze che ben conosciamo e
doveva, nelle intenzioni italiane, servire da cuscinetto fra l'Italia e gli
invadenti tedeschi e slavi. Il guaio era che dipendeva solo da noi per
rifornimenti e armamenti ed il suo peso specifico era molto modesto. Si
intensificarono, ad ogni modo, i contatti e le visite fra Roma, Budapest e
Vienna.
A vari di questi viaggi presi parte anch'io ed erano dapprima interessanti e
anche divertenti perché gli ungheresi a mio parere
sono, o meglio erano, il
popolo più simpatico d'Europa insieme ai polacchi e agli irlandesi, anche se
tutti un poco matti, in un senso però molto simpatico, direi da signori
ottocenteschi. Eravamo invitati nelle grandi tenute dell'aristocrazia ungherese.
A caccia essi erano veramente impareggiabili, mentre tutti i nostri colleghi che
si dicevano "cacciatori" facevano ben magra figura, tranne Vanni Revedin che era
un grande ed esperto tiratore, il Console Gen. Natali, Capo della Segreteria di
Ciano e, più modestamente, il sottoscritto. Ospite perfetto era
l'Ammiraglio Horty, reggente della Corona di S. Stefano, bel soldato e perfetto signore oltre
che sportivo e tiratore infallibile (tirava con un fucile a un colpo, calibro
20, senza sbagliare mai i tiri più difficili ai quali unicamente si dedicava).
Horty e il suo aiutante di campo, altro ufficiale della Marina austroungarica,
ritenevano di parlare un perfetto italiano, invece parlavano un veneto molto
divertente. Questa era stata la lingua ufficiale della Marina imperiale i cui
equipaggi erano quasi esclusivamente veneti, triestini, istriani e dalmati.
Cliccare sulle foto piccole per ingrandire
Il reggente Ammiraglio Horty
Invito del Ministro degli Esteri Ungheresa alla cena in onore di Ciano
Invito del Reggente del Regno Horty al pranzo a palazzo reale
Invito del reggente Horty alla caccia al cinghiale
I cacciatori ed il "paniere di caccia"
Il reggente Ammiraglio Horty
Nelle campagne ungheresi, la famosa bella "puzta", vigevano ancora sistemi quasi
medioevali. I contadini erano però tutti molto ben
nutriti e ben vestiti, difettavano solo di denaro liquido. Ci accorgemmo che le
laute mance che davamo ai guardiacaccia erano molto gradite. Il Paese abbondava
di ogni sorta di ottime vettovaglie anche se era a corto di contanti e il tenore
di alimentazione era elevato. Si vedevano gli effetti della seria
amministrazione asburgica che avrebbe dovuto costituire un Impero, un embrione
all'inizio dell'unificazione europea.
Tra le personalità che conoscemmo ci fu l'Arciduca Giuseppe Francesco, un
absburgo ungherese valoroso e molto cavalleresco, comandante della Honved nel
primo conflitto mondiale. Parlava correttamente l'italiano, come tutti gli
Arciduchi che dovevano conoscere le lingue dell'Impero.
Al primo viaggio, a Vienna e a Budapest, prese parte la
Contessa Edda Ciano
Mussolini che in seguito non partecipò più a viaggi ufficiali. Era una donna
molto strana, anche se indubbiamente intelligente.
Si annoiava nelle visite
ufficiali e non faceva nulla per rendersi utile. Era l'unica persona, oltre lo
zio Arnaldo morto troppo presto, che il Duce stimasse e per la quale avesse un
debole. Dato l'ascendente di cui godeva presso il padre, Edda avrebbe potuto
moderarlo e parlargli chiaro su tanti guai del fascismo. Purtroppo, invece,
agiva un po' da "passionaria" romagnola e lo spingeva, anziché frenarlo, contro
ogni genere di principi e di istituzioni tradizionali: il Vaticano, la Casa
Reale e l'aristocrazia la quale ultima, però, non era davvero meritevole di
molta attenzione!
Due cose io ammirai particolarmente in Ungheria: lo splendido panorama del
Danubio fra Buda e Pest e i bei ritratti del grande pittore ungherese Lazlö.
Dopo questi viaggi fui spesso incaricato di accompagnare il
Cancelliere
austriaco Schuschnig e il suo Ministro degli Esteri Schmidt — che poi lo tradì
con i nazisti — nei loro viaggi in Italia a conferire con Mussolini a Rocca
delle
Cliccare sulla figura per ingrandire Camminate e a Viareggio dove il Cancelliere andava a riposarsi. Schuschnig
era una persona intelligente e simpatica. Con lui si parlava molto liberamente,
tra l'altro parlava perfettamente l'italiano. Un giorno gli dissi che si
sarebbero dovuti impiccare i nazisti assassini di Dollfuss, ma egli da buon
democristiano che rifuggiva dal sangue, si strinse nelle spalle. Senza
repressione, infatti, i nazisti che contavano sull'impunità in quanto anche alle
Heimwehren del
principe Stahrenberg non era permesso di perseguirli a dovere,
continuarono a organizzarsi e a infiltrarsi in Austria, prostrata dalla crisi
economica e dalla disoccupazione dilaganti e dove contavano innumerevoli
simpatizzanti.
Così si preparavano per fagocitarla.
HEIMWEHREN
(1918-1938). Corpi paramilitari austriaci. Sorti
per difendere la neonata Repubblica austriaca dal pericolo socialdemocratico e,
in Carinzia, dalle rivendicazioni della minoranza slovena, venivano reclutati
prevalentemente nei ceti medi rurali e svolsero un importante ruolo politico.
Nel 1934 repressero con la violenza i moti operai. Dopo l'' Anschluss (1938)
aderirono in gran parte al nazionalsocialismo.
|
Ciano, dopo una lunga infatuazione con i nazisti che purtroppo lo portò a
troppo strette relazioni con loro e al patto d'acciaio, cominciava a ricredersi
e ad iniziare in tono minore la sua fronda. Lo si notava dai suoi atteggiamenti
nel salotto della Principessa Colonna o alla spiaggia di Castel Fusano, dove si
attorniava di troppe belle pettegole. Lo notavamo noi, suoi segretari, che
spesso la sera, ripulendo il suo tavolo ministeriale dalle carte riservate,
trovavamo dimenticato il suo famoso diario e, ovviamente, da buoni segretari, lo
leggevamo prima di chiuderlo in cassaforte. Egli scriveva una o due brevi pagine
al giorno sugli avvenimenti e sui colloqui che aveva avuto, su agende-omaggio
della Croce Rossa, rilegate in similpelle. In tali brevi note, com'è risaputo,
egli era abbastanza sincero e obiettivo, vedeva le cose con chiarezza e
cominciava ad essere preoccupato degli atteggiamenti sempre più bellicosi del
suocero. Il fatto più grave era il progressivo infeudamento alla Germania con la
quale c'era stato del freddo, dopo l'assassinio di Dolfuss, per l'atteggiamento
tedesco infido durante la guerra di Etiopia, ma essa non aveva aderito alle
sanzioni e per questo fatto Mussolini, che pure personalmente detestava i
tedeschi, iniziò l'accostata che lo portò nelle braccia di Hitler, spinto anche
dalla miopia politica di Parigi che — a parte i torti del Fascismo — non si era
mai spogliata del complesso di superiorità e della "suffisance" nei riguardi
dell'Italia.
Mussolini e i fascisti non si erano accorti che da Berlino erano partiti i
peggiori attacchi della stampa francese all'Italia.
I tedeschi, ovviamente, avevano notato
subito gli umori del "Duce" e cominciarono sempre più a circuirlo e ad
incensarlo; incenso al quale lui era ultrasensibile.
Iniziò, così, la serie continua di scambio di visite fra i gerarchi dei due
Paesi. Fu un traccheggio senza fine: come si sa, i politici italiani eccellono
nel gusto del turismo pagato dal contribuente. Quello che avveniva allora,
comunque, era niente rispetto a quanto accade oggigiorno nell'Italia
democratica, a partire dai Presidenti della Repubblica!
pag 65.....omissis..... pag 67

Si giunse, così, ai reiterati inviti a Mussolini perché visitasse la Germania.
Egli dapprima rinviò, poi accettò. I tedeschi gli fecero
un'accoglienza degna di un Capo di Stato. Hitler nei suoi discorsi chiamava
Mussolini "il suo maestro". Tutto era perfettamente orchestrato da un ottimo
regista: lo scopo e il risultato furono quelli di ottenere dal Capo del Fascismo
la tacita acquiescenza ad un futuro ineluttabile, l' "Anschluss" con l'Austria.
Il fatto fu chiaro più tardi, quando Hitler ospitando Ciano e noi del seguito a
Berchtesgaden, ci portò nel "nido d'aquila" e mise in essere una grossa
pantomina puntando un potente cannocchiale a trepiedi sul suo paese natale nella
vicinissima Austria ed esclamando con gli occhi da pazzo che lo distinguevano:
"Ecco io, capo della Germania, mi trovo a un passo dal mio villaggio natale e
non ci posso andare come vorrei!" Tutti capimmo che l'invasione dell'Austria era
imminente! Come infatti avvenne.
Ebbi occasione
di prendere parte solo all'ultima fase del viaggio di Mussolini
in Germania essendo stato incaricato di raggiungere la Missione recando un
corriere di Gabinetto urgente. Fui quindi aggregato alla Missione stessa per un
paio di giorni. I tedeschi mostrarono cose fantastiche;
si visitarono alcuni magazzini militari di mobilitazione pieni di ogni
materiale, nascosti in radure dalle innumerevoli foreste. In alcuni lunghi
capannoni c'erano migliaia di fusoliere di aeroplani appese alle travate del
tetto come tanti salami e immense scansie ove c'erano ali, timoni e motori, a
perdita d'occhio. Altrettanto dicasi dei magazzini dei carri armati e
dell'artiglieria.
La visita alla Krupp di Essen fu ancora più impressionante. Il più giovane dei
Krupp, che fungeva da Cicerone, fece presente che il porto di Essen,
praticamente porto privato della ditta, aveva un traffico annuale superiore al
porto di Genova.
pag 67.....omissis..... pag 68
Mussolini uscì come stregato da quella visita: fu allora che pensò, purtroppo,
di dover stare dalla parte dei tedeschi se voleva realizzare le sue ambizioni.
Da parte mia notai con piacere che i generali tedeschi dell'esercito si
interessavano più a me che indossavo una semplice divisa di tenente dei
Granatieri (allora bisognava viaggiare tutti in uniforme e io preferivo quella
dell'esercito) e si intrattenevano gentilmente con me parlando tutti bene il
francese o l'inglese, dato che io non parlavo il tedesco, mentre trascuravano i
miei superiori che vestivano rutilanti e ridicole uniformi della Milizia. Notai,
inoltre, che disprezzavano le S.S. e le S.A. e tutto l'esibizionismo nazista.
Insomma, lo Stato Maggiore tedesco era una cosa molto seria checché
raccontassero i giornalisti e i propagandisti anglo-francesi.
Durante il viaggio la figura di Hitler mi parve molto strana e patologica e
anche in seguito, quando ebbi l'occasione di guardarlo da molto vicino, ne
riportai la stessa impressione. Il suo modo di guardare la gente quando gli
veniva presentata, di parlare a scatti, infuriandosi spesso a freddo, il non
aver un pelo di barba all'infuori degli ispidi baffetti, faceva tutto supporre
si trattasse di un malato paranoico. Non beveva, non fumava, anzi era
assolutamente proibito fumare nella sala ove lui si trovava, anche dopo i
pranzi. Mangiava cibi diversi da tutti gli altri invitati, servito da un tenente
delle S.S.; si trattava, perlopiù, di riso in bianco, di pollo lesso e di una
torta al cioccolato. Sempre le stesse cose.
 |
Hitler di spalle, da sinistra il
Col. Montezzemolo, Marieni, il console Manzi |
Le donne non lo interessavano affatto; forse, se fosse stato attirato dal gentil
sesso, come Mussolini, non sarebbe stato tanto feroce!
La storia del romanzo con
Èva Braun, montata da giornalisti e scrittori
occidentali, è probabilmente gonfiata. Vidi spesso, nei viaggi numerosi che si
susseguirono in Germania, Èva Braun e mi parve fosse solo la governante che gli
teneva la casa e dirigeva i domestici. Comunque, non aveva certo alcuna
influenza sul modo di pensare e di agire del Fùhrer.
Assistemmo qualche volta ai discorsi chilometrici di Hitler, della durata di
anche cinque ore, nei quali ripeteva sempre monotamente le stesse cose. Una
volta, sul palco di un teatro, noi italiani ci addormentammo tutti, tanto
eravamo stanchi del viaggio e del pesantissimo programma, creando grande
scandalo fra i tedeschi.
La menzogna, avvalorata da molti scrittori e "storici" da strapazzo a proposito
della Germania, è stata quella di annoverare i Prussiani come i più feroci
nazisti: niente di più falso! I Prussiani erano
certamente ottimi e valorosi soldati, degni delle loro migliori tradizioni e i
loro ufficiali erano senz'altro convinti nazionalisti, ma in senso tradizionale
e non certo nazista; erano degli
Junker.
Essi combatterono eroicamente su tutti
i fronti, ma pochissimi erano nelle S.S. mentre la maggior parte militava
nell'Esercito regolare. I Nazisti e le S.S. più feroci
erano costituiti da bavaresi, renani, sassoni e soprattutto austriaci e
altoatesini. Di questi ultimi, moltissimi si arruolavano nelle S.S. per
imboscarsi e non andare al fronte; infatti si trattava perlopiù, almeno agli
inizi, di truppe d'occupazione con compiti di polizia.
I nazisti, che erano in fin dei conti socialisti, reclutavano,
come i comunisti, i loro quadri fra i gradini più bassi della scala sociale ed
anche fra veri criminali, gente affamata di potere e di denaro, che non
rifuggiva né dall'uccidere né dal saccheggiare pur di salire nella gerarchia.
Vari "gauleiter" e capi S.S. erano stati macellai o droghieri, altri ancora
condannati per reati comuni. La volgarità delle loro donne, che sembravano
lavandaie vestite a festa, dimostrava chiaramente le origini, a differenza delle
mogli dei generali della Werhrmacht, di tradizioni guglielmine che, anche se
modestamente vestite, denotavano di essere persone educate.
Da ciò deriva anche, oltretutto, il profondo disprezzo dell'Esercito regolare
per i nuovi lanzichenecchi.
La ragione della fedeltà del popolo era data probabilmente dal fatto che, dopo
anni e anni di fame, di disoccupazione e di umiliazioni dovute alla prima guerra
e alle sue conseguenze con le riparazioni da pagare, all'inflazione ed
all'incapacità dei governi socialisti e democristiani di superare la situazione,
finalmente con la nuova politica del nazismo era tornato il benessere in misura
notevole, rapida ed insperata. Bisogna riconoscere che Hitler aveva fatto molto
e in breve tempo per il popolo e la rinascita della Germania.
Quando io visitai la Germania dopo solo pochi anni di nazismo vidi, ad esempio,
completamente risolto il problema delle abitazioni. Ogni lavoratore, dopo solo
pochi anni di impiego, era proprietario di una casetta tutta sua. Nessun altro
Paese era stato capace di questo: pensiamo alla Russia di oggi, Paese
potenzialmente ricchissimo che, ad oltre settant'anni dalla rivoluzione, ha
ancora diffusissimo il fenomeno della coabitazione!
Gli scambi di visite fra gerarchi italiani e tedeschi si fecero sempre più
frequenti e con essi, purtroppo, divennero più forti i legami politici fra i due
Paesi.
Passato il periodo più pericoloso della tensione suscitata dalla guerra di
Spagna si sarebbe potuto addivenire ad una distensione e a ciò pareva tendere il
"gentlemen agreement" concluso fra Italia e Gran Bretagna per il rispetto dei
reciproci interessi nel Mediterraneo. Purtroppo, invece, si giunse ad un periodo
di pazzia sempre più grave che oscurò il raziocinio di Mussolini e ci portò alla
seconda guerra mondiale.
L'incomprensione franco-inglese e la gelosia della Francia, per il fatto che
l'Italia si avviava a diventare veramente una grande potenza, fece perdere
l'occasione ultima che si era presentata per fare un gesto di amicizia verso il
nostro Paese che sarebbe forse servita a trattenere Mussolini dall'abbraccio con
Hitler.
II Duce era, infatti, imbestialito per l'atteggiamento della stampa francese
che, come già detto, non sapeva fosse foraggiata invece dai tedeschi per isolare
l'Italia e spingerla verso di loro. Egli aveva una certa ragione di protestare
contro gli Stati sanzionisti, in quanto le sanzioni economiche non erano state
applicate al Giappone che aveva peccato molto più gravemente contro lo spirito
della Società delle Nazioni, con l'aggressione alla Cina e l'occupazione della
Manciuria, e ciò solo perché il Giappone era considerato troppo potente, mentre
erano applicate solo all'Italia perché considerata più debole. Questo,
ovviamente, aveva offeso ancora di più Mussolini, già seccato perché il suo
"patto a quattro", firmato a Roma nel 1933, non era stato nemmeno ratificato
dalla Francia.
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Robert G. Vansittart |
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Pierre Laval |
Qualcuno, invero, aveva capito che sarebbe stato necessario fare un gesto verso
l'Italia: certamente
Laval in Francia e, forse, Chamberlain e
Vansittart,
segretario permanente del "Foreign office" in Gran Bretagna, ma tutto era
tramontato per la violenta opposizione delle sinistre e per la canea
antifascista e anche antiitaliana dei nostri fuorusciti.
Così, non si volle capire che l'occupazione dell'Albania da parte di Mussolini,
già nostro protettorato di fatto, era stata decisa non tanto per smania di
espansione ma soprattutto in funzione antitedesca per la preoccupazione di
mettere un catenaccio all'Adriatico minacciato dal nuovo "drang nach osten"
della Germania che si era annessa l'Austria e poi la Cecoslovacchia.
Mussolini aveva notato il tradimento della Francia e della Gran Bretagna verso
la Cecoslovacchia, loro
amica ed alleata da tanto tempo, e questo lo spinse ad
osare sempre più unitamente alla Germania.
Dopo l'Anschluss ci si preoccupò di salvaguardare l'Alto Adige e si trovò Hitler
propenso a farlo, tanto era il desiderio di avere l'Italia dalla sua parte. Fu
concluso un accordo che costituiva una buona soluzione e che permetteva di
lasciar scegliere agli interessati la Germania o l'Italia. A coloro che
preferivano la Germania e il nazismo furono concessi ottimi indennizzi per gli
immobili che lasciarono nella provincia di Bolzano. Ci voleva l'eccessiva
tolleranza e una certa ingenuità da parte di De Gasperi e della D.C. per
riammettere in Italia, dopo la guerra, questi veri nazisti cui furono restituite
gratuitamente le terre e le case già profumatamente pagate!!
Una cosa quasi incomprensibile di tutto il periodo delle successive aggressioni
hitleriane è il fatto che gli occidentali se ne meravigliassero e cadessero
dalle nuvole ritenendo che l'aggressione in corso fosse sempre l'ultima e il
Fùhrer si dichiarasse soddisfatto e si mettesse tranquillo. La spiegazione è
data solo dall'ignoranza dei politici e uomini di Stato del tempo, i quali
avevano letto soltanto ciò che era prodotto nei loro Paesi ma nulla di ciò che
si scriveva all'estero. Nessuno, per esempio, si era preso la briga di leggere "Mein
Kampf"! Eppure, nel suo libro Hitler era stato sincero — forse l'unica volta in
vita sua — e aveva detto tutto quello che voleva fare. Se qualcuno lo aveva
letto nei Ministeri degli Affari Esteri, lo aveva forse preso solo per un
"bluff".
Anche Mussolini era stato abbastanza sincero nel parlare di ciò che voleva
ottenere e della guerra futura. Quando poi, finalmente, attaccò, tutti parlarono
di "tradimento" e di "coltellata alla schiena". Ma se erano anni che lo
predicava!
Gli stranieri ragionano spesso a loro modo senza il minimo sforzo per mettersi
nei panni ed entrare nello spirito che anima gli altri, anche se potenziali
nemici. Si comportano col ragionamento come fanno nel loro modo di vivere e di
... mangiare; girano tutto il mondo, ma mai assaggiano qualche cibo o bevanda
buona che sia al di fuori delle loro abitudini. La stessa identica cosa è
accaduta a proposito dell'aggressività dei sovietici. Nessuno degli Ambasciatori
anglosassoni a Mosca o degli scrittori cremlinologi ha mai saputo anticipare le
mosse dell'U.R.S.S. perché nessuno si è voluto immedesimare nella mentalità
russa e comunista. Ho dovuto notare spesso che sui sovietici ne sanno molto di
più i finlandesi, i turchi e i cinesi, che non hanno mai speso miliardi di
dollari nei servizi informativi, ma che conoscono la "forma mentis" dei loro
secolari invasori ed aggressori.
Fu in questo periodo che Mussolini compì un grande errore politico e la maggiore
ingiustizia dal lato umano: segno anche questo del suo rapido declino psichico.
Per far vedere ai tedeschi che anche noi "facevamo sul serio" proclamò la legge
per la "difesa della razza" ed espulse gli ebrei da tutte le cariche pubbliche e
private. La campagna non fu cruenta e le misure furono applicate con una certa
moderazione, all' "italiana", non come in Germania, ma le conseguenze furono
gravi ugualmente per i colpiti. Molti benemeriti scienziati, generali,
professori, ne fecero le spese. Perdemmo, così, Enrico Fermi, ebreo a metà,
nonostante fosse stato nominato Accademico d'Italia. Lo strano è che gli ebrei
da noi pur essendo pochi avevano, soprattutto agli inizi, sostenuto parecchio il
fascismo. Due dei quadrumviri,
Bianchi e
Balbo, erano ebrei almeno al 50%, ma
oltre a questi ve ne erano altri, come
Aldo Finzi,
Volpi, ecc. Perché in Italia
se erano pochi gli ebrei al 100% — si parlava di cinquantamila — erano invece
moltissimi i mezzi ebrei ormai assimilati al resto della popolazione. Essi,
invero, erano spesso i peggiori, i transfughi, quelli che si mimetizzarono non
avendo il coraggio di dirsi ebrei e che comunque non avevano tutte le spiccate
qualità di intelligenza e di capacità proprie dei veri israeliti (A Roma il
popolino dice che l'ebreo fesso ha ancora da nascere e che una famiglia ebrea,
quando si accorge di avere un figlio non molto intelligente, lo fa battezzare
cristiano!).
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Il Gen. Milch fra Speer e Messershmitt |
I mezzi ebrei che, come tutti i meticci, sommano i difetti delle
due razze senza averne i pregi, da noi
imperversavano, infiltrandosi ovunque.
Ne sapevano qualcosa al Ministero degli Esteri che dopo la guerra ha avuto due
Segretari Generali di tal genere! Tutti furono discriminati, cioè trovarono modo
di "arianizzarsi"; alcuni erano anche ferventi fascisti. Ne avevamo un paio
anche in carriera; pare arrivassero a giurare che la loro madre aveva fatto le
corna al marito ebreo con un ariano e, pertanto, loro erano "dolicocefali
biondi"! La stessa cosa era avvenuta in Germania con il
Generale Milch, vero
comandante dell'aviazione in quanto Göring era completamente rammollito dalla
droga, e con il criminale di guerra Eichmann, poi impiccato dagli Israeliani.
Pare che del sangue ebraico avesse anche Heindrich, il peggiore dei criminali
nazisti "Protettore" della Cecoslovacchia, ucciso a Praga da due partigiani
boemi.
I mezzi ebrei transfughi si rivelarono qualche
volta antisemiti.
A questo proposito a Roma, nella cupa tragedia, ci fu l'occasione di matte
risate quando il bollettino della Direzione Generale della Razza, del Ministero
dell'Interno, pubblicò diligentemente l'elenco dei nomi ebraici in tutti i
Paesi: in esso, alla lettera H, figurava il nome di Heitler, non potendosi
ovviamente mettere quello di Hitler! Il quale Hitler pare fosse egli stesso
mezzo ebreo per via della madre!
La maledizione, che perseguita gli ebrei attraverso i secoli, è davvero una cosa
terribile. Ad essa, in parte, ha contribuito anche la mancanza di
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Lazar Moiseevič Kaganovič |
volontà degli
israeliti di fondersi ed assimilarsi con gli altri popoli con i quali vivono,
nonché il fatto di essere sempre stati piuttosto dei ribelli e dei
rivoluzionari, cosa questa d'altronde più che comprensibile perché è logico che
si ribellassero contro i regimi dei loro persecutori.
Certo che, ad esempio,
tutti o quasi i teorici ed iniziatori del comunismo furono ebrei; basti pensare
a Marx, Engels, Trotzkij, Lenin (50%) etc. Parimenti le spie atomiche in favore
di Mosca erano quasi tutte ebree. Anche da noi, tra i comunisti e i socialisti,
ci sono sempre stati gli ebrei o i mezzi ebrei. In Unione Sovietica agli inizi
gli ebrei erano numerosissimi nel partito, nella diplomazia e nel governo fino a
quando Stalin li estromise tutti tranne il cognato
Kaganovic e iniziò la
persecuzione. Alcuni pensano che la rinnovata persecuzione degli ebrei è forse
il primo e più grave errore da parte del comunismo in quanto, mentre prima gli
organi di propaganda controllati dagli israeliti e gli ambienti intellettuali —
molto numerosi specie in America — erano stati molto blandi se non addirittura
favorevoli al comunismo, a questo punto gli si opposero nettamente.
In Italia, favorevoli alla campagna antisemita furono solo pochi fra i fascisti
più stupidi e fanatici: tra questi Farinacci e Interlandi. Si può dire che anche
la popolarità di Mussolini, molto notevole fino ad allora, cominciò a declinare
proprio da quel momento perché nessuno capiva, tra l'altro, la smania di
scimmiottare i tedeschi. Comunque, molti cercarono di attenuare la portata dei
provvedimenti; tra questi, lo stesso Ciano che autorizzò segretamente i Consoli
in Svizzera a concedere ai profughi ebrei che sfuggivano dai Paesi occupati dai
tedeschi, un passaporto italiano di breve durata e non rinnovabile perché
potessero attraversare le zone della Francia di Vichy e andare in Spagna e in
Portogallo per imbarcarsi per oltreoceano.
Ad onor del vero devo dire che persino Göring mandò a Ciano il suo fedelissimo
aiutante con una lista di molti ebrei tedeschi "suoi amici" pregandolo di
concedere un lasciapassare perché da Genova potessero andare oltreoceano. Erano
effettivamente suoi amici, o lo avevano pagato? Comunque, da parte israeliana si
è sempre riconosciuto quanto da molti italiani è stato fatto per attenuare la
durezza della persecuzione e nessun italiano, fascista o no, è stato accusato
come criminale di guerra.
A proposito della persecuzione antisemita, devo dire che si sapeva benissimo e
da tempo, in Italia, che essa esisteva nei Paesi controllati dai nazisti, nel
senso che gli ebrei venivano arrestati, privati di tutti i loro beni e inviati
in campi "di lavoro", ma non si è saputo che molto più tardi, a guerra ormai
inoltrata, della "soluzione finale" di Hitler e dei campi di sterminio.
La Santa Sede stessa, che aveva ottimi servizi di informazione, non ne sapeva di
più; i nazisti, quando volevano, sapevano mantenere i loro segreti ed erano
pochi anche i tedeschi che ne erano informati.
Quindi, assolutamente falso è quanto afferma un ebreo tedesco in un libro,
recentemente pubblicato, "II Vicario" che Pio XII non aveva fatto nulla per
salvare gli ebrei. Il Papa, quando aveva saputo e potuto era effettivamente
intervenuto salvando moltissime vite. Furono piuttosto le autorità svizzere che,
quando già si sapeva del massacro di ebrei, dopo averne ammessi un notevole
numero, chiusero le frontiere e respinsero fra le braccia delle S.S. molti nuovi
profughi votandoli a sicura, orribile morte e questo con la scusa che ne erano
arrivati già troppi e che i viveri difettavano!
I tedeschi, per meglio confondere le idee, ad un certo punto
avevano ventilato ufficiosamente la proposta di costituire uno stato ebraico
nell'isola di Madagascar inviandovi a mezzo della Croce Rossa Internazionale i
profughi dall'Europa centro-orientale. Se attuata, sarebbe stata una proposta
meno crudele e più intelligente in quanto avrebbe costituito per gli alleati
occidentali una grossa grana, una vera patata bollente.
Da:
http://it.wikipedia.org/wiki/Schloss_Bellevue
Il castello venne utilizzato prima come residenza
estiva da parte del principe Ferdinando, fino alla morte avvenuta nel 1813.
Successivamente il castello venne usato dal figlio, fino a quando nel 1844
l'edificio venne rilevato da Federico Guglielmo IV di Prussia. Quest'ultimo
organizzò in un'ala del castello una mostra permanente di quadri. Durante la
Prima guerra mondiale l'edificio venne usato dal comando militare dell'epoca.
Dal 1935 in poi, invece, venne trasformato in un museo etnografico. Nel 1938
venne nuovamente modificato, su progetto dell'architetto Paul Baumgarten, per
diventare un albergo per gli ospiti del regime nazista. Gravemente danneggiato
da una bomba incendiaria nel 1941, dopo la fine della guerra venne sottoposto ad
un attento restauro, al fine di diventare la seconda sede ufficiale del
presidente della Repubblica Federale Tedesca. Dopo la riunificazione della
Germania, il castello fu sottoposto a nuovi restauri e oggi è diventato la
residenza ufficiale del presidente tedesco.
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E' orribile pensare che, mentre avvenivano queste feroci tragedie in Europa, noi
andavamo spesso in Germania in missione allegri e contenti, ridendo degli
scherzi che Piero Cittadini, Capo del Cerimoniale, e Filippo Anfuso, Capo di
Gabinetto, facevano di continuo, illusi che Mussolini avrebbe saputo tirare la
corda senza però lasciarla
mai spezzare. Si era certi di questo anche perché
preparativi di guerra in Italia non ce n'erano affatto. In Germania dovevamo
prendere, comunque, molte precauzioni perché sapevamo che c'erano microfoni
dappertutto e, pertanto, per parlare dei nostri affari o per dettare telegrammi
per Roma dovevamo andare in Ambasciata o nei bagni dello "Schloss Bellevue" ove
eravamo alloggiati, tirando continuamente lo sciacquone per disturbare gli
ascoltatori!
L'occupazione dell'Albania
Era intanto avvenuta l'occupazione dell'Albania. Preparata con gran disordine e
in apparente segreto, era l'unico apprestamento militare in corso per cui erano
stati richiamati riservisti che tutti sapevano destinati all'Albania, persino
alcuni figli dei miei contadini di Bergamo.
Al Ministero degli Esteri, invece, segreto assoluto! Il funzionario napoletano
del Gabinetto, incaricato del collegamento con il Ministero della Guerra per le
operazioni Albania, faceva il misteriosissimo, però aveva pensato bene di
vestire l'uniforme di tenente degli Alpini per passeggiare per Roma fra Piazza
Colonna e Via xx Settembre, portando una borsa con quattro carte, tanto che fu
chiamato da noi 1' "alpino", come lo definisce anche Anfuso nel suo libro. Era
un modo come un altro per fare l'eroe con poca spesa!
Il viaggio in Iran
Per quanto riguarda il
sottoscritto, intanto ero stato incluso nella Missione del Duca di Spoleto che
avrebbe dovuto andare in Persia per assistere alle
prime nozze dello Scià,
recentemente defunto, allora principe ereditario, con la
sorella di Re Faruk
d'Egitto.
Potevo scegliere fra due missioni, una a New York per la Fiera internazionale
presieduta dall'Ammiraglio Cantù e l'altra per l'Iran: preferii quest'ultima. Mi
interessava l'Oriente e poi pensavo che a New York avrei potuto sempre andare in
un modo o nell'altro, mentre in Persia le occasioni sarebbero state molto più
rare.
Fungevo da segretario e da organizzatore della Missione, ne amministravo i fondi
molto scarsi perché, ad onor del vero, al tempo del fascismo il denaro pubblico
era amministrato con maggior parsimonia e più onestamente di adesso e dovevo
pensare a tutto. Gli altri si riservavano solo le critiche; l'unico che non ne
fece mai fu proprio
S.A.R. Aimone Duca di Spoleto, Capo della missione e
compagno di viaggio simpaticissimo e allegro che, in seguito, ci onorò della sua
amicizia e fu anche testimone di nozze al mio matrimonio con Marina degli Albizzi quasi tre anni dopo.
Fu un viaggio interessantissimo e molto divertente in una Persia che
Reza Scià
Pahlevi, padre dell'ultimo Scià, cercava di modernizzare con notevole successo.

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Marieni in
divisa diplomatica |
Pur essendo analfabeta — firmava i decreti con il sigillo — era però molto
capace ed energico; certo lui non avrebbe lasciato il Paese agli ayatollah senza
combattere, come fece il figlio più civilizzato perché aveva studiato in
Inghilterra. Reza Pahlevi, quando gli davano fastidio gli ayatollah con le loro
stupide pretese, li faceva bastonare di santa ragione sulla pubblica piazza dai
suoi soldati e gettare in galera. È pericoloso, infatti, atteggiarsi a
democratico e agire di conseguenza in un Paese primitivo come quello. E ciò che
fanno ovunque gli americani con le conseguenze che tutti conosciamo!
Ci imbarcammo a Brindisi sulla nave "Barletta" della
"Adriatica" che faceva servizio per Beirut. Era un vecchio piroscafo austriaco
molto piccolo ma bello. Le cabine erano minuscole tanto che, per far dormire il
Duca di Spoleto che era molto alto, dovemmo far praticare un buco nella parete.
Così lui poteva allungare le gambe... nella dispensa! Il servizio e la cucina
sui piroscafi dell' "Adriatica" erano rinomatissimi e tutte le mattine il
capo-cuoco con un immenso berrettone bianco veniva a sottoporre al Principe un
menu prelibato domandandogli che cosa gradisse. Aimone, invece, ordinava
pietanze paesane: pasta e fagioli, baccalà alla genovese o caciucco con molto
aglio! Il cuoco, raffinatissimo, ne era
desolato però ci preparava quei
semplici piatti folcloristici in modo perfetto e squisito.
A poche ore da Brindisi incrociammo la nostra i Squadra navale diretta a Durazzo
e Valona per lo sbarco del Corpo di spedizione destinato ad occupare l'Albania.
Avevamo saputo che la Squadra inglese del Mediterraneo, rinforzata da altre
navi, aveva salpato da Malta per compiere una dimostrazione, ovviamente non
amichevole, nello Jonio. Avevamo, pertanto, qualche preoccupazione e il Duca era
sulle spine perché, dato il suo grado di Ammiraglio di squadra, avrebbe voluto
rimanere a disposizione della Marina in caso di complicazioni.
Poche ore dopo apprendemmo, tuttavia, che lo sbarco era avvenuto
tranquillamente, senza ostacoli. A Beirut, sbarcammo tutte le nostre numerose
impedimenta, comprese alcune casse di acqua S. Pellegrino e di whisky. Infatti,
il colonnello medico della Marina, che era con noi, ci aveva giustamente
proibito di bere acqua a terra e di mangiare verdure e frutta crude o dolci con
panna.
I
Paesi asiatici
infatti sono, tranne il Giappone che è pulitissimo, i più sporchi del mondo e il
tifo e il colera vi erano endemici. Dopo averci vaccinato, il dottore ci
prescrisse di lavarci i denti con l'acqua minerale italiana e ci diede due
pastiglie di permanganato da mettere ogni giorno nell'acqua della vasca prima di
fare il bagno!
Credevamo che ciò fosse un'esagerazione ma constatammo, poi, che il medico aveva
perfettamente ragione.
VIAGGIO IN PERSIA CON LA DELEGAZIONE ITALIANA
PRESIEDUTA DA S.A.R. IL PRINCIPE AIMONE DI SAVOIA DUCA DI SPOLETO IN OCCASIONE
DEL MATRIMONIO DEL PRINCIPE EREDITARIO MOHAMMAD REHZA PAHLAVI FIGLIO DI REHZA
SCIA' IL GRANDE CON FAWZIA BINT FUAD SORELLA DEL RE D'EGITTO FARUK I
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Reza
Pahlavi
detto Reza Scià il Grande |
Mohammad Reza
Pahlavi ultimo Scià di Persia |
Fawzia Bint
Fuad
prima moglie dello Scià |
Presentazione della delegazione italiana a Reza Scià il Grande |
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Trasferimento da Beiruth a Damasco e Baghdad corriera della
Nairn Transport Company
Sosta per pranzo nel deserto della Siria |
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Autoblindate di scorta
attraverso il deserto siriano |
Baalbek -Libano |
Baalbek -Libano |
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Babilonia |
Ctesifonte- Taq Kisra |
Kermanshah Iran- Tagh e Bostan |
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Incontri del Duca di Spoleto
con l'erede al trono di Persia
Mohammad Reza
Pahlavi e la principessa Fawzia Bint
Fuad
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La missione in Iran aveva lo scopo precipuo di promuovere l'intensificazione
degli scambi con l'Italia da parte di un Paese che dimostrava chiaramente
insofferenza verso la tendenza inglese a monopolizzare i traffici, considerando
l'Iran ancora quasi una colonia.
Noi avevamo già delle buone premesse: ditte italiane lavoravano alla costruzione
della prima ferrovia iraniana Teheran-mare: la Marina imperiale mandava i suoi
allievi ufficiali all'Accademia di Livorno e i nostri cantieri le fornivano
siluranti e naviglio leggero. Allo scopo di tentare la fornitura anche di
aeroplani ci raggiunse a Teheran un aereo BA 82 della Breda, apparecchio
bimotore da bombardamento, il primo aereo di tal genere completamente metallico
da noi costruito. Era un apparecchio veloce che rappresentava, senza dubbio, un
notevole progresso per la nostra Aviazione. Necessitava, però, di piloti di gran
classe perché aveva il grave difetto di entrare in autorotazione a determinate
velocità. Si sarebbe potuto rimediare a tale difetto nelle successive serie, ma
la nostra Aviazione ne abbandonò la costruzione perché non era prodotto ...
dalla Fiat cui l'Aviazione dava sempre la preferenza. Queste preferenze
sarebbero costate care alla nostra Arma aerea nella 2a guerra
mondiale!
Dopo giorni di visite ufficiali, il Duca e i componenti la Missione italiana
furono invitati dallo Scià a compiere una visita turistica nel Paese; io
profittai per sganciarmi e tornare a Roma per la via più rapida e cioè Bagdad
con la linea aerea italiana per Roma, da poco inaugurata. La Missione sarebbe
tornata via mare un mese dopo.
Ero infatti molto preoccupato per le notizie degli avvenimenti mondiali e mi
interessava saperne di più.
L'annessione dell' Albania.
pag 79
.....omissis.....
pag 80
Io avevo visitato l'Albania quasi due anni prima al seguito del
Ministro, quando si era trattato di concludere il Patto di alleanza che di fatto
 |
Durante un viaggio in Albania, l'aereo
che trasportava la delegazione italiana fece un atterraggio
lungo e finì con il carrello nel fosso a fine pista.
Tutti i passeggeri furono invitati a spingere l'aereo fuori dal fosso e
rimetterlo in carreggiata. |
trasformava quel Paese in un nostro protettorato, in cambio del nostro sostegno
politico e finanziario per re Zog.
Allora Ciano si era dato da fare anche per trovare una moglie italiana per quel
sovrano e voleva presentargli due ragazze dell'aristocrazia romana: la prima
piuttosto allegra e navigata aveva subito declinato l'onore, mentre l'altra, più
seria, aveva voluto andare a visitare l'Albania per conoscere quel Paese, ma ne
era subito scappata, inorridita. C'era poi il maggior ostacolo costituito dalla
religione mussulmana di Zog. Così egli aveva finito per sposare, forse più
volentieri, la figlia cadetta di una nobile famiglia ungherese,
Geraldina Appony,
una bella ragazza che io avevo conosciuto a Budapest dove faceva l'interprete e
la hostess per quel Ministero degli Esteri. Per noi quel matrimonio andava bene,
essendo l'Ungheria Paese alleato e amico dell'Italia.
Nella precedente occasione, la visita a Tirana si era svolta in un clima
e in un ambiente
da operetta di paese balcanico tra i soliti commenti di Anfuso,
sempre spiritoso e vivace.
Re Zog aveva contro numerose "vendette di sangue" per aver fatto
fuori i suoi nemici di varie tribù e, pertanto, temeva di essere assassinato.
Mangiava solo il cibo preparatogli dalle sorelle e si diceva che
quando non poteva farlo,
mangiasse solo uova sode! Parimenti, quando circolava per Tirana in carrozza, o
in auto, stava sempre seduto fra due sorelle perché gli albanesi erano
abbastanza cavallereschi per non tirare bombe, o sparare con armi da fuoco,
quando vi erano delle donne che potevano essere uccise. Era poi attorniato dalla
sua guardia del corpo composta da mercenari stranieri dell'Europa danubiana,
perlopiù rivestita di uniformi
ottocentesche
da ussari ungheresi e comandata da un tenente colonnello inglese
o
scozzese che noi volevamo far licenziare ad ogni costo perché ritenuto una spia
dell'
"Intelligence Service".
Al pranzo ufficiale, offertoci al "Palazzo Reale", una specie di
stamberga dai soffitti bassissimi, Anfuso mi domandò se avevo portato un
cagnolino per fargli assaggiare i cibi perché, aggiunse, "questa è la volta
buona per essere tutti avvelenati"! Al pranzo seguì un ballo e noi, in uniforme
diplomatica e reggendo spadina e feluca, dovevamo ballare con le sorelle del
sovrano e le varie dame al suono di una banda militare che nel giardino sotto le
finestre aperte per il caldo afoso, alternava pezzi ballabili alla marcia
dell'Aida e ad altri pezzi d'opera! Per ballare bisognava girare intorno ad un
enorme lampadario di Murano che, dato il basso soffitto, toccava quasi il
pavimento. Io, comunque, riuscii a fare coppia fissa con una bella ragazza
italiana, nipote dell'Ambasciatore Aloisi e figlia del nostro Console onorario a
Valona.
Così Mussolini aveva avuto la sua soddisfazione, anche se magra, rispetto
all'espansione dei tedeschi di cui era geloso, ma dei quali allo stesso tempo
diffidava. Infatti, come già detto, aveva voluto mettere un catenaccio
all'Adriatico quale supposto ostacolo all'espansione germanica verso il sud.
La Jugoslavia, comunque, se n'era allarmata e gli inglesi, ovviamente, avevano
mal digerito il mutamento dell'equilibrio nel Mediterraneo che violava il
Gentlemen's Agreement del 1937.
Questi fatti, e queste suscettibilità, spinsero maggiormente il Duce, sempre più
emotivo ed impulsivo, nelle braccia della Germania nazista ideologicamente più
vicina al fascismo.
Ciano, che pur detestava i tedeschi, come suo padre, con la solita incostanza
che lo portò alla rovina, si mise impudentemente a darsi da fare per tale
rivolgimento politico filo-tedesco sapendo che un ravvicinamento alla Germania,
dalla quale ci divideva il problema dell' "Anschluss", avrebbe comportato il
cambio della guardia a Palazzo Chigi ove Suvich, ultra tedescofobo, da buon
triestino, non sarebbe
potuto restare.
La poltrona di Ministro degli Esteri, cui Ciano tanto ambiva, sarebbe rimasta
libera per lui!
Così avvenne che
Galeazzo Ciano, che non era nel suo intimo un vero fascista e tanto meno
uno squadrista come si era invece proclamato o un germanofilo, ma solo un
borghese vero e proprio, quale Ministro per la Stampa e Propaganda scatenò con i
suoi amici giornalisti una orchestrata campagna filo-tedesca per farsi credere
più fascista degli altri.
Galeazzo, come ora tutti lo chiamavano, benché alquanto facilone e pur essendo
un uomo intelligente che conosceva abbastanza il mondo e anche il "mestiere" di
diplomatico meglio di Mussolini, aveva ancora l'illusione che l'accostata
filo-germanica avrebbe potuto essere graduata e controllata e spinta solo quanto
bastava per servire da contrappeso alle Potenze occidentali.
Senonché il Duce, come detto, cominciava a dare segni di progressivo e precoce
rammollimento e da "Maestro" come lo stesso Hitler fingeva di considerarlo,
stava rapidamente scadendo alla posizione di allievo e seguace del Fùhrer al
quale si andava sempre più avvinghiando, ingenuamente felice che i tedeschi
riconoscessero per primi l'Impero italiano e combattessero in Spagna contro i
rossi a fianco delle nostre truppe.
Il giovane Ministro degli Esteri aveva in certo qual modo rivitalizzato Palazzo
Chigi ove i vecchi diplomatici erano piuttosto spenti e senza fare stragi si era
attorniato di persone abbastanza efficienti che conoscevano il mestiere: lo si
vedeva nei telegrammi di istruzioni che stilava con efficacia e chiarezza.
Detestava la verbosità tanto cara ai vecchi diplomatici e arrivò sino ad
addebitare ai Capi Missione i telegrammi troppo lunghi e vuoti di significato.
In poco più di un anno e mezzo dalla presenza di Ciano la politica estera
italiana aveva conseguito anche qualche successo. L'avvicinamento alla Germania
aveva riequilibrato a nostro favore la situazione nei rapporti con le Potenze
occidentali. Il
"Gentlemen's Agreement" del 1937 con la Gran Bretagna (reso
possibile dalla caduta di Eden cui aveva abilmente contribuito
l'Ambasciatore
Grandi) e la nostra posizione preminente in Spagna, nonostante l'ambiguità di
Franco, ci davano una sicurezza assoluta nel Mediterraneo, mentre lo
scompaginamento della Piccola intesa — creazione artificiosa dei francesi — con
i nostri accordi con l'Ungheria, la Romania e la Jugoslavia ci davano una
posizione di prestigio e di tranquillità nel bacino danubiano balcanico. Se ci
fossimo accontentati saremmo stati in una botte di ferro. Ma così non la
intendeva il Duce che era uso spingere le cose agli estremi, legandosi sempre
più a Hitler e diventandone succube.


Fu a questo punto che Ciano cominciò a staccarsi tardivamente da lui e ad
ironizzare nell'ambito delle sue conoscenze sugli atteggiamenti e le decisioni
del capo. Noi, della sua Segreteria, ce ne accorgemmo subito per i suoi commenti
e le sue reazioni agli avvenimenti ed anche, come già detto, per la lettura del
suo famoso diario.
Schema dei posti a tavola al ricevimento
offerto a Berlino da Heinrich Himmler alla delegazione italiana capeggiata dal Ministro
degli esteri Conte Ciano

Schema dei posti a tavola al ricevimento offerto
a Berlino da Hermann Göring
alla delegazione italiana capeggiata dal
Ministro degli esteri Conte Ciano

Ciano, comunque, parlava troppo per farsi bello, soprattutto nelle serate di
Palazzo Colonna ove pullulavano i pettegoli e gli informatori, sia degli inglesi
che dei tedeschi. Tra questi ultimi c'erano le due bellissime, quanto facili,
svedesi, mogli di due funzionari dell'Ambasciata germanica a Roma, Von Klemm e
Von Bismark, mandate a Roma da Ribbentrop col compito di sedurre i gerarchi
italiani, e Ciano per primo. Quest'ultimo, mentre sparlava liberamente dei
tedeschi e anche di Mussolini — tutte cose che a Roma erano subito risapute —
non ebbe mai l'ardire di parlare chiaro al Duce, di dirgli che non condivideva
la sua politica bellicista. Sperava, invece, di riuscire ad addolcire e a
ridurre le drastiche e avventate decisioni del Capo. Ma non ebbe mai il coraggio
di opporsi chiaramente, accettando anche nell'incontro di Milano con Ribbentrop,
totalmente e senza nessuna modifica, il progetto di trattato di alleanza
preparato da quest'ultimo. Si scivolava così rapidamente verso la guerra.
SEGUE:
2)
Il Patto d'acciaio e lo scoppio della guerra
3)
Contatti ufficiosi per negoziati di pace
4)
Il dopo-guerra
Inizio
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