2) IL PATTO D'ACCIAIO E LO
SCOPPIO DELLA GUERRA
Nei seguenti capitoli sono riportati brani dal
volume RICORDI DI UN
DIPLOMATICO - Dal Fascio allo sfascio, edito nel 1992 dalla casa Editrice S.
Marco di Trescore Balneario (BG). Allo scopo di chiarire ed
ampliare la conoscenza degli avvenimenti e dei personaggi citati sono stati
aggiunti links a siti web e fotografie, molte provenienti dall'archivio
personale.
2) Il patto d'acciaio e lo scoppio della guerra
(pag 83 a pag. 118)
La situazione generale europea si andava quindi sempre più aggravando.
I franco-inglesi, nonostante la pessima figura e il
tradimento da loro compiuto a
Monaco nel '38 a danno della povera Cecoslovacchia
alleata, non avevano moderato il loro atteggiamento di arroganza e di sussiego
nei nostri
riguardi e affrontavano il riarmo. La tensione, quindi, cresceva per
cui Hitler intendeva accelerare i tempi dei suoi programmi di dominio europeo,
sicuro che gli Occidentali si sarebbero comportati come a Monaco, spinto in
questo giudizio erroneo dal peggiore dei suoi Consiglieri, il criminale
Ribbentrop diventato in poco tempo da commerciante di vino in Canada,
Ambasciatore a Londra e poi Ministro degli Esteri.
Il pavido atteggiamento a Monaco degli alleati occidentali ingannò anche
Mussolini, il mediatore dell'accordo. Egli si persuase sempre più che di fronte
a degli imbecilli non si poteva fare altrimenti che andare d'accordo con i
tedeschi per evitare il peggio.
Dopo molti incontri, espressioni di solidarietà e discorsi di amicizia si arrivo
così, purtroppo, nel maggio del 1939, alla firma del cosiddetto Patto d'acciaio
e cioè all'alleanza fra i due dittatori e i relativi Paesi. I
freni di Ciano, infatti, erano troppo deboli e tardivi e non
funzionarono. Ciano non aveva nemmeno pensato di preparare un nostro progetto e
accettò in pieno quello di Ribbentrop. Quando, con i colleghi Antonio Sanfelice
di Monteforte e Morozzo della Rocca, avemmo la possibilità di leggerne il testo
a Berlino, al momento della firma, fummo tutti presi da una stretta al cuore!
Era possibile che in Italia, patria del diritto, non si sapesse stilare un patto
di alleanza? Non era altro che una cambiale in bianco in mano alla Germania la
quale, però, non ne richiese mai perentoriamente il pagamento tranne che al
momento dell'attacco alla Francia. Molti tedeschi, soprattutto i militari che
conoscevano la nostra debolezza e impreparazione, avrebbero forse preferito che
noi restassimo militarmente fuori dal conflitto, limitandoci a dar loro
rifornimenti e prodotti industriali.
Si precipitava, così, verso la guerra per quanto ancora ben pochi ci credessero
e quasi tutti, compresi i militari,
 |
A dx Francesco Jacomoni di S.Savino |
il
miracolo di tenercene fuori, cosa inverosimile dato il tenore dell'accordo, la
bellicosità del Duce e l'assoluta volontà di Hitler di far precipitare le cose.
Ci si cullava ancora nelle illusioni e non ci si preparava né dal punto di vista
militare né da quello economico! Si continuava, però, a spendere e a spandere.
In Albania si facevano grandi lavori pubblici: strade che mancavano
assolutamente, caserme, scuole e palazzi governativi. Lo "yes man" Jacomoni, già
Ministro plenipotenziario a Tirana e ora Viceré, per ingraziarsi gli albanesi
pagava gli operai del paese che non lavoravano (da buoni mussulmani non avevano
mai lavorato e facevano sgobbare solo le donne) più degli operai italiani che
invece ovviamente lavoravano, creando il malcontento di questi
ultimi.
Si è spesso parlato delle responsabilità dello scoppio della 2a guerra
mondiale: senza alcun dubbio le cause e le responsabilità immediate furono tutte
naziste ed anche italiane o, per essere più esatti, fasciste.
I fatti che portarono alla 2a guerra mondiale sono noti ed
esattamente e onestamente descritti nell'ultimo volume pubblicato da Dino
Grandi, già Ambasciatore a Londra, e richiamato da Mussolini su richiesta dei
nazisti perché contrario all'alleanza con i tedeschi e alla guerra.
Le cause lontane e, quindi, parte delle responsabilità iniziali furono anche
degli alleati occidentali: soprattutto per la mancanza di chiarezza degli
Inglesi! Non si poteva pretendere di mortificare e di isolare all'infinito i due
Paesi più vitali ed espansivi d'Europa: la Germania e l'Italia. Sarebbe stato
logico lasciar loro una valvola di sicurezza e di sfogo verso sud e verso est.
Tutta la politica francese durante il tempo intercorso tra le due guerre fu
diretta a creare patti ed alleanze con la Polonia (la piccola Intesa) ed a
compiere tentativi di agganciamento dell'Unione Sovietica. L'Italia era stata
sempre maltrattata, come dimostrano la difesa ad oltranza a Versailles e le
pretese iugoslave contro gli interessi della vecchia alleata Italia che, pure,
date le sue modeste risorse, aveva sopportato immensi sacrifici in favore
dell'Intesa, nel 1915-18.
I soldati italiani, ovunque erano andati per le piccole imprese coloniali
— che non erano pericolose per nessuno — avevano trovato armi e munizioni
francesi ed anche inglesi, oltre che svizzere, belghe e sve-desi, le quali erano
usate contro i Paesi occupanti. Questo avveniva sino dalla fine del secolo
scorso, nella prima guerra di Etiopia e in Libia nel 1911, cioè in tempi
prefascisti! Io stesso possiedo alcune famigerate pallottole dum dum — proibite
dalle convenzioni internazionali perché producono ferite orribili e inguaribili
— fabbricate nella puritana Gran Bretagna, insieme ad un fucile Enfield con lo
stemma della Guardia imperiale etiopica avuto nel 1936 ad Addis Abeba da un
ufficiale mio amico che me ne aveva fatto dono.
II fascismo e il nazismo rappresentarono movimenti di reazione contro la
situazione interna dei due Paesi, conseguenza, in particolare, del malgoverno
dei vari partiti, ma erano anche rivolti sia contro la situazione internazionale
dominata dai Paesi ricchi e soddisfatti e sia contro il monopolio capitalistico.
I movimenti rivoluzionari italiano e tedesco, infatti, non
erano di "destra", come erroneamente continuano ad affermare pseudo-storici di
origine giornalistica nei vari Paesi, ma erano di matrice socialista, come i due
loro stessi capi.
I due movimenti, infatti, reclutavano prevalentemente i loro quadri fra
il proletariato e, soprattutto, nei più bassi strati sociali. Erano
intrinsecamente antimonarchici, antireligiosi, antiaristocratici e
anti-capitalistici e anche, checché se ne dica, antimilitaristi, cioè contrari
agli eserciti regolari e tradizionali creando, in antagonismo a questi ultimi,
le proprie forze militari: S.S. e Camicie nere.
I due movimenti totalitari combattevano il comunismo per rivalità con
quest'ultimo e per la sua peculiarità di movimento a carattere universalistico e
internazionale da cui derivava la sua pericolosità in quanto provocava consensi
e quinte colonne in tutti i Paesi del mondo.
Non basta questa avversione al comunismo per considerare di destra fascismo e
nazismo che invece erano molto più vicini al loro avversario di quanto non si
creda, soprattutto il nazismo per la sua vocazione totalitaria e per i suoi
metodi inumani.
Ad avvelenare le relazioni con le democrazie occidentali avevano contribuito
largamente i fuorusciti italiani i quali accusarono persino, di volta in volta,
Mussolini, Ciano, Anfuso, il SIM e il
Colonnello Emanuele dell'assassinio dei
fratelli Rosselli, senza prove concrete ed assolute.
Non pare, comunque, che Mussolini avesse mai pensato a fare assassinare
qualcuno, essendo se non altro abbastanza intelligente per capire che non era
proprio il caso di creare dei martiri. Lo dimostra il fatto che aveva facilitato
la fuga dall'Italia di molti antifascisti, tra i quali Nenni. Ad alcuni di essi
faceva persino pagare delle pensioni dall'Ambasciata a Parigi o addirittura
dall'OVRA. Negli archivi di quella Ambasciata esistevano elenchi di tali
pagamenti che, ovviamente, alla caduta del fascismo furono fatti sparire, come
avvenne per gli
archivi dell'OVRA al Ministero dell'Interno, ove esistevano
prove delle malefatte di molti antifascisti.
Ci si avvicinava così, sempre di più, alla pazzia irreparabile, per quanto
ancora ben pochi ci credessero; specialmente incredule erano le due democrazie
occidentali. Si ingannavano attribuendo tutto alla solita retorica di Mussolini.
L'incredulità era tanto più forte e diffusa in quanto da noi non si faceva nulla
per prepararsi alle ostilità.
Il miserevole spettacolo di debolezza e di tradimento dato dagli alleati
occidentali a Monaco nei riguardi della Cecoslovacchia, aveva persuaso sempre
più i due dittatori della impreparazione e della incapacità morale delle due
democrazie a far fronte ai loro impegni. Questa fu, senza dubbio, un'altra causa
della corsa immediata alla guerra.
Bernardo Attolico era figlio di tenaci,
laboriosi e semplici lavoratori della fertile terra cannetana. A soli 21 anni,
all’Università di Roma nel 1901 conseguì brillantemente la laurea in
Giurisprudenza. Profondo studioso di Economia Politica a 22 anni entrò, come
professore di ruolo, nell’Istituto Tecnico di Foggia alla cattedra di Scienze
Finanziarie. Nominato Ispettore Governativo dell’Emigrazione si recò in America,
Canada e Turchia.
A seguito delle sue illuminate e dotte relazioni sul fenomeno emigratorio fu
promosso e accreditato presso la Direzione Generale dell’Agricoltura. Nel 1916,
in piena guerra mondiale, raggiunse Londra in qualità di Capo della Delegazione
al servizio rifornimenti bellici. Dopo il conflitto 1915-18 fu Sottosegretario
alla Lega delle Nazioni a Ginevra. Dopo essere stato Alto Commissario a Danzica
nei 1921 venne nominato Vice Segretario Generale delle nazioni. Nominato
Ambasciatore a Rio di Janero successivamente passò all’Ambasciata Russa dal 1930
all’aprile 1935. A Berlino dal 1935 al 1940 fu l’Ambasciatore del periodo
bellico. La sua carriera ebbe termine a Roma in qualità di Ambasciatore presso
la Santa Sede. Bernardo Attolico, lavoratore durissimo, non sempre rendeva
facile la vita dei suoi collaboratori che però trovavano in lui, nell’apprendere
il difficile compito della diplomazia, un maestro di altissima classe. Egli
infatti sapeva applicare la sua attenzione non soltanto alle grandi questioni ed
ai gravi problemi politici, ma anche ai dettagli, talvolta rilevantisi di
notevole interesse, dell’esistenza diplomatica quotidiana. Estremamente miope,
Bernardo Attolico poteva sembrare talvolta assente e lontano negli ambienti
sociali e diplomatici da lui frequentati. Viceversa per la sua intelligenza
naturale, per la sua tenacia e per la sua abilità, era sempre tra gli agenti
stranieri tra i meglio informati e riusciva a farsi circondare dalla
considerazione di tutti. Di aspetto piuttosto stanco, egli doveva poi morire nel
1942, in ancora valida età, veramente consumato dal lavoro tenacemente compiuto.
La Gazzetta del Mezzogiorno del 12 febbraio 1942 riportava:
«LE SOLENNI ONORANZE DI ROMA ALLA SALMA DELL’ AMBASCIATORE ATTOLICO. Le condoglianze alla vedova da
parte del Papa, dei Sovrani e di Hitler. ROMA. I funerali dell’Ambasciatore
Bernardo Attolico si sono svolti stamani nella Chiesa del Gesù. L’alta carica
ricoperta, l’opera svolta, le simpatie suscitate nella sua alacre e nobile vita
dall’illustre scomparso hanno dato alle estreme onoranze un carattere spontaneo
di solennità, carattere marcato ancora più dal numero e dal rango delle
personalità intervenute.»
http://66.71.134.199/dev/index.php?option=com_content&task=view&id=44&Itemid=197
|
Da noi i soli che fecero di tutto per allontanare il pericolo del conflitto
furono due diplomatici, l'Ambasciatore a Berlino, Attolico e quello a Mosca,
Rosso, oltre all'addetto militare a Mosca, Col. Wiel.
Il primo fu presto richiamato, su richiesta dei tedeschi, e destinato alla Santa
Sede. Con i tedeschi lo aveva minato il suo Consigliere Ministro Magistrati "yes
man" che gli faceva da contraltare. L'Ambasciatore Rosso, che prevedeva
l'estensione della guerra alla Russia, non faceva che descrivere, unitamente al
suo addetto militare, l'imponenza e la inesauribile consistenza delle risorse
sovietiche.
A far precipitare il conflitto, come noto, fu ad ogni modo l'atteggiamento
dell'U.R.S.S., cioè di Stalin desideroso, ad ogni costo, che i Paesi
"capitalisti" si azzuffassero e si distruggessero a vicenda, a maggior gloria ed
espansione del comunismo.
Il suo rifiuto alle profferte di amicizia e di alleanza anglo-francesi e la
pronta adesione all'accordo proposto da Ribbentrop furono destinati
esclusivamente a rendere inevitabile il conflitto ed a recuperare per Mosca i
confini dell'impero zarista.
Il
negoziato Ribbentrop-Molotov era avvenuto dietro le nostre spalle con
violazione da parte dei tedeschi, degli impegni del Patto d'acciaio, con grande
sdegno di Ciano che vedeva chiaramente arrivare con ciò la guerra, e con quale
preoccupazione di Mussolini, che era pur sempre anticomunista.
I primi indizi delle trattative tedesco-sovietiche si ebbero a Milano
durante l'incontro Ciano-Ribbentrop. A Salisburgo, poi, l'11 e 12 agosto 1939 si
ebbe notizia dell'imminente firma, a Mosca, dell'accordo, unitamente a quella
della decisione di aggredire la Polonia.
A questo punto si potrebbero riempire volumi interi per descrivere la
conversione che avvenne di colpo in tutti i partiti comunisti d'Europa, con
Togliatti alla testa, i quali divennero immediatamente filotedeschi e
cominciarono a sabotare lo sforzo di riarmo dei Paesi occidentali volto contro
la minaccia del nazismo.
L'11 e 12 agosto 1939 a Salisburgo e Berchtesgaden, com'è noto, Ribbentrop disse
al nostro Ministro che l'invasione della Polonia era stata decisa per il fatto
che essa non accettava le richieste esorbitanti dei tedeschi. Ciano, molto
impressionato, perorò la causa della pace e della convocazione di un'altra
Conferenza. Disse che altrimenti sarebbe stata la guerra generale. Ribbentrop si
mise a ridere rispondendo che i francesi e gli inglesi, corrotti e imbelli, non
si sarebbero mai mossi. A questo punto Ciano fece intendere che i tedeschi si
erano spesso ingannati in politica estera e che, comunque, era la seconda volta
che la Germania violava il Patto d'acciaio prendendo gravissime iniziative, come
l'accordo con l'URSS e la guerra alla Polonia, senza consultare
previamente l'alleato italiano come da impegni assunti, ripetendo così
l'atteggiamento del 1914 della Germania e dell'Austria verso l'Italia.
Poco dopo ripetè le stesse cose inutilmente anche con Hitler. Queste
affermazioni di Ciano dovevano costargli la vita. Infatti furono Ribbentrop e
Hitler che prepararono la fucilazione di Ciano a Verona nel 1943 prendendo a
pretesto il voto del Gran Consiglio contro Mussolini. Ad un pranzo offerto da
Ribbentrop Ciano si alzò prima della fine e se ne andò, seguito da tutti i suoi
collaboratori, dopo aver rivolto un freddissimo saluto all'anfitrione. Arrivato
nel cortile si avvide che non c'erano le macchine ufficiali. Ovviamente gli
autisti, ritenendo il pranzo di durata normale, erano andati a rifocillarsi, al
che Ciano ad alta voce e sghignazzando disse: Mi pare che anche qui in Germania
ci sia molto disordine".
Appena tornato a Roma il Ministro degli Esteri si adoperò — troppo tardi — per
impedire o almeno ritardare il più possibile l'entrata in guerra del nostro
Paese, palesando anche apertamente il suo spirito antitedesco, specie fra i suoi
ammiratori.
 |
Roberto Farinacci |
Riuscì a far accettare dal Duce il progetto di dichiarazione della "non
belligeranza" che purtroppo durò solo pochi mesi perché Mussolini, per quanto
infastidito dall'atteggiamento dei nazisti, era sempre più bellicista e non
ascoltava il suo Ministro degli Esteri e i suoi Ambasciatori, ma piuttosto le
sollecitazioni dei due individui più sprovveduti del suo regime:
Farinacci e il
giornalista
Mario Appelius, fervidi interventisti filo-tedeschi.
Dino Grandi, ormai Ministro di Grazia e Giustizia e Presidente della Camera, —
dopo il doppio tradimento tedesco per non avere consultato l'Italia prima di
dichiarare la guerra alla Polonia e prima di avviare le trattative del Patto di
amicizia con l'URSS che rovesciava completamente la politica seguita fino allora
— sosteneva con ragione che si doveva denunciare l'alleanza, ma Mussolini aveva
paura della reazione dei tedeschi e temeva di essere considerato da loro un
traditore dell'amicizia tra i due regimi.
pag 88....omissis....pag. 94
Intanto il Duce aveva riunito la Commissione Suprema di Difesa che avrebbe
dovuto discutere la eventualità di una dichiarazione di guerra. Egli diede la
parola via via a tutti i presenti, ma nessuno ebbe il coraggio di opporsi
decisamente all'entrata in guerra; meno di tutti Badoglio che invece approvò le
proposte del Duce circa una guerra di breve durata (!), anche se ciò contrasta
con quanto scritto dalla sua cugina biografa, signora Vailati, sua ammiratrice.
L'unico che coraggiosamente parlò della impossibilità di sostenere uno sforzo
bellico di qualche intensità fu il
Generale Favagrossa, Commissario alle
fabbricazioni di guerra, che insistette a lungo sulla assoluta deficienza di
scorte di materie prime per la industria e di petrolio per le forze armate,
aggiungendo che i tedeschi non onoravano gli impegni presi di rifornimenti
all'Italia mandandoci col contagocce quanto da noi richiesto. Se Badoglio,
considerato purtroppo l'esperto, il tecnico (!) si fosse opposto e dimesso dalla
sua carica, certo lo avrebbe seguito almeno una dozzina di generali, ammiragli e
ambasciatori e ciò avrebbe offerto il destro al Re per respingere la
dichiarazione di guerra. Badoglio era l'unico che aveva il diritto e il dovere
di farlo, perché, come diceva la legge istitutiva della carica di Capo di Stato
Maggiore generale, la sua era una mansione politico-militate.
Il
Ministro della Real Casa, Acquarone, per giudicare quanti membri del Gran
Consiglio erano contrari alla guerra, conferì con loro ottenendo la
dimostrazione che nessuno aveva il coraggio di prendere una iniziativa del
genere e Mussolini poi non si degnò nemmeno di convocare la massima Assise del
regime, violando così la stessa legge da lui voluta.
Il Re, pur avendo accettato la dittatura, si riteneva ancora un sovrano
costituzionale e avrebbe voluto, per arrestare gli eventi, che prima un organo
ufficiale si pronunciasse. Non riunendosi più il Parlamento lo avrebbe dovuto
fare il
Gran Consiglio.
Molti incolpano il Re per non essersi opposto alla Guerra: bisogna però
riconoscere che la cosa sarebbe stata molto difficile se non addirittura
impossibile in quanto il Sovrano era ormai privo di potere. Quando quasi tutti i
cosiddetti "esperti" si erano dimostrati favorevoli, al Capo dello Stato, in
quelle condizioni, restava poco da fare.
La colpa della leggerezza con cui fu presa la decisione oltre che a Badoglio
risale anche allo Stato Maggiore da lui allevato, in quanto agli alti gradi egli
aveva permesso di salire solo ai suoi protetti, per lo più generali inetti e
politicanti.
Lo Stato Maggiore, infatti, nelle relazioni sulla "situazione" che, durante
tutta la nostra "non belligeranza", inviava al Duce e ai componenti la
Commissione di Difesa — tra i quali il Ministro degli Esteri — non faceva che
magnificare la invincibilità della Francia arroccata dietro la "imprendibile"
linea Maginot e servita dal primo Stato Maggiore del mondo (secondo i livelli
badogliani!), vero osso duro per i tedeschi ancora impreparati! Venivano invece
minimizzate le possibilità degli inglesi, perché non avevano molte divisioni di
fanteria!
Del fatto che la Gran Bretagna fosse un'isola difesa da una potente flotta e da
una moderna aviazione e rifornita di materiali e di appoggi finanziari e
politici dall'America, nemmeno una parola!
Pertanto, quando la Francia fu debellata cadendo quasi senza combattere (si
parlò di sole poche migliaia di morti francesi durante tutta l'offensiva
tedesca) per non essere completamente distratta come la Polonia, i cosiddetti
"responsabili" ed "esperti" (primo fra tutti Hitler) credettero
la guerra praticamente vinta e quindi, secondo loro, anche noi, pur se
impreparati, potevamo entrare nel conflitto che sarebbe durato, al massimo, tre
mesi!
I cosiddetti esperti ingannarono anche il Re e Mussolini i quali
commisero l'immenso errore di acconsentire, conducendoci alla rovina. In parte
vanno perdonati i due capi perché molto hanno amato l'Italia: hanno però
sbagliato illudendosi di fare grande la Patria. Ma lo sbaglio è stato enorme!
Frattanto dagli Stati Uniti Roosevelt aveva fatto un estremo tentativo, anche se
alquanto tardivo. Aveva fatto sapere a Mussolini che, se l'Italia fosse rimasta
fuori della guerra, al momento della futura pace l'America avrebbe imposto tutto
il suo peso per farci avere dei compensi (Corsica e Tunisia). Purtroppo era come
parlare dell'eredità a babbo morto. Avuta da Mussolini una risposta poco
cortese, il Presidente americano pregò il Papa di intervenire perché l'Italia si
mantenesse fuori del conflitto. Il Papa affidò il compito al
P. Tacchi Venturi
che si diceva fosse quello che aveva convertito il Duce e lo aveva fatto
sposare. Mussolini però non lo volle ricevere, sapendo cosa sarebbe venuto a
dirgli. Lo fece ricevere da Ciano dal quale io lo accompagnai. Il Ministro,
presso il quale P. Tacchi Venturi insisteva ripetendo le promesse rooseveltiane,
dovette rispondere che ormai era troppo tardi, che la guerra era decisa e la
dichiarazione della stessa avrebbe seguito a brevissima scadenza. Il povero
vecchio gesuita ne fu sconvolto ed uscì stordito e barcollante dalla stanza di
Ciano, tanto che io dovetti sorreggerlo quando lo vidi comparire nella sala
d'aspetto, detta del Colleoni, temendo gli venisse un malore. Egli, nello
smarrimento, invece di riprendere il cappello da prete posato sul tavolo di
marmo al centro della sala, si stava mettendo in testa il portacenere che era
vicino!
Ciano, più prudente e meno esaltato di Mussolini, stava imbastendo un piano che,
a quanto pare, consisteva nel costituire, sotto la presidenza dell'Italia, una
lega di Paesi neutrali: Spagna, Turchia, Svezia, Giappone che non era ancora in
guerra, Argentina, Brasile, etc. Questa Lega abbastanza forte poteva arbitrare
la pace non appena i belligeranti dimostrassero segni di stanchezza e di
delusione. Ma l'azione di Ciano era stata troppo tardiva, debole e indecisa.
Tutti eravamo sconvolti e preoccupati, come il bravo P. Tacchi Venturi. Il
timore più grave tra alcuni di noi diplomatici che conoscevamo gli Stati Uniti,
era soprattutto un possibile intervento dell'America nel conflitto, cosa che
avrebbe fatto mutare la situazione in modo assolutamente disastroso per noi.
Intanto gli avvenimenti precipitarono e si arrivò alla dichiarazione formale di
guerra. Noi procedevamo tradizionalmente — non alla giapponese! — Fui pertanto
incaricato di convocare separatamente a mezz'ora di distanza l'uno dall'altro
gli Ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. L'inglese venne e Ciano gli
lesse la nota che, dopo brevi considerazioni, dichiarava che l'Italia si sarebbe
ritenuta in stato di guerra con l'Impero britannico a partire dalla mezzanotte
del io giugno. Da buon anglosassone l'Ambasciatore non si scompose, pregò invece
Ciano di rileggergli lentamente la nota per poter prendere appunti.
Invece il francese
Francois Poncet, che era stato prima Ambasciatore a Berlino e
aveva già ricevuto la dichiarazione di guerra del Reich al suo Paese, uscendo da
Ciano per entrare nell'ascensore da me accompagnato aveva le lagrime agli occhi
e disse: "la France est perdue".
La Francia infatti era crollata
ignominiosamente opponendo scarsa resistenza, il fronte popolare e i governi
socialisti avevano minato il morale dell'esercito e del Paese. I
poveri morti di Verdun dovevano rivoltarsi nelle loro tombe!
I tedeschi avevano sfondato il fronte conquistando, senza
colpo ferire, il forte munitissimo di
Eben Emael
che formava cerniera fra lo
schieramento francese e quello belga... che aveva scarsissima difesa contraerea
attiva! Erano stati pochi paracadutisti germanici ad atterrare con alianti fra
le cupole corazzate del forte e a infilare con le mani dei cartocci di gelatina
esplosiva nelle volate dei pezzi! La guarnigione del forte era uscita con le
mani alzate e si era arresa. È noto che il nostro Stato Maggiore aveva fornito a
quello tedesco i piani del forte, piani procurati da un tenente colonnello del
Genio che era emigrato in Francia anni prima fingendosi antifascista e comunista
e aveva lavorato per molto tempo come cementista alla costruzione delle
fortificazioni e le aveva fotografate. I tedeschi avevano
rifabbricato, in una radura di una foresta, un modello al naturale e su questo i
loro paracadutisti si erano allenati, per mesi, all'operazione! Dalla breccia
così creata le forze germaniche si erano riversate a tergo della Maginot che
cadde per aggiramento.
La "dróle de guerre"
e la propaganda dei comunisti divenuti filonazisti dopo
l'accordo Ribbentrop-Molotov, avevano distrutto la compagine dell'esercito
francese. Per di più l'inetto comandante in capo,
Gamelin, generale massone e
politicante degno amico di Badoglio, non aveva provveduto le fortificazioni di
moderne armi contraeree, né le truppe mobili di sufficienti pezzi anticarro per
cui dovevano sparare contro i corazzati tedeschi con i vecchi cannoni da 75 da
campagna, inadatti allo scopo. Inoltre, cosa ancor più grave, aveva spedito
verso il Nord, per aiutare i Belgi che combattevano molto fiaccamente ed erano
poco e male aiutati dal Corpo di spedizione britannico, i Corpi d'armata della
riserva strategica destinati invece a tappare le falle che eventualmente si
fossero aperte nelle fortificazioni.
Si era in una parola verificato alla lettera quanto aveva insegnato mio Padre
all'Accademia di Modena molti anni prima e che cioè le fortificazioni senza
sostegno di truppe mobili sono destinate a durare poco. E sì che l'avanzata
tedesca era stata realizzata da punte corazzate non eccessivamente forti, bensì
appoggiate dagli Stukas in perfetta cooperazione con le truppe di terra. Questo
era stato il segreto del "blitz Krieg" tedesco. Non appena infatti si incontrava
un centro di resistenza francese, chiamati per radio arrivavano i bombardieri in
picchiata ad infrangere la resistenza, creando però più terrore che gravi danni.
L'avanzata tedesca era stata tanto rapida e il disordine francese tanto grande
che non erano stati fatti nemmeno saltare molti ponti sui fiumi né i depositi di
benzina e alcuni reparti di carri tedeschi, molto distaccati dal grosso delle
forze di fanteria che avanzava a piedi a distanza, si erano riforniti di
carburante addirittura alle stazioni di servizio civili sulle strade principali!
Il
Generale Gamelin fu finalmente destituito e a lui successe il
Generale Weygand, un vero soldato molto in gamba anche se anziano e che cercò come potè
di riorganizzare l'esercito e di imbastire una disperata resistenza, ma ormai
era troppo tardi e i tedeschi dilagavano ovunque.
I francesi, alla nostra entrata in guerra, accusarono subito
la "sorella latina" di tradimento e di pugnalata nella schiena. Queste erano
esagerazioni perché, se in una cosa Mussolini era stato chiaro, anche troppo,
era proprio nelle minacce di guerra e nelle rivendicazioni contro la Francia i
cui governi le avevano invece considerate un bluff. Bene, quindi, rispose il
nostro primo Incaricato d'Affari a Parigi, dopo la guerra ad un francese che
ripeteva dette accuse, dicendogli: "Non nelle spalle ma nella pancia vi è stato
piantato il pugnale, perché le spalle le avevate già rivolte ai tedeschi,
scappando!".
L'inizio delle ostilità da parte nostra però dimostrò quello che temevamo e cioè
l'insufficienza del comando e la mancanza di armi moderne ed efficaci.
Sarebbe stato assolutamente necessario prendere Malta di sorpresa alla prima ora
del primo giorno di guerra... alla giapponese. Sarebbe bastato un reggimento di
paracadutisti, perché Malta mancava allora di efficienti difese contraeree e di
truppe di terra, mentre abbondava di grosse artiglierie navali, ma noi non
avevamo allora né i paracadutisti né tanto meno aerei adatti a trasportarli!
"AGGREDISCI E
VINCERAI"
Storia della divisione motorizzata 'Trieste' di Salvatore Loi Ed. Mursia.
Nell'aprile
del 1943, il fronte d'Africa si è ormai ristretto alla Tunisia e degli entusiasmi che hanno accompagnato le imprese di Rommel attraverso la Marmarica,
rimane soltanto il ricordo. In quei giorni, a Takrouna, la "Trieste" è impegnata
nella sua ultima, eroica battaglia nel disperato tentativo di arginare
l'avanzata dell'8ª armata britannica. Si conclude così la sua storia gloriosa,
iniziata sul fronte occidentale contro la Francia nel 1940 e proseguita l'anno
successivo in Africa settentrionale dove combatte, da Tobruk a El Alamein, in
coordinamento con l'Afrikakorps di Rommel e nella successiva ritirata verso il
confine tunisino. Prima della resa di Capo Bon del 13 maggio 1943, la 101ª
divisione motorizzata "Trieste" viene sciolta ufficialmente. Nel dopoguerra le
tradizioni legate al suo nome sono ereditate da altri reparti dell'esercito
italiano. |
In Libia, nel deserto, si avanzava lentamente a piedi! Due unità di meharisti
libici, la spada dell'Islam tanto decantata dal Duce, si squagliarono come neve
al sole ai primi colpi di cannone, dimostrando la incapacità degli arabi a
combattere una guerra moderna e lasciando ufficiali e sottufficiali italiani in
mezzo al deserto alla mercé del nemico. Tra di essi c'erano due miei colleghi
che erano partiti volontari.
Cominciava qualche incursione di aerei nemici. La Milizia contraerea, cui era
demandata la difesa del territorio, composta di vecchietti male in arnese che
andavano alle loro postazioni la sera con fiaschi e fagotti di vettovaglie,
apriva il fuoco all'impazzata, spesso non curandosi nemmeno di graduare a tempo
le spolette delle granate che pertanto scoppiavano quando ricadevano in città! E
vero che anche se avessero saputo sparare, con i pezzi in loro dotazione, non
avrebbero fatto di più contro il nemico.
Sul fronte occidentale si avanzò al massimo, in alcuni punti, una decina di
chilometri sino alla prima forte linea di difesa francese e conquistando alcuni
bunkers, occupando Mentone e qualche altro villaggio. Al Piccolo S. Bernardo un
incapace generale d'armata, protetto da Badoglio, fece distruggere alcune decine
di carri perché dovevano scendere in fila indiana dal Passo lungo la strada
nazionale dove venivano presi d'infilata dalle batterie in caverne francesi! Se
c'era un punto impraticabile ai carri — che non potevano distendersi sul terreno
— era proprio quello! Almeno Cadorna, nella prima guerra mondiale, silurava i
bestioni come quello, senza pietà: in complesso fu un insuccesso totale.
L'armistizio con la Francia scoppiò all'improvviso in quanto i tedeschi non
vollero procrastinarlo per darci tempo di migliorare le nostre posizioni. La mia
unità, Divisione motorizzata Trieste che era stata accampata nel Monferrato in
attesa dello sfondamento del fronte che, come era logico, non poteva avvenire,
fu rimandata indietro. Io, insieme agli altri colleghi diplomatici, fui
congedato su richiesta del Ministero degli Esteri che aveva bisogno dei suoi
funzionari — allora eravamo veramente pochi — per costituire le "Commissioni
d'armistizio" nei territori occupati: Savoia, Varo, Corsica e in Tunisia e
Algeria che scioccamente i tedeschi non vollero occupare, illudendosi ancora di
poter combinare... una pace con le Potenze occidentali.
Quel richiamo al Ministero non mi fece diventare un eroe ma forse mi salvò la
vita, perché la Divisione motorizzata Trieste, cui appartenevo, fu poi mandata
in Libia e quasi completamente distrutta. Moltissimi miei compagni ufficiali di
complemento caddero in combattimento e molti altri furono feriti e finirono
prigionieri in India.
Hitler, dopo lo sfondamento del fronte francese, commise uno dei più gravi
errori di tutta la guerra, errore che forse gli costò la vittoria. Egli aveva
sempre ritenuto di poter fare la pace con gli inglesi (in questo contesto
bisogna considerare l'iniziativa assurda di Hess paracadutatosi in Scozia per
offrire la pace) dimostrando di non conoscere affatto la tenacia degli stessi
pur considerandoli cugini e... ariani, soltanto corrotti dal capitalismo! Le
illusioni hitleriane erano pazzesche, tanto più con il nuovo
governo di
Churchill che aveva energia da vendere e tutto il mordente che mancava ai suoi
predecessori. Il Fùhrer non era mai uscito dalla Germania, ma nella sua immensa
presunzione pretendeva di conoscere il mondo e sapere tutto!
Pertanto egli, pur avendolo circondato e potendolo distruggere data la
supremazia aerea che aveva in quel momento, lasciò reimbarcare il Corpo di
spedizione britannico, le uniche truppe addestrate di cui il Regno Unito allora
disponeva e che a dire il vero non si erano coperte di gloria sul suolo
francese. Gli inglesi si fecero gran vanto del successo della loro ritirata
strategica attraverso la Manica — che infatti era l'unica cosa da farsi — ma il
merito va piuttosto attribuito alla dabbenaggine di Hitler che diede ordine di
non spingere le cose a fondo contro il Corpo di spedizione e che dirottò
l'offensiva tedesca verso Parigi ove egli voleva entrare e godere il trionfo.
In quel frattempo Hitler tenne un Consiglio di guerra. In esso il grande
Ammiraglio Raeder — che aveva fatto requisire e raggruppare i natanti di ogni
genere nei Paesi occupati dalla Norvegia alla Francia — espose il suo piano di
sbarco sulle coste inglesi. Bisogna, egli spiegò, sbarcarvi tre Corpi d'Armata:
uno forse sarebbe stato perduto in mare ma gli altri due sarebbero
 |
Stukas del VIII Fliegercorps - fronte Russo-Polacco |
arrivati e
bastati ad occupare il Regno Unito che in quel momento non disponeva di
armamenti sufficienti.
L'impresa, anche se molto rischiosa, era forse fattibile e comunque era l'unica
che avrebbe permesso di chiudere vittoriosamente il conflitto, prima di un
eventuale intervento decisivo americano che molti di noi diplomatici paventavamo
sempre. Ma Göring, già pieno di droga e di grasso, si oppose al progetto,
dicendo che era inutile rischiare in mare la vita di tanti prodi soldati
tedeschi; avrebbe messo lui in ginocchio l'Inghilterra con la Luftwaffe! La
profezia però si dimostrò erronea. Si era dato tempo ai britannici di rafforzare
le loro formazioni aeree da caccia che potevano venire dirette a massa sulle
formazioni della
Luftwaffe tempestivamente scoperte dai radar che i tedeschi
ancora non avevano.
Circa la discussione al Consiglio di guerra germanico noi avemmo qualche sentore
attraverso i nostri ufficiali di collegamento col comando tedesco. Il meglio
informato di tutti, e per questo sempre in urto con la nostra Ambasciata in mano
ad incompetenti, come Alfieri, che era succeduto ad Attolico, era il maggiore
Renzetti nominato Console Generale a Berlino. Costui era intimo amico di Göring
e di altri gerarchi, nonostante avesse una moglie svedese, ebrea.
Giuseppe Renzetti
nasce ad Ascoli Piceno il 4 novembre 1891.
Nel 1911 è sottotenente di fanteria. Al termine della guerra di Libia, nel corso
della quale ottiene alcune decorazioni e ricompense, è destinato al 26°
reggimento di Fanteria a Piacenza. Nel 1913 è assegnato al 17° Reggimento di
Fanteria, in Ascoli Piceno. Viene promosso tenente nel 1914, capitano nel corso
della I guerra mondiale, maggiore nel 1918. Numerose altre decorazioni ed
onorificenze si aggiungono a quelle già guadagnate. Raggiunge il grado di
colonnello nel 1939, con anzianità riferita al 1937. Nel corso della sua
carriera diplomatica, però, come pure nei testi storici che trattano di lui, è
identificato come il "maggiore" Renzetti. Alla fine della guerra è designato
membro della missione militare italiana per l'Alta Slesia e, successivamente,
comandante della sezione italiana nell'ambito della Commissione militare
alleata.
Durante la permanenza in Alta Slesia Renzetti stringe numerose amicizie che
risulteranno preziose nei lunghi anni che trascorrerà a Berlino. Qui nel nel
marzo 1922 conosce Mussolini.
Nel 1924 ricopre la carica di console generale italiano a Lipsia, fino al 1926.
Di lì a poco, nel gennaio 1927, si sposa con Susanne von Koch, figlia di
notabili ebrei di Gleiwitz.
Designato fiduciario dei Fasci all'estero nello stato germanico, si lega ai
movimenti della destra tedesca. E' Presidente della Unione Italiana delle Camere
di Commercio a Berlino, carica che gli è stata affidata a copertura del suo
reale incarico, che è quello di mantenere contatti tra Mussolini e gli esponenti
della destra tedesca. Mantiene tale ruolo dal 1929 al 1933 e, dopo che i nazisti
hanno assunto il potere, rimane un canale d'informazioni privilegiate. Diviene
prima reggente e poi Console generale d'Italia a Berlino. L'avvento dei nazisti
al potere rende difficile la convivenza di Renzetti con l'ambasciatore a
Berlino, Cerruti il quale ne ottiene l'allontanamento con disappunto dei nazisti
i quali a loro volta ottengono che Cerruti venga trasferito in altra sede e
Renzetti, dopo aver trascorso alcuni mesi come console generale d'Italia a San
Francisco, ritornerà ad occupare la medesima carica a Berlino. Göring
sull'accaduto attribuisce un ruolo negativo determinante alla moglie di Cerruti,
definita con un certo disprezzo “ebrea ungherese”, quando anche la moglie di
Renzetti apparteneva alla stessa razza! Il ritorno di Renzetti a Berlino,
quindi, è stato provocato da pressioni tedesche recepite da Ciano ma,
molto probabilmente, anche da Mussolini. Renzetti infatti era stato l'uomo di
fiducia del Duce, incaricato di mantenere rapporti con i rappresentanti della
destra tedesca e, soprattutto con i nazionalsocialisti dopo le loro prime
affermazioni elettorali. In tale veste aveva acquistato la piena fiducia e
l'amicizia di Hitler, Göring e tanti altri gerarchi, che cercavano una via di
comunicazione sicura e diretta con Mussolini. Alla fine del 1936 egli è di nuovo
a Berlino, come reggente del consolato generale. Nel giugno 1941 si trasferisce
a Stoccolma come inviato straordinario e ministro plenipotenziario in Svezia.
Dopo il 25 luglio 1943 collabora con il governo di Badoglio e, al termine del
conflitto, viene sottoposto ad epurazione. Risiede gli ultimi anni a Sarnano e
il 27 novembre 1953 muore a Castellina Marittima. |
Renzetti, ex ufficiale di carriera, primo "missus dominicus" di Mussolini in
Germania, era stato incaricato di portare i fondi, concessi dal Duce, ai nazisti
quando essi non erano ancora al potere e avevano bisogno di denaro. Il nostro
Console Generale era un uomo molto intelligente e moderato e aveva anche il
grande pregio di parlare chiaro e fornire oneste informazioni.
Per quanto riguarda la continuazione della guerra, ancora una volta avevano
avuto ragione i marinai tedeschi che conoscevano il mondo esterno e quindi
sapevano dove bisognava colpire per definire il conflitto, mentre per i capi
militari di terra l'ossessione era di occupare la maggiore estensione possibile
di territorio, cosa che, se procurava alcuni rifornimenti di materie prime,
indeboliva anche gli schieramenti che diventavano troppo estesi.
Anche nella prima guerra mondiale, dopo la battaglia d'arresto di Verdun,
l'Ammiraglio von Tirpitz
aveva tentato di ottenere dal Kaiser l'autorizzazione
ad attaccare in forze la flotta britannica, ma non era stato ascoltato e la
guerra era stata perduta.
Per la sua iniziativa Raeder fu condannato a 25 anni di galere a Norimberga e sì
che era solo un soldato, non un criminale di guerra. Gli inglesi gli fecero
pagare la loro paura retrospettiva! E dire che molti, da noi, ammirano ancora la
giustizia anglosassone!
La nostra guerra in Mediterraneo e in Africa continuava in modo assolutamente
insoddisfacente con alti e bassi che ne facevano prevedere una lunga durata e
una fine disastrosa. Malta continuava ad essere la spina nel fianco che ci
avrebbe fatto perdere più della metà della nostra flotta mercantile e militare.
Pagavamo cara la sua non neutralizzazione all'inizio delle ostilità. Sentivamo
soprattutto la mancanza di portaerei — che Balbo non aveva voluto temendo che
gli sfuggisse il controllo dell'aviazione imboscata — e del radar. E pensare che
la scoperta delle onde elettromagnetiche riflesse su cui si basava il radar era
stata fatta alla fine degli anni '20 da un nostro ufficiale di marina che le
autorità navali non presero sul serio, tanto che gli permisero di vendere il suo
brevetto alla... Gran Bretagna! Si sentiva anche la deficienza di nafta, di
moderni aerei da ricognizione e da scorta.
In Etiopia, dopo un brillante inizio con l'occupazione delle Somalie britannica
e francese, di fronte all'invio di ingenti rinforzi nemici ci si dovette
chiudere sulla difensiva. Ci fu solo una eroica resistenza con armi e mezzi
preistorici e insufficienti, senza benzina, senza medicinali per curare i feriti
e con scarsità di munizioni.
Finite le munizioni e i rifornimenti, l'Impero cadde e il Viceré Duca d'Aosta
mori in prigionia per una grave malattia mal curata dai medici inglesi. Queste
cose Mussolini e Badoglio avrebbero potuto immaginarle prima di dichiarare la
guerra!
Si deve notare, in questa lotta coloniale, la fedeltà e l'eroismo delle truppe
di colore anche etiopiche; solo i libici scappavano come lepri!
In questo periodo accadde un altro episodio doloroso. Un nostro sommergibile,
affondato nel Mar Rosso con la morte di tutto l'equipaggio, era tornato
stranamente a galla, permettendo agli inglesi di recuperare il cifrario con il
quale dettero per qualche tempo falsi appuntamenti e prepararono agguati ad
altri nostri sommergibili, affondandone parecchi.
Un altro problema per la Marina fu costituito dall'invio di alcuni sommergibili
di forte tonnellaggio nell'Atlantico. Lo stretto di Gibilterra non poteva essere
attraversato nemmeno di notte a quota periscopica per la presenza di numerose
navi pattuglia in quelle acque munite di radar. La traversata dello stretto,
fatta alla cieca, si rivelò molto pericolosa perché la Marina non aveva
provveduto in tempo di pace a fare esperimenti o addestramenti in proposito. Chi
pensava mai di fare la guerra alla Gran Bretagna dotata allora della più forte
marina mondiale?
Un grosso inconveniente che avevano i nostri sottomarini era la scarsa velocità
di immersione e di navigazione subacquea. Questo guaio provocò la perdita di
molti sommergibili e l'Ammiraglio Doenitz se ne accorse subito non appena essi
arrivarono alla base atlantica di Bordeaux: avevano oltretutto delle
sovrastrutture troppo grandi che ne diminuivano la penetrazione e quindi la
velocità nell'acqua.
Altro errore di costruzione, che provocò gravi perdite, fu quello degli
incrociatori della classe Pola, Trieste, Fiume, Trento, che erano veloci ma
pochissimo corazzati anche nelle parti vitali. Bastava un colpo di piccolo
calibro ben centrato per fermarli... ma il difetto più grave fu quello della
mancanza di portaerei e di radar e pertanto di una aviazione efficiente per la
scorta.
Pareva che Mussolini e Hitler facessero a gara con le loro iniziative per
perdere la guerra. Avevamo poche forze efficienti per un solo fronte ed ecco che
continuavamo a disperderle! Così il Duce mandò una nostra unità aerea in Belgio
per bombardare l'Inghilterra. Fece poco danno e perdemmo molti aerei, perché non
erano attrezzati sufficientemente per atterrare e volare nella nebbia
persistente da quelle parti. Finalmente si capì che si doveva neutralizzare
Malta che fu sottoposta a forti bombardamenti anche da parte di un corpo aereo
tedesco stanziato in Sicilia. I risultati effettivi
furono scarsi, perché colpivano delle case e non danneggiavano le fortificazioni
che erano tutte nelle gallerie delle montagne. L'effetto più importante fu
quello di isolare Malta che non poteva essere rifornita da convogli di navi. Ma
sul più bello, quando l'isola era ormai agli estremi, i bombardamenti furono
sospesi!
In mancanza di grandi successi bellici vi fu un fiorire di atti di eroismo e di
magnifico comportamento soprattutto tra i reparti di bersaglieri ed alpini. La
Milizia fascista non combinò nulla di buono, mentre eroica fu la resistenza del
battaglione giovani fascisti in Libia: erano tutti giovanissimi volontari sui 18
anni. Meritevoli di grande elogio gli equipaggi dei sommergibili e dei mezzi
d'assalto della Marina nelle audacissime incursioni nelle rade di Malta, di
Gibilterra e di Alessandria contro grosse navi inglesi.
Di encomiabile valore le azioni dei nostri aerosiluranti che pure disponevano di
un mezzo assolutamente inadeguato, il bombardiere "S 79", la "bonne à tout faire".
Un giorno, nei primi tempi della guerra, venne a trovarmi al Ministero degli
Esteri l'amico Conte Giovanni Bonmartini che era stato richiamato come Maggiore
dell'Aeronautica. Egli era uno sportivo e un tecnico di valore, oltre che
corridore automobilista e pilota di aerei. Aveva costruito, a sue spese insieme
al Principe Lancelotti, l'aeroporto del Littorio, oggi dell'Urbe, e aveva
cooperato alla costruzione della
motocicletta carenata "Rondine", detentrice del
record mondiale di velocità alla guida del
corridore Taruffi.
Bonmartini, o Ninetto come lo chiamavano tutti, mentre mi spiegava come le cose
andassero male, aggiunse: e pensare che se avessimo duecento aerosiluranti
moderni potremmo fare fuori la flotta inglese!". Aggiunse che l'aereo adatto
esisteva ed era il "Re.2000" delle Officine Reggiane, un aereo i cui piani erano
dell'Ing. Bellanca, siciliano che aveva avuto molto successo in America.
Tale
aereo era in grado di trasportare un siluro a notevoli distanze e dopo averlo
sganciato tornava ad essere un caccia moderno e veloce, capace quindi di
difendersi vantaggiosamente dai caccia delle portaerei britanniche e anche di
evitare il fuoco antiaereo, date le sue doti acrobatiche e i suoi 600 Km
all'ora. Qualora comunque fosse stato colpito si sarebbe perduto solo un uomo e
non sette e un apparecchio monomotore.
Una tattica del genere fu in effetti impiegata in seguito dai Giapponesi che
usarono, con grande successo, i loro famosi caccia "Zero" come aerosiluranti.
Bonmartini disse anche: "Bisognerebbe far sapere questo in alto loco, ma io non
posso chiedere di parlare con Mussolini, non mi riceverebbe. Io allora gli
risposi: "Perché non vai dal Re?". Cosi egli fece. Il Re, che lo conosceva, lo
ricevette subito e fu interessato alla cosa; gli disse che ne avrebbe parlato al
"Presidente", così egli chiamava Mussolini, ed effettivamente gliene parlò.
Quest'ultimo, a sua volta, ne parlò al Capo di Stato Maggiore dell'Aviazione che
mise Ninetto agli arresti per non aver seguito la via gerarchica e i "Re.2000"
non entrarono mai in squadriglia!! La scusa che le Officine Reggiane non avevano
possibilità di costruire in grandi serie è fasulla, perché bastava imporre a
tutte le Officine aeronautiche, Fiat compresa, di costruire l'unico tipo d'aereo
valido, così come fecero gli inglesi con i loro "Spitfires".
Guerra alla Grecia
Mussolini, ostinato nella sua strategia di voler aprire un nuovo
fronte quando non riusciva a sfondare su quello precedente, disperdendo così le
poche forze e i mezzi disponibili ed aggravando enormemente la situazione
generale, pensò di
invadere la Grecia. Desiderava un successo da contrapporre a
quelli grandi dei tedeschi di cui era geloso. Li detestava anche perché
operavano le loro mosse senza mai consultarlo previamente: voleva restituire
loro la pariglia!
 |
De Vecchi |
Già mesi prima un altro pazzo, il quadrumviro della Marcia su Roma,
De Vecchi di Val Cismon, Governatore di Rodi e del Dodecanneso,
aveva fatto silurare
all'improvviso, senza nessuna ragione e quando si era in piena pace con la
Grecia, il vecchissimo
incrociatore ellenico "Elli", creando un pandemonio di
proteste in tutto il mondo. De Vecchi faceva finta di nulla, ma ad accusarlo
c'erano addirittura le targhe di fabbricazione dei siluri con scritto
"Silurificio Whitehead - Fiume anno..."!
Non è che la Grecia fosse pienamente innocente, non rispettava infatti molto le
regole della neutralità. Essa dava ricetto e rifornimenti alle navi inglesi che
avevano preso l'abitudine di sostare nei porti greci per molto più tempo di
quello consentito dalle norme internazionali sulla neutralità. Questa però non
era una ragione sufficiente per farle la guerra.
Un altro sprovveduto "yes man", l'Ambasciatore Jacomoni, già nostro
rappresentante diplomatico a Tirana e poi Luogotenente Generale del Regno d'Albania, dopo l'annessione aveva dichiarato che l'occupazione della Grecia
sarebbe stata una passeggiata militare anche perché i suoi albanesi avrebbero
dimostrato tutte le loro capacità tecniche come ai tempi di... Scanderbeg! Egli
inoltre assicurava di aver prezzolato alcuni generali greci che non avrebbero
opposto resistenza, non volendo più saperne della dittatura del
Gen. Metaxas,
che oltre tutto era... un ammiratore del fascismo!
Non si sa dove finirono quei quattrini, ma anche se i generali ellenici li
avevano accettati, certo è che fecero poi, da buoni greci, il loro dovere.
Il Conte Ciano, che era stato sempre contrario alla guerra in generale, ebbe
invece il grave torto di spingere in tutti i modi l'aggressione alla Grecia,
interferendo anche indebitamente nelle questioni militari e nella nomina dei
generali comandanti in Capo suggerendo e presentandone a Mussolini diversi...
uno peggiore dell'altro! Continuava a dire a tutti stolidamente "questa è la mia
guerra". Partì di nuovo per la zona-operazioni, raggiungendo la sua squadriglia
da bombardamento: voleva forse rifarsi una verginità con Mussolini che da tempo
aveva cominciato a dubitare di lui. La politica estera quindi era lasciata in
"panne" in uno dei momenti più delicati e Mussolini assunse l'interim degli
Esteri. In pratica chi faceva tutto era il troppo filotedesco Anfuso.
A comandare il Corpo di spedizione fu nominato un altro generale badogliano,
politicante da tavolino, che però passava per uomo di alta cultura
professionale
perché da Addetto militare a Parigi aveva scritto un libro... sulla guerra di S.
Giovanna d'Arco!
Evidentemente, di fronte alla profonda ignoranza di Badoglio,
Visconti Prasca
poteva passare per un grand'uomo!
 |
Gen. Sebastiano Visconti Prasca |
Vero è, tuttavia, che valeva ancora il detto
del vecchio esercito piemontese secondo il quale per entrare nella Scuola di
Guerra e per fare carriera nello Stato Maggiore bisognava essere in possesso di
tre B e cioè essere belli, biondi e bestie! Al tempo di Badoglio le tre B
vigevano ancora, con la differenza che si poteva essere anche brutti e bruni ma
bestie sempre!
Il nostro stratega, amico di Ciano, disse che gli sarebbero bastate tre
Divisioni, tra quelle nostre divisioncelle leggere, cioè con soli due reggimenti
di fanteria e uno di artiglieria, per sbaragliare l'esercito greco. Invece
quello era stato bene addestrato e armato dagli inglesi soprattutto con
moltissimi mortai da trincea adattissimi per gli impervi terreni greci col loro
tiro curvo, mentre noi sbagliammo anche la scelta dell'artiglieria inviando i
normali reggimenti con una prevalenza di pezzi a tiro teso che in montagna
servono a poco o nulla.
Si ebbe subito la sensazione che si andava incontro a un disastro.
I reparti albanesi, tanto apprezzati da Jacomoni,
scapparono disertando e aprendo brecce fra le nostre truppe le quali rimanevano
con i mezzi pesanti impantanati nel fango delle valli dell'Epiro, dove non
esisteva alcuna strada. La resistenza delle truppe greche trincerate in
posizioni dominanti era accanita, facilitata dal terreno e appoggiata
validamente dall'aviazione britannica.
Si cominciava così a mandare rinforzi per via aerea, armati di modello 91, con
le poche cartucce che si potevano portare nelle giberne e con qualche
mitragliatrice.
I soldati poi erano stati mandati con i pantaloni estivi di tela perché
in Grecia doveva fare caldo! L'autunno sulle nude montagne dell'Epiro è
molto freddo e piovoso dato che i venti gelidi, come tutti sanno, vi arrivano
senza ostacoli dal nord-est e che quei monti non hanno nemmeno boschi ove
tagliare legna per scaldarsi. Risultato: moltissimi soldati ebbero gli arti
congelati anche perché le scarpe in dotazione fornite da qualche scarparo di
Vigevano, avevano parti addirittura di cartone. Uno di questi industriali
milanesi invece di essere fucilato quale traditore e sabotatore, come sarebbe
avvenuto in ogni Paese ordinato, ebbe dopo la guerra grandi e lucrosi incarichi
perché sedicentemente aveva fatto il partigiano nascosto forse in qualche
cantina! Molti soldati ebbero cancrene da congelamento e numerosissimi quindi
furono gli amputati e i mutilati.
Eroico fu il comportamento della
Divisione Julia degli Alpini, praticamente
sacrificata resistendo ad oltranza alla controffensiva greca onde permettere
l'arretramento del nostro schieramento.
Hitler, preoccupato, mandò un suo generale a vedere cosa accadeva in Albania. Il
generale di ritorno dalla sua ispezione fu invitato a pranzo al Circolo delle
Forze Armate a Palazzo Barberini dal Ministro conte Piero Cittadini allora Capo
del Cerimoniale, che parlava perfettamente il tedesco e anche molti dialetti
germanici, con l'incarico di farlo cantare. Cittadini fece ben mangiare e ancor
meglio bere... in vino veritas, l'alto ufficiale della Wehrmacht che,
interrogato abilmente, se ne uscì con la seguente diagnosi tacitiana,
confermando ciò che d'altronde già sapevamo: "II soldato tedesco è il migliore
del mondo, ma se avesse dovuto combattere in quelle condizioni ci avrebbe
abbandonato, il vostro invece ha resistito in condizioni impossibili, male
armato e quasi senza mangiare. I vostri ufficiali
inferiori e di grado medio sono ottimi fino al grado di colonnelli, la
maggioranza dei generali prescelti da Badoglio invece m... (parola di Cambronne)!"
Si sa bene quello che seguì.
Hitler decise di occupare Jugoslavia e Grecia, non tanto per venire incontro a
noi, come è stato detto da molti erroneamente, in quanto la fase peggiore della
nostra operazione in Grecia era superata, ma per proteggersi il fianco durante
l'esecuzione della prossima pazza mossa che doveva fargli perdere la guerra e
cioè l'invasione dell'Unione Sovietica. Egli infatti temeva uno sbarco
britannico nei Balcani mentre le sue forze erano impegnate all'Est. Questa cosa
sembrava logica se il Comando inglese, ormai fornito dall'America di abbondanti
mezzi, avesse avuto maggiore audacia, date anche le connivenze che il Governo di
Londra aveva a Belgrado oltre che ad Atene.
Dopo l'ultimatum respinto dalla Jugoslavia, ove un colpo di Stato aveva
rovesciato il governo del Reggente che cercava di barcamenarsi con le pretese
dell' "Asse", Belgrado fu bombardata e la Jugoslavia invasa da nord e da est dai
tedeschi e da ovest da noi. L'esercito iugoslavo, come era avvenuto con quello
francese, pur essendo bene armato non oppose quasi alcuna resistenza.
Mentre le colonne moto-corazzate tedesche dilagavano velocemente, le nostre
truppe, come sempre a piedi, cercavano di affrettarsi per occupare una zona
abbastanza grande e tenere quindi i tedeschi il più lontano possibile. In questa
occasione, al seguito di Ciano, che era andato a Trieste e voleva assolutamente
occupare Lubiana prima dei tedeschi, mi trovai coinvolto in una di quelle sue
iniziative impulsive e alquanto spericolate.
Partimmo dalla frontiera assolutamente disarmati: Ciano in uniforme di ufficiale
dell'Aviazione e noi in quello degli Esteri, con le nostre solite uniformi da
"marina svizzera" e risalimmo i contingenti delle nostre truppe che a marce
forzate — sempre a piedi perché la benzina difettava già da tempo — si
inoltravano in Jugoslavia. Mi ricordo così che attraversammo le linee
fortificate iugoslave, costituite da notevoli bunkers tra i monti, già del tutto
abbandonate e risalimmo il mio reggimento, il I Granatieri che — a passo di
strada — si dirigeva verso la capitale della Slovenia. È da notare che alcuni di
questi reggimenti, sempre a piedi, arrivarono fino ad Atene! Il fratello di mio
genero, tenente dell'Artiglieria alpina, attraverso la Dalmazia e la Serbia
arrivò fino al Mar Egeo consumando ben tre paia di scarponi!
Noi con Ciano superate le nostre truppe ci trovammo nel mezzo di quattro file di
soldati iugoslavi che, molto ordinatamente, ognuno con la sua arma, si
ritiravano verso l'interno: se avessero voluto accopparci lo avrebbero potuto
fare cento volte! Confesso che ero parecchio preoccupato, perché finire in quel
modo senza avere alcuna possibilità di difendersi sarebbe stato proprio stupido.
Comunque arrivammo sani e salvi a Lubiana dove erano già arrivate alcune
pattuglie e vari ufficiali italiani e ci installammo nella Prefettura. Lì venne
a parlare con Ciano il Vescovo il quale gli disse chiaramente che, pur nella
dolorosa disgrazia della sua patria, ringraziava Iddio che fossero arrivati a
Lubiana gli italiani piuttosto che i tedeschi, i quali infatti altrove avevano
già cominciato le solite deportazioni e fatte altre atrocità e chiese a Ciano la
garanzia che la città e la Slovenia da noi occupata non sarebbe stata ceduta ai
tedeschi. Egli si ricordò infatti che la dominazione di Venezia nei secoli
precedenti in Italia e in Dalmazia era stata molto civile e tollerante.
Si commise anche qui un grave errore e fu quello di non disarmare i soldati
iugoslavi che si ritiravano e che smobilitati si portarono a casa ognuno il
proprio armamento individuale. Furono queste le armi che alimentarono in un
primo tempo la guerriglia e le stragi fra serbi e croati e servirono ad
equipaggiare le prime bande partigiane contro di noi.
La Jugoslavia, soprattutto la Slovenia e la Croazia, era un Paese, dal punto di
vista agricolo, molto ricco e noi che già da tempo in Italia stringevamo la
cinghia, acquistammo una quantità di prosciutti, di formaggi e di salami,
pagando tutto regolarmente con valuta italiana che allora era ancora molto
richiesta da quelle parti. I tedeschi invece
saccheggiavano tutto, dando in cambio buoni di occupazione che non valevano
assolutamente nulla.
Alla fine della campagna di Grecia i tedeschi eseguirono uno sbarco dall'aria a
Creta ove si erano asserragliate unità inglesi. Fu una manovra audace e
brillante ma che costò molto sangue ai paracadutisti non tanto per la reazione
degli anglo-greci quanto per la natura impervia e rocciosa dell'isola e per il
vento che ostacolò l'azione. Noi contribuimmo alla conquista con un arrischiato
sbarco dal mare da parte di truppe di terra inviate da Rodi e da Scarpanto,
imbarcate su natanti di tutti i generi, scortati da una sola vecchia
torpediniera al comando del
Capitano di Corvetta Cigala Fulgosi. Lo sbarco non
finì in un disastro solo per l'audacia e il valore di questo ufficiale. Infatti
il convoglio incontrò una forte divisione navale britannica. Cigala avanzò
contro la formazione nemica a tutta la velocità consentita dalle vecchie
macchine, emettendo grande quantità di fumo per coprire il convoglio e
zigzagando si avvicinò fino a breve distanza da uno degli incrociatori — sembra
della classe York — contro il quale lanciò tutti i siluri disponibili.
L'incrociatore colpito in pieno affondò in pochi minuti corpi e beni. Cosa
stranissima la nostra unità ebbe a bordo solo qualche ferito e pochi danni.
La formazione britannica si ritirò, forse ritenendo che dietro la torpediniera
italiana ci fosse una forte formazione navale. Gli inglesi non riconobbero mai
la perdita del loro incrociatore: sarebbe stato per loro penoso dare conto di un
così poco onorevole comportamento della Royal Navy!
1941 La
HMS Valiant era una corazzata Britannica
della Classe Queen Elizabeth, gemella della
HMS Barham
e della
HMS Queen Elizabeth.
Fu costruita a Gowan nei cantieri Fairfield
Shipbuilding & Engineering Co. nel corso del 1913, e varata nel 1914.
Nel corso della I Guerra Mondiale la HMS Valiant servì nella Grand Fleet,
e prese parte alla Battaglia dello Jutland.
Tra le due Guerre fu rimodernata due volte.
All'inizio della II Guerra Mondiale, la HMS
Valiant servì nella Home Fleet, quindi nel 1941 fu trasferita in
Mediterraneo, destinata alla base di Alessandria d'Egitto.
Nel Marzo 1941 prese parte alla Battaglia di Capo Matapan; nel Maggio 1941 fu
danneggiata da bombe al largo di Creta.
Il 18 Dicembre 1941, la HMS Valiant
fu attaccata e gravemente danneggiata nella sua base di Alessandria d'Egitto da
assaltatori subacquei Italiani.
Due attacchi erano già stati portati dai sommergibili Italiani
Iride
(22 Agosto 1940) e
Gondar
(29 Settembre 1940), ma entrambi erano
falliti.
Nella
notte del 17 Dicembre, il sommergibile Italiano
Scirè si avvicinò
al porto di Alessandria e mise in acqua tre Siluri a lenta corsa, i famosi
"maiali" ed i loro equipaggi (L. Durand De la Penne, A. Marceglia, V.
Martellotta, E. Bianchi, S. Schergat, M. Marino).
I "maiali" Italiani elusero le sentinelle e
superarono le barriere anti-sommergibili, quindi si diressero verso i loro
obiettivi: le corazzate HMS Valiant e HMS Queen Elizabeth, e la
petroliera Sagone (il bersaglio originale avrebbe dovuto essere la
portaerei
HMS Eagle, ma
quest'ultima non si trovava nel porto di Alessandria).
I sommozzatori Italiani lasciarono le cariche esplosive sul fondo, vicino alle
navi nemiche: quindi emersero, e furono catturati dai marinai Britannici.
Il Comandante Italiano, Tenente di Vascello Luigi
Durand de la Penne (a sinistra), rifiutò di rivelare dove gli incursori
avevano piazzato le cariche: le esplosioni affondarono le corazzate e
danneggiarono gravemente la Sagone ed il cacciatorpediniere HMS Jarvis,
che si stava rifornendo dalla petroliera.
La HMS Valiant fu sollevata dal fondo, fu
portata nei cantieri di Alessandria e sottoposta a lavori di riparazione che
durarono sedici mesi.
Quindi, partecipò alle operazioni dello sbarco Alleato in Sicilia (Luglio 1943)
e bombardò le Forze Tedesche a Salerno nel Settembre 1943. Nello stesso mese
scortò la Flotta Italiana a Malta dopo l'Armistizio. La veneranda HMS Valiant
fu venduta per la demolizione nel 1948.
http://www.sportesport.it/wrecksEG014.htm |
Magnifica era stata anche l'azione dei mezzi d'assalto del
Tenente di Vascello Durand de la Penne nella rada di Alessandria che fece perdere alla Marina
britannica due corazzate. Non si potè avere tuttavia immediata notizia del
successo perché i nostri equipaggi erano caduti prigionieri. Infatti il
sommergibile "Scire", al comando di Valerio Borghese che li aveva portati nella
baia di Alessandria, li aveva attesi per oltre 24 ore e poi, secondo gli ordini,
era rientrato. Le due corazzate poi si erano appoggiate sul fondo della rada,
molto poco profonda, e gli inglesi erano riusciti ad impedire che si
rovesciassero. I nostri aerei della ricognizione
marittima, pertanto, essendo costretti a volare altissimi per non essere
immediatamente abbattuti dalla contraerea e dai caccia nemici, data la scarsa
velocità e il debole armamento dei vecchi Cant Z 501 e 506, poterono fornire
delle fotografie poco dimostrative: le navi già colpite erano dritte e quindi
sembravano intatte.
Fummo informati del successo dell'azione... dai giapponesi che, ovviamente,
avevano informatori ovunque, anche nella base di Alessandria! E i giapponesi si
domandavano perché ormai non tentassimo lo sbarco ad Alessandria dal mare, data
la temporanea inferiorità della flotta inglese nel Mediterraneo. Infatti quasi
contemporaneamente la maggiore portaerei inglese la "Ark Royal" era stata
affondata nel Mediterraneo occidentale da un piccolo sommergibile tedesco
comandato da un Tenente di Vascello. Questo episodio fu veramente drammatico
perché, mentre il sommergibile, che era in agguato di convogli a sud delle
Baleari, venne a quota periscopica per verificare un dubbio relativo al rumore
di eliche, si trovò proprio in mezzo a una grande formazione inglese di scorta a
un grosso convoglio. Il comandante manovrò per avvicinarsi il più possibile
contro l'obiettivo più ambito: la portaerei, contro la quale lanciò tutti i
siluri disponibili che fecero centro, causando l'immediato affondamento della
nave che si spezzò in due. Il piccolo sommergibile, però, alleggerendosi di
colpo del peso dei siluri, venne a galla come una palla di gomma nel bel mezzo
della formazione nemica. Questa, comunque, non potè reagire con fuoco di
artiglieria e tanto meno con bombe di profondità per non colpire né le proprie
navi che si trovavano intorno, né i naufraghi della portaerei che erano in
acqua. Il sommergibile potè così svignarsela e rientrare a La Spezia dove il
Comandante fu decorato della nostra medaglia d'oro e della croce di guerra con
brillanti decretatagli dal Fùhrer. Purtroppo, tuttavia, in una successiva
missione nel Mediterraneo il sommergibile e il suo valoroso equipaggio
scomparvero per sempre!
Pare che ci sia stata una riunione di Ammiragli presieduta da Mussolini per
esaminare la possibilità di sfruttare i successi descritti, ma ogni idea di
eventuali sbarchi in Egitto dovette essere abbandonata.
I nostri successi erano per lo più solo individuali o di piccoli reparti
di eroici combattenti, sia in mare che in terra e nel cielo. Le battaglie
importanti invece andavano tutte male per noi, purtroppo. La nostra flotta,
quando usciva in mare, era come se avesse gli occhi bendati, perché non
disponeva del radar che invece avevano gli inglesi. Quanto sarebbe stato meglio
avere due corazzate di meno, che tanto non servivano a niente, o dieci
sommergibili di meno e disporre invece del radar e di un paio di portaerei! Ma
le corazzate servivano alla propaganda del regime mentre gli strumenti di
efficienza non servivano!
La inesistenza di portaerei — colpa, come si è detto, di Balbo che non le aveva
volute perché temeva che gli sfuggisse il dominio su parte delle forze aeree —
toglieva alla flotta la copertura e la scorta aerea e la accecava ancora di più.
L'aviazione terrestre non aveva poi né sufficiente autonomia per volare lontano
sul mare, né sufficiente addestramento per cooperare con la Marina. Per di più
difettava la nafta e la benzina che dovevano arrivare in treno... dalla Germania
la quale ce le forniva con il contagocce!
Molto spesso si doveva rinunciare a fare uscire le navi e gli aerei per
risparmiare le sparute scorte di carburante. Come si poteva fare la guerra in
questo modo?
L'Aviazione, comunque, era quella che si trovava nelle peggiori condizioni.
Anche le sue radiocomunicazioni, il suo armamento in bombe e siluri, erano
superati o male studiati per cui i bombardamenti, specie sulle navi nemiche,
erano poco efficaci.
Come aveva avuto ragione mio Padre — che se ne intendeva — quando aveva detto
dell'aviazione di Balbo che era fatta solo per i raids sportivi e la propaganda.
Per questo era stato tenuto d'occhio dall'OVRA su ordine del triumviro il quale
tra l'altro perdette la vita su Tobruk solo per la sua strafottenza: infatti
rientrando all'imbrunire da una ricognizione sull'Egitto con il suo S 79 non
dette il prescritto segnale di riconoscimento e l'incrociatore antiaereo S.
Giorgio, ancorato nella rada di Tobruk, lo abbattè con le sue artiglierie
ritenendolo nemico.
Altri grossi guai, forse i maggiori, ci furono procurati dagli alleati tedeschi
per la loro mania di chiacchierare troppo per radio con l'Oberkommando del
Fùhrer che voleva sapere tutto nei minimi particolari.
I
tedeschi si fidavano ciecamente della ermeticità della loro grande invenzione,
la macchina cifrante e decifrante "Ultra-Enigma", che adoperavano con troppa
frequenza e per messaggi troppo lunghi e verbosi.
Era invece accaduto che i Polacchi, nei primi giorni del conflitto, si erano
impadroniti di un esemplare di questa macchina appartenente a un Comando tedesco
di frontiera. I Polacchi avevano mandato, per via aerea,
la macchina a Londra, via Svezia, e gli inglesi con la loro proverbiale tenacia
e pazienza, aiutati anche dai primi esemplari di "computer", dopo mesi e mesi di
prove e di studi erano riusciti a scoprire il metodo di cifratura della
macchina. In tale modo, intercettando i messaggi-radio tedeschi, potevano
conoscere in anticipo molte mosse dell'avversario, compresi i movimenti delle
nostre navi che i tedeschi inutilmente comunicavano all'O.K.W.
La possibilità di decifrare i messaggi — da parte del nemico — fu per i
tedeschi, e anche per noi, un altra causa della sconfitta.
Si è tanto decantata la bravura dell' "Intelligence Service" inglese: in verità
detto servizio informazioni non era né migliore né peggiore di tanti altri.
I suoi successi erano piuttosto dovuti al fatto che nei
Paesi occupati o attaccati da noi e dai tedeschi moltissimi lavoravano per gli
alleati occidentali.
Anche in Germania e in Italia molti antifascisti simpatizzavano per gli inglesi
e per questo tradivano il loro Paese, perché si trattava, di fatto, di vero e
proprio tradimento. Infatti non basta dire che essi operavano per odio al
Fascismo e al Nazismo; quando si è in guerra e con certe azioni si provoca la
morte di propri soldati innocenti che fanno solo il loro dovere si è dei Giuda e
la ..."resistenza" in questo non ha niente a che vedere.
Si diceva a Roma che anche una bellissima nobildonna napoletana, ben nota per le
sue avventure, fosse pure una informatrice del nemico, tanto che un ufficiale di
Marina, suo amico, si sarebbe suicidato perché, per leggerezza, le aveva
comunicato delle notizie. La stessa signora, durante il conflitto etiopico, era
stata l'amica di un Maggiore dell'I. S. che fungeva da Vice Console inglese a
Napoli. Si tratta della stessa gente che oggi "radicai chic" è già pronta a
tradire il proprio Paese con i comunisti e con i russi.
A Roma si diceva anche che uno dei diplomatici inglesi presso la Santa Sede,
chiuso in Vaticano, travestito da prete, facesse finta di confessare in S.
Pietro durante le funzioni e invece ricevesse e ascoltasse i suoi informatori!
Anche vari diplomatici neutrali spiavano per gli alleati tradendo lo Statuto di
neutralità che tanto decantavano. Tra di essi l'Ambasciatore di Turchia e
l'Addetto Militare svizzero; a quest'ultimo i tedeschi, che andavano per le
spicce, provocarono un incidente d'auto mortale. Si parlava anche del Ministro
della Svizzera, perché si aggirava spesso vicino alle caserme abboccandosi con i
soldati: si trattava invece solamente di un ... gay! Comunque gli fu ritirato il
gradimento.
A tutti questi guai si aggiungeva il più grave di tutti, cioè quello della
nostra disgraziata posizione geografica chiusa nel Mediterraneo, per cui si era
sorvegliati dall'occhio di Malta non accecato per tempo all'inizio delle
ostilità, oltre alla dabbenaggine del Comando della Marina che faceva partire i
convogli per la Libia dal porto di Napoli. Tutti sanno che Napoli è un grande
anfiteatro dal quale si possono vedere tutti i movimenti della rada. Era quindi
immensamente facilitato il compito delle spie che potevano comodamente segnalare
tutte le partenze e gli arrivi dei nostri convogli!
Intanto la guerra nel deserto libico-egiziano, pur con alterni alti e bassi,
andava sempre peggio per noi e per i tedeschi sopravvenuti. Mentre il nostro
materiale distrutto o logorato non poteva essere sostituito perché non ne
avevamo, — eravamo andati avanti per qualche tempo con i carri francesi Renault
preda bellica, abbastanza vecchiotti ma almeno più pesanti dei nostri — gli
inglesi ricevevano un flusso continuo di materiale nuovo e più moderno, fornito
dagli americani con convogli che potevano fare, indisturbati, il periplo
dell'Africa.
I Generali inglesi non erano davvero dei fulmini di guerra, soprattutto
Montgomery, erano però prudentissimi sapendo che il tempo lavorava in loro
favore e a nostro danno e non accettavano mai il combattimento se non avevano
forze corazzate e aerei almeno tre o quattro volte superiori ai nostri.
Guerra all'Unione Sovietica
Hitler, sempre più scalmanato e paranoico, intanto aveva preparato
l'invasione dell'U.R.S.S. che tuttavia era pur l'unica fonte di rifornimenti di
petrolio e di altre materie prime!
 |
Generale von Brauchitsch |
Lo Stato Maggiore tedesco era sempre stato contrario, e giustamente, alla guerra
sui due fronti Est ed Ovest, memore dei guai della prima guerra mondiale.
I
generali Von Blomberg e
Von Brauchitsch, veri
organizzatori della Wehrmacht, erano stati silurati da Hitler perché contrari
alla guerra in genere, in quanto prevedevano che sarebbe finita in una trappola
per la Germania presa tra due fuochi.
Nonostante tutto il Fùhrer desiderava abbattere il comunismo e acquistare per la
Germania un immenso territorio ricco delle materie prime che le mancavano. Noi,
come al solito, con una ulteriore violazione del Patto d'acciaio non fummo
consultati e Ciano ebbe sentore dell'aggressione alla Russia solo a Venezia il
15 giugno 1941 nell'incontro che vi ebbe con Ribbentrop che aveva tentato, senza
riuscirci, di ottenere dai Giapponesi un patto di assistenza militare. Allora
Ribbentrop disse che in otto settimane l'URSS poteva essere cancellata dalla
carta geografica.
Come si sa le operazioni nei primi mesi andarono benissimo e Hitler si gonfiava
sempre di più. Anche Mussolini, che non l'aveva spuntata su nessun fronte, volle
partecipare alla impresa e aprirne un altro condannando oltre centomila uomini
alla distruzione.
Il nostro Corpo di spedizione era come al solito armato malissimo e equipaggiato
anche peggio, soprattutto per il clima della Russia, oltre che male comandato,
eccetto che nel periodo del
Gen. Messe alla cui opera però si ricorreva solo in
situazioni disperate non provenendo egli dallo Stato Maggiore. Le nostre armi si
inceppavano durante l'inverno e l'Addetto commerciale a Bucarest fu incaricato
di acquistare a qualunque prezzo tutte le pelli di montone che si trovavano in
Romania per farne cappotti per le nostre truppe.
I tedeschi erano entrati in profondità in Russia per l'imprevidenza di
Stalin che non aveva voluto credere all'allarme lanciato dai suoi informatori e
anche perché aveva distrutto la testa dell'esercito sovietico con l'eliminazione
di Generali a causa delle false informazioni propinategli a suo tempo da Hitler
e di cui era stato vittima anche il
Maresciallo Tuchacewskij.
Inoltre i soldati dell'armata rossa non si battevano bene — non avevano voglia
di sacrificarsi per il regime di Stalin — e si davano facilmente prigionieri.
I tedeschi annunciarono di averne presi quattro milioni.
Sennonché con la loro solita bestiale e ottusa ferocia i nazisti condannarono
questi prigionieri e le popolazioni delle zone occupate a morire di fame e di
stenti. La cosa addirittura paradossale fu che se non fosse stato per la stupida
crudeltà di Hitler e dei suoi, la guerra tanto pazzescamente iniziata avrebbe
potuto essere vinta! Ma sarebbe stato necessario che gli occupanti, ritenuti in
un primo momento quasi dei liberatori, fossero più generosi e avessero permesso
che si costituisse un governo bianco libero per amministrare i territori
occupati. Ma quando mai degli ottusi tedeschi possono comprendere una cosa
simile? Col loro atteggiamento i nazisti furono... i migliori collaboratori di
Stalin!
Infatti i soldati russi cominciarono a battersi eroicamente non solo per amor di
Patria, ma per salvarsi. Il resto lo fece il "generale inverno" una stagione
delle più gelide a memoria d'uomo che distrusse, facendole letteralmente
scoppiare, decine di migliaia di locomotive, di autocarri, di carri armati e di
aerei.
L'armata tedesca non si risollevò più da questa spaventosa distruzione dei
propri mezzi, aggravata ancora dagli aiuti americani che arrivavano
abbondantissimi ai sovietici per mare, — via Murmansk e Arcangelsk — e dagli
errori del caporale Hitler, autopromossosi grande stratega e capo supremo
dell'Esercito. Tra l'altro egli fece ritirare anche le truppe corazzate che
erano arrivate sino nei sobborghi di Mosca, per destinarle al fronte del sud.
Pearl Harbor
Ma l'anno nefasto 1941 non doveva terminare senza un altro massimo
errore che avrebbe fatto precipitare l'entrata in guerra degli U.S.A. (che noi
diplomatici italiani avevamo sempre previsto). Il grave fatto che fece perdere
definitivamente ogni pur tenue speranza di vittoria da parte dell'Asse fu
l'attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbor.
Persino Hitler riuscì a capire che era l'inizio della fine e si infuriò per
l'inaspettata iniziativa giapponese. Egli sperava sempre che il Giappone si
decidesse invece ad attaccare l'URSS. L'idiota Ministro Ribbentrop, invece, ne
fu molto lieto! Nonostante l'attacco di sorpresa giapponese fosse molto ben
studiato ed eseguito, le sue conseguenze non furono per nulla deleterie per gli
alleati occidentali.
Roosevelt, contrariamente alla stragrande maggioranza dei suoi concittadini,
voleva assolutamente entrare in guerra e poco democraticamente faceva di tutto
per affrettare l'evento, non rispettando affatto le norme della neutralità e
provocando in ogni modo le Potenze dell'Asse. Basti pensare al trattamento dei
nostri connazionali e dei tedeschi in USA, all'internamento delle navi
mercantili che si trovavano per caso nei porti americani, alle prepotenti
imposizioni agli altri Stati delle Americhe perché facessero lo stesso.
Per quanto riguarda il Giappone poi Roosevelt fece ancora di peggio. Infatti
egli fece trattare malissimo, e in modo del tutto contrario agli usi
diplomatici, la delegazione nipponica, presieduta da due ammiragli e che si
trovava a quel tempo negli Stati Uniti per trattative concernenti la Cina e
contemporaneamente dichiarò embarghi sulle merci, specie sul petrolio, e intimò
l'ultimatum.
C'è addirittura chi pensa — e tra questi uno dei figli dello stesso Presidente —
che Roosevelt si aspettasse un attacco ad una delle basi avanzate americane, ma
che diabolicamente non facesse nulla per prevenirlo. Pare non mettesse nemmeno
in stato di allerta le basi più esposte, anzi sperava nell'attacco che sarebbe
servito a scatenare l'indignazione e l'amor proprio dei suoi concittadini
obbligandoli ad accettare la guerra che di fatto essi non desideravano.
Certo è che gli americani possedevano il cifrario della Marina giapponese,
perduto da una nave militare nipponica che, truccata da peschereccio, faceva dei
rilievi delle coste dell'Alaska e aveva fatto naufragio con la perdita di tutto
l'equipaggio. Il cifrario sarebbe stato recuperato insieme ad altri resti da una
baleniera norvegese e consegnato alla Capitaneria di porto di Seattle.
Loss
of HMS Prince of Wales and HMS Repulse, 10 December 1941
Photograph taken from a Japanese plane, with
Prince of Wales at far left and Repulse beyond her. A destroyer,
either Express or Electra, is maneuvering in the foreground.
Dulin and Garzke's "Allied Battleships in World War II", page 199, states that
this photograph was taken "after the first torpedo attack, during which the
Prince of Wales sustained heavy torpedo damage."
Photo #: 80-G-413520
Official U.S. Navy Photograph, now
in the collections of the National Archives.
Reproductions of this image may also be
available through the
National Archives photographic reproduction
system.
http://www.history.navy.mil/photos/images/g410000/g413520c.htm |
Alle Hawaii erano in servizio i primi radar di produzione britannica che
effettivamente avvistarono le successive ondate di aerei nipponici. L'ufficiale
che comandava i radar, tuttavia, non diede l'allarme ritenendoli velivoli
americani che rientravano da una esercitazione! Ciò dimostra che la base non era
in stato di allarme. Tuttavia l'attacco colpì solo delle navi ormai di scarso
valore bellico in quanto quelle più moderne, tra cui le portaerei, erano state
allontanate. Anche questo prova che qualche sentore di un attacco la Marina
americana doveva pur averlo avuto.
Il successo giapponese pertanto, ai fini del conflitto, fu piuttosto relativo.
Maggiore importanza forse ebbe l'affondamento, da parte degli aerosiluranti
giapponesi, delle due più moderne navi da battaglia inglesi,
la corazzata Prince of Wales e
l'incrociatore Repulse che accorrevano in Estremo Oriente dall'Europa per difendere quelle
coste.
La conseguenza fu l'estromissione completa degli Inglesi da quella parte
del mondo.
Cliccare sulle frecce a lato della serie di foto per avanzare.
Cliccare sulle foto piccole per ingrandire
Sequenza fotografica del bombardamento di Pearl Harbour
Nonostante questi e altri successi, la situazione militare nel 1942 si andava
facendo sempre più difficile. Il "generale inverno" aveva distrutto in Russia
una metà del materiale bellico tedesco, le nostre forze, pur senza entusiasmo,
facevano valorosamente il loro dovere, ma nonostante tutto non riuscivano a
compensare l'assoluta mancanza di armamento ed equipaggiamento idoneo, nonché
l'inefficienza dei comandi centrali.
Lo sbarco americano nel Nord Africa — da noi previsto perché scioccamente Hitler
non aveva voluto occupare Marocco e Algeria — fece precipitare ancora di più la
situazione e avvicinare l'epilogo. Le nostre truppe combatterono eroicamente in
Tunisia, prese fra due fuochi, al comando del Maresciallo Messe, unico nostro
generale all'altezza del suo compito, ma erano battaglie che servivano solo a
ritardare di poco gli eventi.
Si vedeva purtroppo arrivare rapidamente la fine.
SEGUE:
3)
Contatti ufficiosi per negoziati di pace
4)
Il dopo-guerra
PRECEDE:
1)
La Carriera Diplomatica: L'Esordio
Inizio
Pagina
|