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Il presente capitolo mette in luce la passione di Giuseppe Saredo per l'insegnamento.
Dall'opera di Ambrogio Casaccia intitolata "Giuseppe Saredo" edita da Stabilimento Tipografico Editoriale Ricci, Savona 1932
riportiamo integralmente:

il Capitolo IIIDa Chamberry a Roma  da pag. 43 a pag. 66
il Capitolo IVProfessore a Roma           da pag. 67 a pag. 84

In appendice ci piace portare la testimonianza del senatore Filippo Crispolti conterraneo, collega universitario ed amico del Saredo, intitolata: 


RICORDO DI UN ALLIEVO

In quest' articolo apparso sul Resto del Carlino il 27 Novembre 1932 in occasione della recensione del volume del Sacerdote Ambrogio Casaccia, viene commemorato Giuseppe Saredo a 100 anni dalla nascita.


 

CAPITOLO III

DA CHAMBERY A ROMA
 

 

Professore nelle Scuole Secondarie

Le prime scuole pubbliche in cui Saredo insegnò furono, come dissi al termine del secondo capitolo, quelle di Bonneville in Savoia, nelle quali rimase un anno, perchè nel successivo 1859 egli dirigeva già le scuole tecniche di Chambéry, essendovi nel medesimo tempo maestro di storia, geografia e letteratura. Ma anche qui la sua dimora non si protrasse oltre l' anno, poiché per i suoi studi, pubblicazioni e meriti e per la fiducia in lui posta da un eminente uomo di stato, veniva nel 1860 assunto ad uffici ben più elevati e onorifici.Per lui, che, come s' è visto, sentivasi chiamato alle lotte della penna e del pensier, lo sminuzzare facili cognizioni scientifiche agli allievi di classi secondarie non solo non doveva sovrabbondare di attrattive,ma doveva
      Castello di Chambéry
    pesargli e tediarlo come un’ insopportabile catena.                                                                      William Turner -
Bonneville
                               Basti ricordare a tal uopo il sonetto, che egli, assistendo agli esami nelle scuole di Chambéry,           
Olio su tela, cm 92,9 x 123,8
indirizzava a sua
moglie:                                                                                                                                        Philadelphia Museum of Art
                                                                                       
Lilla, che noia! e che sbadigli!                                                                                                                     John G. Johnson Collection, 1917
                                                                                      
ho le mascelle intatte è un ver portento!                                                                         
                                                                                      
Vano è ogni sforzo per tenermi attento!
        
                                               ………………………………….
                                                    Ed ora in preda ad una noia orrenda
                                                    vedo innanzi a me musi stremati (1)
                                                    e ci mandiamo al diavolo a vicenda.

Per vincere l' uggia, soddisfare l' impulso naturale dell' animo e prepararsi a nuovi cimenti, egli, fra le gole recesse della Savoia, nei tempi liberi dall' insegnamento e spesso durante le notti (2), continuava a studiare con passione la letteratura latina, italiana e francese, scriveva articoli per giornali e riviste, compilava e pubblicava biografie di uomini illustri e si approfondiva nell' esame e trattazione di questioni giuridiche.

E fu appunto in questo periodo che egli consegnò alle stampe il suo lavoro « DU PRINCIPE DES ALLIANCES INTERNATIONALES » (3) che a quanto mi disse S. Ecc. Paolo Boselli «fu il primo lavoro che attirò maggiormente l'attenzione degli studiosi e degli uomini politici sopra Giuseppe Saredo» e che contribuì non poco a facilitargli il passo verso le bramate ascensioni.

Il libro comparve nel I860, steso in lingua francese ed in forma di lettera dedicata e diretta al Conte Camillo Cavour.
In essa l' autore, plaudito all' alleanza conclusa fra Italia e Francia a Plombières, mira a determinare quali debbano essere nel secolo XIX ed in futuro le vere basi delle alleanze internazionali ; e svolge il suo assunto con abbondanza di dati e dottrine giuridiche, affermando che le vere alleanze tra
nazioni non potranno più essere quelle fatte per interessi dinastici, le quali - dice - giovavano unicamente ai principi ; ne quelle storiche o tradizionali, fondate sull' omogeneità di razza, costumi e religioni ; ma dovranno essere quelle naturali, ossia le alleanze contratte liberamente dai governi realmente rappresentativi dei popoli, cioè dai governi costituzionali.

Com' era logico, Saredo non tardò ad inviare copia del suo volume a Cavour, il quale con pari sollecitudine gli trasmise la lettera che qui riproduco :

Ill. Sig. Professore,
Ho ricevuto l' esemplare della lettera pubblica, ch' Ella volle indirizzarmi per le stampe sul «
principio delle alleanze internazionali». Mentre mi riservo di prendere cognizione di questo nuovo frutto del suo ingegno, mi affretto a ringraziarla dei sensi di simpatia ch' Ella esprime nella sua lettera d' invio. Mi è poi grata questa opportunità per offrirle gli atti della mia distinta considerazione.
Torino, 30 Gennaio 1860.
C. Cavour.

Il grande ministro non pago di questa lettera volle poi congratularsi a viva voce con Saredo, elogiandolo caldamente. Ma se le lusinghiere parole di Cavour e le approvazioni di dotti ed amici confortarono e soddisfecero grandemente l'autore del volume, risonando nell' animo suo come ottimi auspici per l' anno allora iniziato; egli doveva presto udire un' altra voce, sorgente per lui di ben maggiore consolazione e letizia, la voce cioè d' un membro dello stesso Ministero presieduto da Cavour, la quale lo creava d'un tratto, da insegnante di scuole tecniche, professore universitario e lo inviava da Chambery all' Ateneo di Sassari.

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NOTE
1)Quelli degli studenti sotto l'incubo degli esami.
2)In una sua poesia diceva :

« Bella cosa è domar l'ingenerosa
forza del sonno e d'un viril dovere
ascoltare il linguaggio e grandi e vere
gioie cercar nella scienza ascosa.
3)Il frontispizio recava:                    Du principe
                                     des ALLIANCES INTERNATIONALES
                      lettre politique a S. E. le Comte Camille Benso de Cavour
                                                  par M. J. Saredo
                              directeur des écoles techniques de Chambery
                                                          1860

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Sbalzo Glorioso
 
Cavour, che dopo la pace fra Napoleone III e l' imperatore austriaco, concordata nel 1859 a Villafranca, aveva abbandonato il potere, lo riprese sei mesi appresso scegliendo tra i suoi nuovi collaboratori anche il conte Terenzio Mamiani al quale affidò il dicastero della pubblica istruzione e che fu appunto colui che innalzò Saredo alla cattedra universitaria.

Dalla prefazione con cui Mamiani, nel 1855, presentò al pubblico italiano la «Rivista letteraria» di cui Saredo era fondatore e direttore si arguisce che i buoni rapporti di amicizia e di stima fra i due personaggi non dovevano datare da epoca troppo recente; e, secondo l' on. Paolo Bosetti le loro relazioni divennero più cordiali durante la campagna elettorale che rese Mamiani deputato di Genova.

Presa la direzione del Ministero assegnatogli, Mamiani vagheggiò di riformare varie parti della legge Casati del 13 Novembre 1859.
Difatti il 10 Maggio dell' anno 1860 presentò alla Camera un progetto di modificazioni all'ordinamento dell’ istruzione superiore, col quale «mirava a meglio regolare il libero insegnamento nelle Università, la forma degli esami, i gradi e gli onori accademici.» (1) Il progetto non venne approvato: ma se il Ministro, nel breve tempo che impugnò le redini della pubblica istruzione, non riuscì a far accogliere dal Parlamento tutte le innovazioni che voleva apportare alla cultura e vita universitaria, usò peraltro di tutta la sua libertà - talora anche eccessiva e che gli cagionò critiche severe - ed autorità nella scelta e destinazione dei professori.

Per non dilungarmi, non citerò che pochi esempi: basti quello della nomina di Giosuè Carducci, ch' era semplice insegnante di ginnasio, a titolare della cattedra di letteratura nell'Università di Bologna; quello della chiamata dello straniero ed esule Moleschott, olandese, a dar regolari lezioni di fisiologia nell' Ateneo di Torino ; quello dell' invito a recarsi in Italia fatto ad Augusto Vera che insegnava a Parigi e del suo invio all' Università di Napoli ; quello della promozione del savonese Pietro Giuria che da impiegato delle imposte a Voghera fu creato professore di letteratura e storia italiana all' Università di Genova; e quello del nostro Saredo, che senza lauree ed altri titoli accademici venne trasferito dal banco di maestro di scuole secondarie alle aule dell' università sassarese per svolgervi ed illustrarvi scienze giuridiche.
   
Giosuè Carducci
Non può negarsi che quello di Saredo sia stato uno sbalzo glorioso e una marcia trionfale! In meno di tre anni dalle strettezze finanziarie, dalla mancanza d' impiego, dall' esistenza incerta e faticosa era giunto per il diuturno lavoro, l' indomita volontà e gli studi indefessi, non sorretto da gradi o diplomi ufficiali, ai fastigi della carriera di insegnante. Sì, la sua fu una rapida ascesa, anzi una corsa singolarissima, per cui non è a stupire se molti, e primi fra questi i rimasti indietro, udita la designazione del nuovo professore di Sassari, s' accesero d' invidia e gelosia protestando energicamente contro di essa chiamandola irregolare, arbitraria e sacrilega.

Allo stesso modo però che le acerbe critiche non turbarono il Ministro autore della nomina, perchè facendola aveva agito con piena consapevolezza dei propri diritti (2) e con profonda convinzione del valore scientifico del nominato, così esse non commossero affatto il Saredo, perchè non si reputava indegno dell' ufficio cui era chiamato, nè impreparato a disimpegnarlo con intelligenza e fervore.

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NOTE

1)V. Saredo: «Vicende legislative della Pubblica istruzione in Italia», p. 40.
2)L'art. 69 della Legge Casati diceva : «Il Ministro potrà proporre al Re, per la nomina (a professori Universitari) prescindendo da ogni concorso, le persone che per opere, per scoperte o per insegnamenti dati saranno venate in meritata fama di singolare perizia nelle materie cui dovrebbero professare».
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L'Università Risorta

Nell' anno che egli incominciò le lezioni all' Università di Sassari, essa si ridestava, amnistiata e salva, dal terribile sbigottimento provato pochi mesi innanzi udendosi condannata a morte dall' articolo 177 della Legge Casati, che con fredda concisione suonava così «L' Università di Sassari è sop­pressa».

Uno dei motivi - e non l' ultimo - della decretata soppressione va ricercato, come si deduce dal passo qui sotto riferito, nello scarso numero degli studenti.

«Pare che le due Università della Sardegna, (Cagliari e Sassari) nell' ultimo secolo siano andate scemando di frequenza e di numero di iscritti e quindi di importanza, in proporzione dell' aumento della popolazione e dei mezzi economici. Non è da credere che i Sardi non diano agli studi superiori un forte contributo, oggi più numeroso che nel passato. Il fatto si spiega pensando che i giovani sardi, desiderosi di studiare oltre che sui libri, anche sulla società della quale non possono avere una idea chiara e precisa vivendo nella loro isola, piccolo ambiente, preferiscono andare a frequentare le Università del continente...». (1)

Chiudendosi l' Università sassarese i suoi beni e capitali dovevan passare ad altre opere aventi scopo di pubblica istruzione.
Il citato articolo della Legge continuava infatti: «I redditi particolari, le fabbriche ed il materiale scientifico e letterario che le appartengono (all' Università) saranno impiegati al fine della pubblica istruzione in vantaggio della città e delle Provincie, per cui essa fu istituita e particolarmente per la istituzione degli stabilimenti inferiori e superiori di istruzione secondaria e tecnica, che a norma di questa legge vogliono essere aperti nella città di Sassari».

Contro la sancita spogliazione e chiusura insorse fieramente sdegnato l' animo dei Sassaresi e delle loro proteste si fece eco e caloroso difensore, nel Parlamento italiano, il deputato Mancini, rappresentante in quei tempi della loro città, il quale esponendo e sostenendo alla Camera un progetto invo­cante l' abrogazione degli articoli della legge Casati, distruttori della vita dell' Università Sarda, riuscì a farlo approvare e convertire nella legge datata 5 Luglio 1860.

Riacquistato così il pieno diritto alla libera e feconda esistenza, l' Ateneo di Sassari accolse in quell' anno, tra i membri del corpo accademico, anche il nostro Saredo quale professore straordinario di Diritto costituzionale e quale incaricato dell'insegnamento di Diritto amministrativo e Diritto internazionale.(1)

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NOTE

1) Vedi Angelo Cossu  «Sardegna e Corsica» p. 94.
2) Vedi la Lettera con cui il Grazioli presentava al pubblico italiano i 4 volumi del Saredo «Principi di diritto costituzionale». Il decreto di nomina a professore straordinario di Diritto costituzionale reca la data del 18 agosto 1860.
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Nell'Ambiente Sassarese

A Sassari, ove egli similmente che a Bonneville ed a Chambéry, non dimorò che un anno, non potè lasciare rimarchevoli tracce della sua presenza, assorbito com'era dalla necessità ed urgenza di giornalieri e profondi studi sulle nuove e svariate materie che doveva insegnare.

Ma se - perchè chiamato altrove - il suo soggiorno nella seconda delle principali città di Sardegna fu come la sosta d' un colombo viaggiatore ed egli vi passò quasi inosservato dalla gran massa degli abitanti, perchè gli mancò tempo e agio di applicarsi ad opere concernenti direttamente il pubblico interesse, tuttavia il breve tempo che vi rimase bastò a farne apprezzare dai colleghi d' insegnamento (1) e dagli studenti il vigoroso ingegno, l' estesa cultura, la brama del sapere ed il saldo carattere.

Di quel periodo ci restano le lezioni che tenne all' Università, dalle quali come in un quadro limpido e parlante ci son palesati i suoi convincimenti sociali, politici e religiosi, e le quali ci pervennero raccolte in quattro volumi di oltre 1200 pagine complessive, pubblicati a Parma negli anni 1861 e 1862 col titolo di «Principi di diritto costituzionale». Nella mente dell' autore, tali Lezioni erano state concepite ed ordinate come il  «codice politico» dei cittadini dell' Italia liberatasi dal giogo austriaco e dagli stati a regime assolutista: e, dandole alle stampe, dichiarava: «m'accingo a scrivere un trattato della scienza dei governi liberi» (2), avvertendo che s'era deciso a pubblicarle perchè, a suo parere, mancavano o erano difettosi a quei tempi, nel nostro paese, libri di tal genere corrispondenti al suo intento ed alle nuove condizioni della vita nazionale. (3)

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NOTE

1) Rettore d' Università era Francesco Cossu, che fu deputato, e professori della Facoltà giuridica erano Gavino Tanda ; Todde Giuseppe ; Virdis Salvatore ; Freddi Carlo ; Grona Nicolò ; Sanna Tolu Vincenzo ed il sac. Marongiu Diego.
2) Saredo: «Principi di diritto costituzionale» voi. 1. p. 11.
3) Esistevano: «La scienza delle costituzioni» del Romagnosi, il «Trattato sulla monarchia rappresentativa» del Balbo, i «Principi del governo libero» del Carutti ed altri lavori di minor rilievo, ma tutti sembravano al Saredo inadeguati allo scopo cui egli mirava.
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Le Prime Lezioni Universitarie

Esse apparvero, difatti, in Italia come uno dei primi veri e completi trattati di diritto costituzionale, abbraccianti e sviluppanti tutte le questioni più interessanti e vitali per l'organizzazione e regolare funzionamento d’uno stato a governo rappresentativo.

Stabilita l' idea fondamentale del diritto, che è da lui definito l' «insieme delle leggi naturali che governano la personalità umana, in quanto essa si estrinseca nei diversi rapporti della vita civile» (1) e determinate le relazioni dell' imperativo etico e giuridico colla scienza della legislazione, l' autore fissa le sue teorie sulla natura della società umana, della libertà e sovranità per dare le prime nozioni del governo costituzionale.
In ciò s'ispira alle teorie della scuola classica liberale inglese ed agli ideali professati e praticati dal Conte di Cavour, del quale era ardente ammiratore e seguace.

Esaminati poi, dal punto di vista liberale, i vari sistemi di governo e combattuto quello teocratico, quello del diritto divino, quello del contratto sociale, quello della scuola storica, quello dell' utilità, quello del sentimento secondo il quale « una azione che risveglia la simpatia generale è buona; cattiva e punibile è quella che solleva l' indignazione del cuore» (2), l'autore riafferma che il miglior sistema è quello del governo costituzionale, in cui «la costituzione scritta armonizza colla costituzione naturale del popolo», in cui il «capo dello Stato è impersonale, inerrante, irresponsabile, immortale, come quegli che rappresenta la impassibilità della legge nella sua più alta manifestazione», in cui «la legge sola governa sovranamente lo Stato, mentre gli uomini non ne sono che gli strumenti e gli esecutori» ed in cui «lo scopo supremo cui deve tendere il potere sociale è la guarentigia dei diritti naturali dell'individuo». (3)

Conduce il suo lavoro con, metodo piano e ordinato, ricchezza di argomenti, erudizione nutrita e chiarezza invidiabile.
E come nei primi capitoli, per definire le basi del governo costituzionale, adopera spesso serena discussione e spirito polemico, così vi ricorre sovente nel corso delle successive lezioni esaminando e sviscerando tutta la vasta materia della scienza costituzionale, dalla divisione dei poteri alla libertà di pensiero, di coscienza, di stampa, di insegnamento e di associazione, dalle prerogative della Corona ai rapporti fra Chiesa e Nazione, dall' accentramento statale alle autonomie comunali e provinciali, dalle competenze dei Consigli superiori ai doveri dei singoli funzionari, dal diritto di proprietà all' organizzazione della pubblica beneficenza, dalle libertà economiche al diritto dell' intervento dello Stato ecc.

I «Principi di diritto costituzionale» sono davvero un diligente e completo trattato filosofico, e quantunque non tutte le idee e dottrine da esso proclamate e sostenute siano da tutti accettabili, è però doveroso riconoscere che esso ha un grande valore scientifico e si può giustamente ritenere che abbia influito non poco a mettere sempre più in evidenza la personalità del Saredo, il quale d' altronde con quel suo libro tra le mani possedeva più che a sufficienza quanto richiedevasi per far tacere i malignanti la sua nomina a professore, perchè privo di titoli accademici. «Se non vedete i titoli, poteva esclamare, guardate le opere che valgono assai più».

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NOTE
1) Saredo : «Principi di diritto costituzionale» vol. I p. 52.
2) idem p. 175.
3) idem p. 183.
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Professore a Parma

I plebisciti ideati da
Cavour, per togliere ai Ducati di Toscana e d' Emilia i governi provvisori, privi ormai d' ogni scopo, e per vincere la continua indecisione di Napoleone III a permettere l' effettiva estensione dello scettro sabaudo, avevano dato i frutti sperati. Dalle urne di Parma, come da quelle di Firenze e di Modena l' annessione al regno d' Italia era stata proclamata con clamorosa maggioranza di voti. Alludendo a questo fatto, Saredo scriveva: «Il fiocco di neve si era fatto valanga: alle incertezze ed alle inquietudini era successa la balda sicurezza, nata dai prodigiosi trionfi di Garibaldi. Il popolo italiano dichiarava recisamente, apertamente le sue risoluzioni; esso voleva l’ Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale…» (1)

Ed a Parma, un anno dopo l'annessione, dal governo d' Italia, Giuseppe Saredo fu inviato professore di filosofia del diritto, di diritto costituzionale e poi anche di diritto internazionale nella Regia Università.
Questa, che fra le pagine della sua storia ne registrava delle fulgidamente gloriose, ora aveva assai perso della sua antica importanza.

«Passata Parma, nel 1545 - dice l' autore del fascicolo PARMA della collezione «Le cento città d' Italia» - sotto la dominazione dei Farnesi, l' Università venne mano mano a tanta prosperità che nei primi anni del secolo XVII nessuna delle altre Università italiane poteva superarla e per la grande celebrità che essa si era guadagnata in Italia e all' estero e pel concorso straordinario degli studenti d' ogni parte d' Europa».
Ai primordi del secolo XIX, tanta floridezza era scomparsa, nè l' Ateneo più la rivisse: sotto il governo provvisorio, anzi, con decreto 22 Gennaio 1860, firmato da Montanari e Farini, le due Università di Parma e di Modena vennero classificate di 2° ordine, togliendosi ad entrambe la facoltà filosofica e letteraria.

Saredo inaugurò le sue lezioni alla cattedra parmense, nel 1861, rivolgendo agli studenti un discorso (2) sull' «importanza vitale dello sviluppo della personalità umana per affrettare il rinnovamento della società». Discorso che fu per essi la                     Saredo trentenne a Parma  rivelazione aperta e lampante dell' animo e sentimenti del nuovo professore e che valse a cattivargli fin da allora quell'aureola di stima e simpatia di cui fu sempre circondato nella città emiliana, ove trascorse cinque anni di insegnamento, passando con facilità e dottrina dalla trattazione di uno all' altro ramo delle scienze giuridiche (3), pubblicando nuovi scritti e volumi e partecipando alla vita e attività di associazioni politiche.

Francesco Giarelli
Piacenza 1844 - S.Giorgio Pc 1907. Giornalista(pseudonimo Penna piacentina) scrisse anche un libretto d'opera (La contessa di Medina).
Fu amico di Cavallotti, Carducci, Hugo, Boito.
Il busto è opera dello scultore Annibale Monti (1875-1941).

F. Giarelli, nell' articolo da me già citato chiama «veramente splendide» le lezioni di Saredo all' Università di Parma, alle quali gli studenti assistevano volentieri e con gioia, attratti dall'invidiabile abilità, che aveva, di esporre con semplicità e chiarezza le quistioni anche più intricate e difficili, dall' arte con cui sapeva colorire e rendere piacevoli, mediante tratti polemici, raffronti dottrinali e richiami storici, le materie spesso aride che spiegava e dal segreto, che possedeva, di ispirare amore e rispetto alla scienza. Ed a sì interessanti lezioni non raramente vedevasi «attenta auditrice» la stessa signora Luisa Saredo, sempre bramosa di attingere nuovo sapere e felice di scorgere il consorte riverentemente ascoltato e apprezzato da coloro che dovevano prepararsi a maestri e vindici della giustizia.

Insegnando il diritto e la legge agli altri e, particolarmente, trovandosi a fianco di colleghi d' insegnamento che, come il Musini, il Piroli, l'Oliva, il Cavagnari, ed il Redenti, erano illustrazioni del foro, Saredo, a Parma, desiderò vivamente di fornirsi di laurea e di esercitare l' avvocatura.

I suoi meriti scientifici ed il corredo delle sue pubblicazioni in volumi, riviste e giornali erano più che sufficienti a fargli ottenere la laurea ; e la ottenne di fatto honoris causa e se ne valse, come afferma il Giarelli, per qualche tempo nelle aule dei tribunali.

La vita forense non dovette però troppo allettarlo, avendola poscia completamente disertata per continuare a dedicarsi alla palestra universitaria ed alla pubblicazione di libri ed altri lavori; ed il titolo d' avvocato gli servì quasi solo di decoro al suo nome nel frontispizio delle opere od in calce agli articoli che scriveva e stampava.

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NOTE
1) Saredo: «Il passaggio della corona» p. 10.
2) Di questo discorso ci resta un frammento a p. 30 del primo volume dell' opera del Saredo «Principi di diritto costituzionale»
3) All'Università di Parma insegnò Filosofia del diritto, diritto costituzionale e diritto internazionale.
4) Vedi p. 27 del presente volume.
5) Vedi idem.

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OPUSCOLI STORICI

Quando Saredo trovavasi a Torino, (1) assunse pure come aveva fatto per la «Rivista contemporanea» e per la «Rivista illustrata», l' incarico di compilare e dare alla luce una «Galleria di ritratti italiani contemporanei» ossia una serie di biografie degli uomini più celebri nella storia del Piemonte e del risorgimento italiano. Nel primo fascicolo, apparso nel 1856, edito dal Degiorgis e consecrato a narrare la vita e le opere del conte Clemente Solaro della Margarita, s' annunziava prossima la stampa di quelli su Massimo d' Azeglio, Cesare Balbo, Vincenzo Gioberti, Cesare Cantù, Dino Compagni, Federico Sclopis, Giovanni Prati, Giuseppe Mazzini, Carlo Boncompagni, Giuseppe Verdi, Camillo Cavour, Antonio Rosmini e moltissimi altri.

Credo però che allora, almeno di scritte dal nostro Saredo, non sia uscita che la biografia del Conte Solaro della Margarita, perchè nelle mie ricerche non solo non ne rinvenni altra portante la firma di Saredo e la data dal 1856 al 1860, ma non mi capitò di

leggere nemmeno una riga che lasciasse sospettare che lo stesso ne avesse scritto altre.


Ma se egli allora non proseguì la pubblicazione delle vite progettate, non rinunziò

La casa editrice nasce a Torino nel 1791 dall'attività dei librai Fratelli Pomba. E' il figlio di Giovanni, Giuseppe Pomba (1795 – 1876) a trasformare la piccola bottega familiare in un'impresa editoriale e tipografica e a fondare la UTET nel 1854, costituendo la società anonima con l'attuale denominazione Unione Tipografico-Editrice Torinese.
L'indirizzo editoriale è già tracciato nella mente di Pomba: le opere enciclopediche e quelle di vasta sintesi nei diversi campi del sapere. Nascono così le prime grandi imprese editoriali: la Biblioteca Popolare, la Storia Universale di Carlo Cantù, l'Enciclopedia Popolare.

tuttavia ad esse in modo assoluto, avendone dal 1860 in poi edite parecchie coi tipi dell' Unione Tipografica Editrice Torinese, le quali si scorrono anche oggi con curioso interesse. E siccome la data di loro comparsa si aggira intorno al tempo passato da lui a Parma e qualcuna, come quella lumeggiante Federico Sclopis, venne pubblicata proprio mentre Saredo insegnava in detta città, così penso che sia questo il momento più conveniente per fare di esse una menzione speciale.

Esponendo le ragioni ispiratrici della «Galleria di ritratti italiani contemporanei » egli scriveva fra l' altro:
«La biografia è uno studio non meno utile forse che quello della storia, per chiunque voglia giudicare l' avvenire coll' esperienza del passato, e sappia ritrovare nell' individuo le virtù, i vizi, le qualità, ed i difetti di cui contempliamo l’ azione e la reazione sulla grande scena del mondo. Il botanico paziente che arma il suo occhio del microscopio per istudiare nelle sue particolarità uno dei prodotti più semplici, riesce sovente a scoprire i segreti della natura assai meglio dell' ardito geologo che ne osserva le opere, ne misura l' azione dalla cima dei monti... Chi si applica a considerare solamente un individuo, chi nella storia della vita d' un uomo cerca i tratti che caratterizzano la specie umana o le modificazioni che nascono dagli accidenti e tien conto dell' influenza dell' educazione, degli esempi, dello spirito o dei pregiudizi del tempo; chi vuol separare i moventi segreti dalle cause apparenti e distinguere i sentimenti reali dalle virtù di apparato, quegli ha mestieri d' uno studio più completo; studio che non potrebbe fornirgli il quadro troppo grande della storia d' un popolo». (2)

Queste osservazioni, di cui è doveroso riconoscere la giustezza, non sfuggirono certo alla mente dell' autore quando preparava le altre biografie, contenenti ciascuna interessanti particolari e preziose circostanze che sono gli indici esatti di situazioni politiche, mettendo in piena luce le cause vere e nascoste di fatti sociali, di mutamenti diplomatici e del carattere di governi e di epoche.

I vari personaggi illustrati dalle singole biografie, ognuna delle quali forma un volumetto a parte, sono Clemente Solaro della Margarita, Giuseppe De Maistre, Marco Minghetti, Terenzio Mamiani, Federico Sclopis, Giorgio Stephenson, Pietro Proudhon ed Abramo Lincoln.

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NOTE
1) Vedi capitolo I pagg. 14 e 15.
2) Vedi il libro di Saredo «Clemente Solaro della Margarita» (1856) p. 2
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SOLARO DELLA MARGARITA

Pietro Sbarbaro, genio potente e vulcanico, seguace e maestro del liberalismo più puro, tribuno popolare efficacissimo, scrittore fecondo e focoso, vero mago della penna, capacissimo d' innalzare uno alle stelle come di sprofondare un altro negli abissi più cupi, giornalista arguto, mordace e stroncatore spesso esagerato e implacabile, non seppe perdonare, nemmeno alla distanza di oltre trent'anni, a Giuseppe Saredo, suo coetaneo e concittadino, la paternità del volume su Solaro della Margarita, perchè con questo libro, secondo lui, si sarebbe reso reo di lesa indipendenza nazionale e di lesi principi liberali.

Saredo, liberale e di principi politici diametralmente opposti a quelli del Conte Solaro, sapeva, scrivendone la vita che «un cumulo d' improperi... e l' accusa di apostata» è il «solito premio a chi non vuol farsi schiavo d' un partito e rende giustizia anche a chi pensa diversamente da lui» (1) ; e gli insulti e invettive di Sbarbaro e di moltissimi altri ne sono eloquente conferma.

Fra questi attacchi ve n' ha però uno che vale la pena di essere sfatato, perchè non rispondente a verità, ed è quello insinuante che Saredo sia stato l' apologista del Conte della Margarita, quale tipico esponente dei governi assoluti.
 

Saredo, nel suo volumetto, non fa l' apologia di idee retrive e sistemi sormontati, ma narra dei fatti : e se ricorda che il Conte Solaro, nei 13 anni passati, qual ministro, a fianco di re Carlo Alberto, dimostrò grande fedeltà alla casa Savoia, devozione alla religione cattolica, deferente ossequio alla S. Sede, carattere coraggioso e leale, abilità nel trattare la questione di Oriente e senno nel favorire lo sviluppo dei lavori pubblici, industrie e commerci, non omette di annotare che il medesimo si attirò molte critiche.
 

Principali sono queste: errò nella politica verso Don Carlos di Spagna e verso il Sonderbund, si inimicò l' animo dei liberali, non ebbe la simpatia di altri ministri del regno e non governò sempre poggiato sulle basi più solide. In quanto poi ai principi assolutisti del Conte, ecco ciò che dice Saredo:  «La nomina del nuovo ministro (2) non fece sensazione in alcun modo in Piemonte : le sue opinioni politiche erano quasi generalmente sconosciute. Ma non tardarono a rivelarsi e furono accolte con sentimenti diversi. Quelli, che confidavano nella venuta del nuovo ministro per un avvenire più liberale, trovarono nel Conte Solaro un uomo deciso a seguire il sistema governativo inaugurato dal maresciallo de La Torre, un costante e fedele discepolo di quella scuola politica che ha Giuseppe De Maistre per profeta, de Bonald, Haller e Wathel per arbitri e maestri... (3).

Antonio Tonduti Escarena (1771-1856)uomo politico e ministro degli Interni di Carlo Alberto, scriveva da Nizza nel 1830: «Sento che Torino si sta abbellendo prodigiosamente. Torino è la sola città del mondo ove, grazie a quanto già esiste e ad un primario piano regolatore modello, non imitato altrove, che da pochi anni, col quale non si può costruire qualcosa che non sia abbellimento...».

Il ministero si divideva in due parti distinte: il conte della Margarita e il conte dell' Escaréne formavano la prima: rappresentava il partito più recisamente e francamente devoto alla monarchia assoluta... (4) I suoi principi potevano riassumersi così: realista esclusivo, nemico d' ogni innovazione che tendesse a temperare la potestà sovrana, sostenitore della causa legittimista in tutti gli stati d' Europa e sopratutto avversario dichiarato d' ogni benché moderata concessione in ciò che riguarda la stampa. (5) Uno degli errori principali che a nostro avviso commise il conte della Margarita finche rimase al potere si fu quello di aver avversato, quasi senza eccezione, ogni progresso sociale. Egli non ha riflettuto che ogni società politica si trasforma indefinitamente...». (6)
 

Leggendo queste proposizioni - e non sono le uniche ad esprimere tali giudizi - non si riesce a concepire il perchè di tanto scalpore liberale contro le pagine del Saredo, a meno che non si pensi che gli sia stato imputato a delitto anche il semplice fatto di aver impreso a narrare del Conte Solaro.

E come sono da ritenersi fuori di luogo le escandescenze liberali contro il nostro autore ed il suo libro, così credo non meritino gran peso le affermazioni di Isaia Ghiron, stando alle quali Saredo, parecchi anni dopo, pentito dell' opera propria, avrebbe voluta la dispersione e distruzione della biografia tanto avversata. Ed il motivo per cui non reputo troppo serie tali asserzioni è che Saredo, il quale possedeva una tempra poco facile a spaventarsi, non si sarà troppo terrificato per le critiche mossegli, tanto più che pubblicando il volume sul La Margarita non aveva fatto altro che rimanere fedele al programma impostosi di tratteggiare i principali personaggi della storia del regno piemontese, e del risorgimento italiano, a qualsiasi scuola o partito appartenessero.

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NOTE
1) Vedi il libro di Saredo «Clemente Solaro della Margarita» (1856) p. 18.
2) Il Conte della Margarita fu nominato ministro nel 1834, dopo aver trascorsi 18 anni in diplomazia e molto tempo all'estero.

3) Vedi Saredo «Vita del Conte della Margarita» (1856) p. 6.
4) idem p. 7.

5) idem p. 4.
6) idem p 19.

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GIUSEPPE DE MAISTRE

A quanto mi consta, restò immune dagli strali avversari, quantunque descrivesse le gesta d' un altro alfiere dei governi assoluti, il lavoro di Saredo su Giuseppe De Maistre, edito nel 1860: ma questi era morto fin dal 1821, mentre invece il La Margarita visse e lottò fino al 1869.
Nel centinaio di pagine scorrevolissime, che si leggon d' un fiato non sfuggì all' autore alcuno dei molteplici aspetti sotto cui può considerarsi la personalità del De Maistre.

Egli, come in tanti quadretti, ci viene presentato giovane profondamente studioso, magistrato integro e probo, scrittore convincente e forbito, letterato erudito e conoscitore di sette lingue, filosofo sinceramente e praticamente cattolico, nemico della rivoluzione francese fino a sopportare l' esilio ed il confiscamento dei beni piuttosto che riconoscerne le massime e il governo, difensore strenuo e costante del principio d' autorità, sostenitore e propugnatore delle teorie assolutiste e cittadino ed uomo politico fedelissimo al suo re ed alla dinastia di Savoia.

L' autore ne riproduce le opinioni religiose e politiche, particolarmente quella secondo cui il Papa avrebbe dovuto essere il re universale e quella sulla costituzione inglese; ne esamina e riassume brevemente le opere: Considerazioni sulla Francia, Les soirées de Saint Pétersbourg, Del Papa, e Saggio sul principio generale delle costituzioni. E riferisce notevoli tratti della di lui corrispondenza e importanti episodi della variamente fortunata azione politica da lui svolta.

Allo stesso modo che per il La Margarita, anche in questo secondo volumetto Saredo, raccontando e commentando, dichiara di non condividere e apprezzare molte idee ed opere dell' egregio personaggio di cui tratta, ma molte altre le ammira ed esalta entusiasticamente e sopratutto ne encomia lo spirito patriottico, additandolo ai posteri come modello di avversario risoluto della politica austriaca verso l' Italia e come vate dell' indipendenza e unità italiana all' ombra del vessillo di Casa Savoia.

Conchiudendo il suo studio l' autore afferma che se avesse dovuto scrivere l' epigrafe di De Maistre, tra l' altro, si sarebbe espresso così: «Fu magistrato integro,... fu tollerante, amò i suoi Principi anche quando era disconosciuto e offeso da essi, fu devoto alla causa italiana quando il nome d' Italia appena si pronunciava e ne predisse i futuri destini».(1)

Coerente al programma tracciatosi di profilare le figure più spiccate della storia piemontese della prima metà del secolo XIX e quelle del risorgimento italiano, Saredo alle biografie di due rappresentanti degli antichi sistemi di governo fa seguire quelle di tre autentici esponenti dei governi a regime costituzionale liberale: Federico Sclopis, Marco Minghetti e Terenzio Mamiani, tutti e tre eminenti uomini politici, deputati e ministri della nuova Italia.

Scrivendo la vita di costoro, gli deve essere corsa agile e leggera la penna perchè segnava le note, i sentimenti e gli atti di persone con cui egli aveva comuni le aspirazioni liberali, monarchiche e unitarie.

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NOTE
1) Saredo: Vita di Giuseppe De Maistre p. 111.

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ALTRE BIOGRAFIE

Se stese con simpatia ed ammirazione il ritratto di Federico Sclopis giureconsulto, letterato e storico della legislazione italiana (e divenne il primo di lui storiografo); se raccolse e ordinò, con visibile compiacenza, le notizie sul Minghetti scrittore, patriota e statista, esaminandone le dottrine economiche, amministrative e politiche e prendendo da un tale lavoro occasione per sfoggiare le proprie idee liberali; immaginino i lettori con quanta delicatezza di sentimenti abbia sempre rivolto il pensiero, anche molti anni dopo averla compiuta, all' operetta sul Mamiani dal quale aveva avuto sì grandi prove di stima ed al quale rimase legato con vincoli di perenne riconoscenza.
 

Nessuna delle tre VITE è completa, essendo comparse alla luce quando i loro protagonisti non avevano trascorso che parte della loro esistenza; ma, sebbene incomplete, possono consultarsi come fonte di buona copia di dati ed osservazioni, ed io in questo libro avrò a servirmene più d'una volta.(1)

Le altre biografie, pubblicate da Saredo quasi tutte al tempo del suo professorato a Parma, formano quasi un gruppo a sè, distinguendosi dalle precedenti per la diversità dell'argomento, trattando cioè non più di personaggi italiani, ma di uomini stranieri appartenenti ciascuno ad una nazione diversa ed a campi di attività pure diversi: Giorgio Stephenson, inglese celebre nelle scienze fisiche; Pier Giuseppe Proudhon famoso socialista francese ed Abramo Lincoln, coraggioso presidente degli Stati Uniti, sotto il cui governo si combattè la guerra di secessione.
Dei tre stadi non riuscii ad avere ed esaminare che quello su Stephenson, facente parte, come quello su Lincoln, della collezione «La scienza del popolo» edita dal Treves di Milano, mentre quello su Proudhon fu stampato a
George Stephenson Torino.                                                                                                                                           Pierre-Joseph Pruodhon
Sorvolando pertanto sugli ultimi due, accennerò brevemente al primo sull' inventore della locomotiva ed apritore di nuove e prodigiose vie alle industrie e commerci.

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L' autore che, memore delle condizioni della propria infanzia e giovinezza, ha bellissime e tenere pagine sulle miserie sofferte da Stephenson prima d' arrivare alla gloria, costretto com' era a fare il contadino, l' operaio delle miniere, il rattoppatore di scarpe e l' aggiustatore di orologi; ne ha delle parimente eloquenti sulla di lui modestia e avversione agli onori, dimostrata rifiutando il seggio al parlamento ed il titolo di barone offertogli dopo la grande invenzione, sul suo animo altamente benefico e poco bramoso di ricchezze e denaro. Ma la materia principale del libro è fornita dal fatto stesso della scoperta, dalle applicazioni pratiche cui essa si prestava e da numerose considerazioni che ne valutavano l' immensa importanza.
 

Fra gli apprezzamenti di Saredo sul memorando avvenimento non citerò che il seguente, col quale terminerò pure questa rassegna libraria, per riprendere la narrazione della vita del nostro professore da Parma alle altre città.
«La data del grande avvenimento si collega alla pagina più dolorosa del nostro secolo. Si fu nel 1815 che i Sovrani riuniti a Vienna disposero dei popoli come di gregge, crearono barriere arbitrarie, aggregarono violentemente insieme stati separati fra loro da lingue, storia, tradizioni e territorio, violarono tutti i diritti ed inaugurarono quella politica di iniquità internazionale che parve una fermata nella storia della civiltà. Ma si fu altresì nel 1815 che grazie allo spirito intraprendente di un oscuro operaio minatore l' umanità fu arricchita di una potenza colla quale riuscì a poco a poco ad abbattere le barriere artificiali, innalzate fra popolo e popolo, avvicinare le cose, gli animi e gli interessi e preparare così la distruzione di quel mostruoso edificio che la diplomazia del 1815 aveva fabbricato a danno del diritto delle nazioni». (2)

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NOTE
1) Delle teorie e tendenze di Sclopis, Minghetti e Mamiani si occupa assai estesamente Saredo anche nel libro «Principi di diritto costituzionale»: vedi p. es. vol. I pag. 164; vol. II p. 263; vol. III p. 186 e seg. ; vol. IV p. 13, 104, 162 e seguenti.
2) Saredo : Vita di Stephenson p. 22.

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PASSA A SIENA

Nel 1864, anno del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, destò qualche rumore, nei riguardi di Saredo, questo episodio.
Minghetti di lui amico e presidente del Consiglio dei Ministri lo avrebbe, in quell' anno, fatto nominare da Amari, ministro dell' istruzione, a professore di economia politica nello Istituto di perfezionamento di Firenze ed il Re Vittorio Emanuele II avrebbe firmato la nomina con regio decreto. Essendo però sorte disapprovazioni di cui si sarebbero fatti interpreti gli on. Giovanni Lanza ed Ubaldino Peruzzi il decreto non ebbe alcun corso.
Com'era naturale, abbondarono intorno a ciò le congetture di politicanti e curiosi e non tutte furono benigne al Saredo, qualcuna anzi, insinuò perfino che il Lanza stesso lo avversasse.

lo credo che una delle ragioni più vere sia stata invece quella di non suscitare nuove invidie e gelosie nel campo professorale.
 

Giovanni Lanza
Nato a Casale Monferrato (AL) il 15 febbraio 1810, Presidente della Camera nella VII Legislatura dal 2 aprile 1860 al 17 dicembre 1860 e nella X Legislatura dal 16 dicembre 1867 all'8 agosto 1868 e dal 18 novembre 1869 al 15 dicembre 1869. Morì a Roma il 9 marzo 1882

 L' origine della carriera universitaria del «senza studi regolari e del senza lauree e diplomi» era ancor troppo recente e forse troppo avversata; non era ancor giunto quindi il momento di chiamarlo alla capitale. Non riesco perciò a comprendere come mai si sia potuto pensare che il Lanza l' abbia ritenuto indegno di quel posto, e non vi riesco tanto più se rifletto che sei anni dopo, proprio sotto di lui Lanza, non più fuori del Ministero ma Presidente del Consiglio dei Ministri, lo stesso Saredo venne eletto ed insediato professore di legge nell' Università di Roma, appena appena proclamata nuova capitale d' Italia.

Ma se fu annullato il decreto di nomina per Firenze, ebbe invece qualche tempo dopo, pienissimo effetto un altro decreto promovente Saredo dall' Università di Parma a quella di Siena. Essa era stata ricostituita colle facoltà di teologia, giurisprudenza, medicina e chirurgia in forza del decreto-legge del 31 Luglio 1859 ed in essa il Saredo fece il suo ingresso come professore ordinario (1), per insegnarvi nei quattro anni di permanenza, dal 1866 al 1870, diritto civile e filosofia del diritto.

Anche a Siena, per la vasta dottrina, per la limpidezza d'espositiva e per il conversare erudito e brillante, esercitò grande fascino sugli studenti e sul corpo insegnante, dal quale, verso il 1869, venne creato Preside della facoltà legale. Vi godette la stima ed amicizia di famiglie distintissime, come quella dei Tolomei (2) e fu apprezzato dalla società degli intellettuali innanzi a cui tenne conferenze, due delle quali vennero pubblicate dal Treves nella collezione «La scienza del popolo». (3)

Nè lasciò inoperosa la penna, che spinto dalla bramosia del giornalismo e dello sviscerare questioni giuridiche, preparava quasi ininterrottamente scritti per il giornale «La Legge», di cui prima fu collaboratore e redattore responsabile e, poi nel 1871 ne divenne direttore; e provvedeva a pubblicazioni per il popolo con opuscoletti speciali come: «I doveri dell' uomo, - I doveri del cittadino - e - La libertà nella difesa delle cause penali» e «Dello sviluppo della personalità umana nella società moderna». E pubblicò pure un corso di lezioni fatte all' Università, collegandole in un «Trattato di diritto civile italiano» il primo volume del quale (di circa 600 pagine) uscì nel 1869 ed il secondo era annunziato di prossima apparizione.
Credo però che il secondo non abbia visto la luce perchè non solo non mi fu possibile trovarne copia, ma perchè non v' accenna nessuna recensione delle opere di Saredo pubblicate di fatto.

Luigi Scampolo
Giurista, nato a Palermo  il 3 dicembre 1825.

Si laureò in giurisprudenza nel 1845, nel 1863 divenne professore di diritto civile presso l'Università di Palermo. In quella sede egli costituì una società di giureconsulti con lo scopo di estendere e promuovere la cultura delle scienze sociali. A tale scopo nel 1868 fondò una biblioteca giuridica circolante, una sala di lettura e pubblicò una rivista di legislazione e giurisprudenza intitolata "Il circolo giuridico" di cui fu direttore fino alla morte.

Segretario generale dell'Accademia di scienze, lettere e arti, tra il 1883 e il 1886, presentò ai soci alcune memorie su “I primi 25 anni dell'Università degli Studi di Palermo”. Scrisse altre opere di contenuto giuridico e nel 1888, in occasione delle celebrazioni dell' ottavo centenario dell'Università di Bologna, pubblicò il volume dal titolo “La R. Accademia degli Studi di Palermo”.

E la ragione per cui non si stampò penso che debba ricercarsi nel passaggio del nostro professore, avvenuto in quella epoca, dall' Università di Siena alla Sapienza di Roma.

La trattazione del primo volume riguarda le leggi in generale, la cittadinanza e i diritti civili, il domicilio e la residenza, la parentela, l’affinità, il matrimonio e la separazione. (4)
 

L. Scampolo, professore di diritto civile all' Università di Palermo, occupandosi di esso lo chiama uno dei migliori manuali del codice civile italiano (5) quantunque vi scopra qualche menda, specialmente nei richiami all' antica legislazione delle Due Sicilie. Io però devo segnalarvi errori assai più gravi, dei quali si parlerà più a lungo in altro capitolo e che toccano le dottrine della Chiesa e la santità del matrimonio.
 

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NOTE
1) Da appunti offertimi gentilmente, in data 22 Marzo 1929, dal Direttore della Segreteria della R. Università di Parma, rilevasi che G. Saredo entrato in tale Ateneo quale professore straordinario di filosofia del diritto, a L. 2500 annue, vi fu creato professore ordinario con regio decreto del 5 ottobre 1862.
2) Da mie notizie raccolte a Siena.
3) Una di esse fu letta nella gran Sala dei Fisiocratici e trattava della lotta che l'uomo deve dare alla natura per scoprirne i segreti, dominarla e servirsi di essa per il progresso umano e sociale. L'altra trattava delle autonomie dei Comuni e Provincie.
4) Il secondo volume avrebbe dovuto svolgere !a materia della filiazione, adozione, patria potestà, tutela, emancipazione, interdizione, riabilitazione ed atti dello stato civile.
5) Confronta il periodico di Palermo «Circolo giuridico» del Dic. 1870

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CAPITOLO IV

PROFESSORE A ROMA


Suoi concetti sulla libertà di insegnamento e la pubblica istruzione


ALLA "SAPIENZA"

Il 20 settembre del 1870 le truppe di Cadorna occupavano Roma e, insediatovisi, il governo di Vittorio Emanuele II, la trasformava da città papale in

Cessa il potere temporale dei papi: alle 10 del mattino del 20 settembre 1870 i bersaglieri del 34° battaglione e i fanti del 39° entrano a Roma, attraverso una breccia aperta dall'artiglieria nelle mura, all'altezza di Porta Pia. Nello scontro cadono 49 soldati italiani e 19 pontifici. Pio IX si rifugia in Vaticano. Il 2 ottobre un plebiscito sanziona l'annessione di Roma al Regno d'Italia

capitale dei regno italiano, adunandovi a poco a poco le sedi centrali delle varie amministrazioni di stato e le direzioni delle forze intellettuali, giuridiche, morali e militari della nazione.

Vie, piazze, palazzi, uffici, scuole presero nomi nuovi e nuove destinazioni: e l' istituto della Sapienza, creato nel 1303 dal pontefice Bonifacio VIII e diretto, (attraverso vicende secolari) da maestri di ordini religiosi per la diffusione delle scienze e verità cattoliche, subì anch' esso una radicale metamorfosi, sia nel corpo insegnante, che nello spirito delle cose insegnate, sostituendovisi ai maestri religiosi, quelli laici, e trasformandolo da Università cattolica, in Ateneo nazionale.

Tra i nuovi professori, come si disse, v' entrò pure Saredo, il quale, in sue poesie, dopo aver ricordato che
                                                       «dall' Alpi estreme (1) noi movemmo il piede,
                                                       - molti anni son trascorsi, o Lilla mia!, -
                                                       in un lieto avvenir pieni di fede
»
accenna con gioia alla sua designazione di professore in Roma:
                                                      
«monti e mari varcammo, ed ecco alfine
                                                       dopo lunge tempeste, ecco siam giunti
                                                       di Roma alle fatidiche colline
».
ed è premuroso e orgoglioso d' indicare che a sì alto posto non lo condussero segrete mene,
                                                       «ma l' operosa indagine del vero
                                                       ma il lavoro indefesso e irrequieto
».

E gli si può prestare fede, essendo stato davvero un lavoratore indomito, uno studioso insaziabile ed un esecutore costante del proprio dovere, qualità ben note tutte a Cesare Correnti e Quintino Sella, ministri allora della pubblica istruzione, coi quali era stato in ottimi rapporti e col Sella, in modo particolare, aveva avuto lunga, cordiale e importante corrispondenza epistolare. (2) Avendo inoltre io chiesto a S. Ecc. Boselli, stato egli pure, dal 1872 al 1874, professore alla Sapienza, insegnandovi scienza delle finanze, se le ragioni per cui Saredo venne chiamato a Roma furono più d' ordine politico che scientifico, mi rispose assolutamente di no, perchè Saredo non era mai stato un agitatore o settario o uomo di azione, ed aggiunse che la di lui nomina si dovette unicamente al riconoscimento del suo valore scientifico e giuridico.

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NOTE
1) Saredo e sua moglie eran partiti da Chambéry nel 1860 e questa poesia è del 1871.

2)
 
Parecchie lettere del Sella sono tuttora conservate dalla march. Marieni, nipote del Saredo.
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DIRIGE "LA LEGGE"

E come la vasta competenza giuridica fece ascendere Saredo alla cattedra universitaria della capitale, così gli fece affidare la direzione della rivista «La legge» che, nata a Torino nell' Aprile 1861 e trasferita poi a Firenze, passò, all' inizio del 1871, a Roma in proprietà dell' editore Civelli, che ne dava comunicazione così:

«II sottoscritto, divenuto proprietario della «Legge», è lieto di annunziare agli abbonati e lettori di questo giornale che ne ha affidato la direzione tanto della parte giudiziaria quanto della parte amministrativa agli egregi e valenti giureconsulti avv. Emidio Pacifici Mazzoni, professore di diritto civile pubblico nella R. Università di Roma ed avv. Giuseppe Saredo professore di diritto pubblico interno nella stessa Università.
Il sottoscritto non crede aggiungere altro per raccomandare il suo giornale: il nome dei direttori è una garanzia
».
16 Gennaio 1871.  G. CIVELLI.
 

Fino dai primi mesi, assieme alla condirezione, Saredo assunse la responsabilità della pubblicazione di fronte alle leggi, poi ne divenne proprietario e direttore esclusivo, rimanendolo per circa trent' anni.

Luigi Lucchini. - Giurista italiano (Piove di Sacco 1847 - Limone sul Garda 1929), prof. di diritto criminale alla Scuola superiore di commercio di Venezia, poi nelle univ. di Siena e di Bologna; deputato al parlamento (1892-1907), senatore (dal 1908). Nel 1893 fu nominato consigliere alla Corte di cassazione di Roma; divenne poi procuratore generale in quella di Firenze. Lavorò alla preparazione del codice penale del 1889; la legge sulla condanna condizionale e quella sulla riabilitazione, nonché la sistemazione del casellario giudiziale, furono opera sua. Convinto assertore delle dottrine classiche, polemizzò coi rappresentanti dell'indirizzo positivo. Tra le opere: I semplicisti: antropologi, psicologi, sociologi del diritto penale (1886); Elementi di procedura penale (1920). Fondò (1874) la Rivista penale; diresse il Digesto italiano (1884-1921).

Sotto di lui, che l' aveva definita: «un vero e completo giornale teorico pratico della dottrina e giurisprudenza nazionale» la «Legge» acquistò nuovo impulso ed era considerata, come mi affermò l' on. Boselli, quale periodico giuridico di prim' ordine.
 

In essa si riproducevano, e spesso con note e commenti, le sentenze delle Corti di Cassazione e d' Appello e di altri tribunali, i pareri del Consiglio di Stato, le decisioni della Corte dei Conti, gli atti del Governo, la giurisprudenza parlamentare, i testi di leggi e decreti in materia civile, penale, commerciale, amministrativa e finanziaria; si trattavano argomenti e questioni d' ogni ramo del diritto, dal privato al pubblico, dal civile all' ecclesiastico, dal romano al moderno, dal nazionale allo straniero; vi si raccoglieva una copiosa e dettagliata bibliografia delle opere giuridiche che, a volta a volta, si pubblicavano ; e vi collaboravano penne come quella del Fiore, Lucchini, Mattirolo, Scialoia, Vidari, bastevoli, da sole, a dir quanta fosse l' importanza e il valore della rivista.
 

Gli articoli di commento, le note polemiche, le recensioni di libri e gli studi di Saredo, molti dei quali potrebbero chiamarsi veri trattati, sono numerosissimi e sui più svariati argomenti legali, e da essi è svelata la versatilità del suo ingegno, l' abilità d' impostare le questioni e l' abituale preparazione ad ogni cimento.

ORE GRIGIE

La frase incisiva, con cui Saredo sintetizzò la sua carriera, la quale sarebbesi svolta «or col sole ed or colla tempesta» (1) può applicarsi anche ai primordi della sua venuta a Roma, poiché se ebbe giorni di giubilante trionfo non gli mancarono ore grigie, di trepidazione accasciante, come avvenne nel 1872, quando fu sul punto di decidersi ad abbandonare l' Università e la città.

In quei duri frangenti ebbe la felicissima sorte di vedersi confortato da autorevoli personalità politiche, alle quali era legato da vincoli di vera amicizia, e prima tra esse il prof. Francesco Ferrara, ex ministro delle Finanze.

Questi gli offerse tutto il suo appoggio, dissuadendolo dall'idea di lasciare Roma, e proponendogli, nel caso che avesse persistito nel proposito di allontanarsi dalla capitale, di farlo nominare professore di Economia politica a Venezia, oppure di fargli affidare, d' accordo con Rattazzi, la direzione d' un nuovo grande giornale. (2 )

Quanto durò l' intima lotta? Quali e quanti furono gli avversari del nostro professore? E per quali ragioni egli dovette soffrire? Nulla di tutto questo ci è noto; ci consta solo che, dopo un' alternativa di incertezze e speranze, di afflizioni e conforti, non si mosse da Roma, continuando ad insegnare alla «Sapienza» fino al 1879, anno in cui ricevette dal Presidente del Ministero, Agostino De Pretis, la nomina a Consigliere di Stato, carica incompatibile, allora, con quella di insegnante universitario.

In nove anni svolse successivamente all' Ateneo romano corsi di legge, di procedura civile e ordinamento giudiziario, di diritto pubblico amministrativo e di diritto pubblico interno, corsi che, come aveva fatto per quelli di Sassari e Siena, pubblicò poi in interessanti volumi, mietendo lodi ed onori anche fuori del campo scolastico.

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NOTE
1) Da una poesia del 1882.
2) Raccolsi questi dati da due lettere dello stesso Francesco Ferrara, dirette in quei giorni a Saredo.

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NUOVE OPERE GIURIDICHE

Tra essi meritano d' essere specialmente ricordati:

1° «Saggio sulla storia del diritto internazionale privato» volume di oltre 100 pagine, che l' autore presenta come l' introduzione storica alla parte del suo studio sui conflitti delle leggi, che fa parte del «Trattato delle leggi» di cui si parla appresso.
«Pubblico fin d' ora a parte l' introduzione
- egli dice - per la ragione che forma quasi un' opera distinta, che sta da sè: e provvede intanto alla mancanza assoluta di una storia del diritto internazionale privato, così importante e così negletta».
Esamina i diritti e doveri nella legislazione romana, feudale e comunale. Rileva che se i Comuni medioevali italiani non giunsero a pareggiare gli individui stranieri coi cittadini, s'intese però fin d' allora «la necessità di riconoscere allo straniero certi diritti che nessuna carta feudale, nessuna ordinanza monarchica sognava di concedere» p. 78. Mostra come a poco a poco gli stranieri da hostes e barbari siano stati considerati alla stregua dei cittadini e termina riassumendo e lumeggiando le loro condizioni giuridiche di fronte alla legislazione moderna.
 

«Trattato delle leggi, dei loro conflitti di tempo e di luogo e della loro applicazione. - Commentario teorico pratico del titolo preliminare del codice civile e delle leggi transitorie per l' attuazione delle leggi vigenti».
Il titolo specifica chiaramente da sè il contenuto e lo scopo dell' opera, divisa dall' autore in quattro volumi, destinando il primo alle parti riguardanti l' emanazione, l' interpretazione ed abrogazione delle leggi; il secondo alla teoria della nullità di ordine pubblico e conflitti tra leggi nazionali e straniere; ed il terzo e quarto ai contrasti della legislazione civile e penale.
Il prof. Filippo Serafini dell' Università di Roma, a p. 602 dell' anno VI dell'«Archivio giuridico», commentando, in un lunghissimo articolo, il primo volume di questo Trattato lo chiama «un buon libro» riconoscendo il valore dell' opera e la opportunità del tempo in cui veniva lanciata fra gli studiosi, perchè proprio allora sorgeva la scuola dell' interpretazione italiana dei codici, della quale Saredo fu uno dei primi seguaci e assertori. «Occorre mettere insieme - scrive il Serafini - le nostre tradizioni, le quali ci fanno non solo diversi dai francesi, ma loro maestri. E il prof. Saredo ci dà così buoni segni di venire tra i primi di questa scuola».
 

3° «Istituzioni di procedura civile, precedute dall' esposizione dell' ordinamento giudiziario italiano».
Quest' opera in due volumi fu molto apprezzata ed ebbe una grande importanza, com'è dimostrato dalle ripetute edizioni, che se ne fecero in pochissimo tempo e dalle recensioni e commenti che le accoglievano.
Cito, fra tutti, il giudizio che sulla «Temi Veneta» (anno 12, n. 16) ne diede il prof. avv. Leone Bolaffio.
«L' opera del valoroso pubblicista è alla III edizione, nè vi si fermerà, giacche per quel tatto che distingue spesso gli studenti, malgrado gli erronei ed interessati insegnamenti dei professori, il lavoro del Saredo è il preferito dagli scolari delle nostre Università. Ed hanno ragione. L' economia del libro, la chiarezza del dettato e le giuste proporzioni assegnate alla' trattazione dei singoli istituti rendono realmente preziosa quest' opera a chi voglia formarsi un concetto preciso del nostro ordinamento giudiziario e della nostra procedura civile».
 

Alle opere surriferite vanno aggiunte, quantunque meno voluminose e di carattere meno generale, le seguenti lodate anch'esse per utilità pratica e ricchezza di dottrina:
«Del procedimento in camera di consiglio e specialmente per gli atti di Volontaria giurisdizione»
«Della azione civile contro le autorità giudiziarie e gli ufficiali del pubblico ministero»
«Procedimento relativo agli assenti»
«Della giurisdizione dei magistrati del regno sulle controversie fra stranieri relative all' esercizio della patria, potestà».
 

«Ma l' attività di Saredo scrittore, a Roma, non si ridusse alla direzione della «Legge» ed ai libri d' insegnamento universitario or ora nominati ; essa produsse parecchi altri lavori d' indole legale, amministrativa e politica, dei quali però sarà più opportuno far cenno ove si tratterà dell' operosità politica del nostro protagonista.
 

Riprodotte così, a rapide pennellate, in questo e nel precedente capitolo, le varie fasi ed aspetti della vita del professore e scrittore, diamo ora, a necessario compimento dei capitoli stessi, uno sguardo alle sue idee sull' insegnamento superiore e le norme regolatrici delLa pubblica istruzione nel regno.



LIBERTA' D'INSEGNAMENTO

Il principio fondamentale d' ogni insegnamento consisteva, per Saredo, nella più assoluta libertà; e per lui, discepolo della scuola liberale più estremista, non poteva essere altrimenti: principio che sostiene con energia in non poche sue opere, particolarmente in «Marco Minghetti» e «Principi di diritto costituzionale».
 

Forse, come moderò col tempo altre sue opinioni, modificò anche la sua rigidezza attorno a questo argomento, nel quale giungeva perfino a patrocinare massime ritenute oggi strane e contrarie a ciò che si pratica in ogni paese civile, quali sono quelle con cui si dichiarava - per eccessivo rispetto alla libertà d' insegnamento - contrario all' istruzione gratuita concessa dallo stato ed all' obbligatorietà d' insegnamento, (1) sancita dai governi.
 

Secondo lui, il problema dell' istruzione è un affare dei privati e lo Stato non deve ingerirvisi che incoraggiando allo studio o aprendo sue scuole, in nobile concorrenza a quelle dei cittadini, ma non può pretendere il monopolio scolastico.

«Nello stato attuale di cose - scrive Saredo nel 1862 - la regola è il monopolio governativo; l' eccezione è la libertà. In un governo schiettamente costituzionale la regola è la libertà e l' eccezione è l' ingerimento governativo...».

«In uno stato realmente liberale tutti i cittadini hanno diritto di insegnare, meno il governo, e per governo intendo i Comuni, le Provincie e lo Stato. La prima condizione dell' insegnamento si è di essere atto ai bisogni individuali di ciascun cittadino. Le scuole sono mezzi: i cittadini il fine. Ciò posto, chi è il giudice competente dell' istruzione che gli occorre? L' individuo privato. Lasciatelo dunque libero di scegliere il maestro, fissare il prezzo, il luogo, il genere che vuole purché non faccia male a nessuno. Il governo non s' intende in nessun modo dei mille e diversi bisogni dei mille e diversi cittadini; e la prova si è che insegna le stesse cose al figlio del ricco come al figlio dell'operaio, all' ingegnere come al futuro impiegato». (2 )

E più sotto aggiunge: «Non v'è paese in cui gli studi fisici e matematici siano tanto indietro come in Italia e abbiamo diciotto o venti Università mantenute e pagate dal pubblico erario. Non v'è paese in cui questi stessi studi siano più popolari, più diffusi e più progressivi che negli Stati Uniti; ma il governo non se ne mischia e lascia il tutto all' iniziativa dei privati». (3)
 

Domandandosi poi che cosa dovrebbero fare i Comuni, le Provincie e il Governo, risponde appunto che essi dovrebbero adoprarsi a favorire l' istruzione incoraggiando le iniziative private, impiegando con sagace sapienza i «molti fondi che hanno a loro disposizione, risultanti da lasciti fatti con lo scopo preciso di essere consacrati alla pubblica istruzione e mantenendo un dato numero di istituti propri», i quali servano a una vicendevole gara colle scuole dei liberi cittadini nell' interesse della cultura, a preparare individui specializzati per il disimpegno di uffici e missioni strettamente collegate e dipendenti direttamente dallo Stato e dalle pubbliche amministrazioni.
 

Nei «Principi di diritto costituzionale» sviscera a fondo la questione della libertà d' insegnamento consacrandovi una cinquantina di pagine, combattendo i sistemi che la avversano, prospettandosi le più disparate obbiezioni, cui risponde con eruditi e forti argomenti.
E sosteneva, coi liberali più spinti, non solo che i Governi non devono atteggiarsi a maestri, moralisti e filosofi imponendo le teorie e sistemi da insegnarsi dai professori, ma affermava che i professori statali sono pienamente liberi di scegliere e impartire le dottrine che vogliono, ed arrivava al paradosso di proclamare che essi non dovevano preoccuparsi di nulla, anche se il loro insegnamento fosse diametralmente opposto ai principi dei Governi da cui dipendono e da cui vengono stipendiati. (4)

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NOTE
1) Vedi « Principi di diritto costituzionale » vol. III p. 206 e seg.
2) Idem p. 201.
3) Idem p. 202.
4) Idem vol. I p. 26 e seg.

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LAUREE E DIPLOMI

In sua giovinezza e nei suoi primi anni d' insegnamento Saredo si dichiarò spesse volte nemico acerrimo dei titoli e diplomi ufficiali, la mancanza dei quali rendeva inabili i cittadini all' esercizio di molte professioni e cariche pubbliche.
 

Nel volume su «Marco Minghetti», dopo aver ricordato che quest' eminente uomo di Stato non possedeva alcuna laurea e che di ciò s' era vantato in Parlamento, e dopo aver chiamato le lauree un vincolo con cui gli Stati europei inceppano la libertà di lavoro, dice: «intendiamo di protestare contro lo assurdo principio in virtù del quale si fa di questi titoli (lauree e diplomi ecc.) una condizione indispensabile all' esercizio di certe professioni».
 

E nei «Principi di diritto costituzionale» accennando alle condizioni della pubblica istruzione in Italia scrive: «E' ben vero che il governo dà patenti, diplomi e permessi a coloro che glieli domandano sottoponendosi alle condizioni che esso impone. Ma se voi siete povero, se non potete sopportare le spese che sono richieste dagli anni di studio fissati dalle leggi; anni di studio che devono essere fatti nelle città indicate e sotto professori privilegiati dalle leggi; se non potete pagare le tasse... voi non potete ottenere la facoltà di guadagnare il vostro pane coi vostri sudori, col vostro ingegno, colle vostre cognizioni, e se vi permetteste di commettere un' azione così rea, la forza pubblica interverrebbe per mettere all'ordine la vostra temerità... Sì, parrà incredibile, e pure è vero: in pieno secolo decimonono, sotto un governo costituzionale, se rivivesse Dante Alighieri non potrebbe dar lezioni pubbliche di letteratura...». E perchè? Perchè, spiega Saredo, «a nessun insegnamento è considerato onesto e buono se non è dato nelle scuole del governo, da uomini del governo, sotto la guarentigia del governo». (1)
 

Nonostante queste teorie così radicali in favore della libertà d' insegnamento e così ostili alle scuole e lauree ufficiali, il nostro professore dal 1858 insegnava in istituti del governo ed a nome del governo e dal 1863 era fregiato di laurea. Le circostanze ed i tempi richiedevano così !

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NOTE
(1) Vedi «Principi di diritto costituzionale » vol. III p. 155 e seg.

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SUGGERIMENTI E CRITICHE

Ma, vivendo in mezzo all' ambiente scolastico statale, potè conoscerne con più agevolezza e sicurtà i pregi e difetti, le norme organizzatrici e la congerie di decreti e disposizioni discordanti e contraddicenti le une alle altre. Potè formarsi una chiara visione delle mutevoli vicende dei programmi, degli intrighi politici influenzanti l' indirizzo educativo scolastico, e potè infine convincersi della non rara incapacità e incompetenza di chi veniva preposto all' amministrazione e direzione degli studi, nonché dei meschini ripieghi cui si ricorreva per coprire o salvare provvedimenti e situazioni non meno meschine. E da tutto ciò, acquistò quell' autorevole esperienza che conferì maggior credito e valore alle critiche e suggerimenti, non risparmiati da lui nel desiderio di contribuire al miglioramento dell' istruzione pubblica in Italia.
 

Criticò aspramente da illuminato precursore dei nostri tempi, l' impotenza del Parlamentarismo nelle materie scolastiche, dimostrata da un cinquantennio di discussioni e progetti senza che si fosse saputo adattare alle nuove esigenze la legge Casati del 1859. (Il lamento di Saredo risale al 1901). (1)
 

Deplorò il triste spettacolo offerto, per decenni, dai partiti politici, serventisi della leggi sull' insegnamento come di palio per le loro competizioni e battaglie. «Si direbbe - esclama - che le materie della pubblica istruzione abbiano il privilegio di eccitare le passioni e le preoccupazioni di tutti i partiti i quali non potendosi accordare nel fare, concordino nell' impedire che si faccia.» (2)
Ed a conferma del doloroso fenomeno, deplorato dal Saredo, valgono le parole pronunziate da Mamiani, nella seduta del Senato del 9 Giugno 1873, e citate dal Saredo medesimo: «Mi ricordo - così Mamiani - che il Conte di Cavour compiacevasi di dirmi che quando vedeva la corrente politica un po' troppo veemente metteva sempre sù qualcuno per proporre una legge sulla pubblica istruzione. Allora i partiti si scindevano e battagliavano e per molti giorni la politica riposava».

Biasimò severamente il continuo roteare di decreti, circolari e prescrizioni delle varie autorità, circa l' ordinamento scolastico, che lontane dal condurre ad unità armonica, creavano invece confusioni e incertezze ; ed insorse contro le false interpretazioni ed applicazioni delle leggi e regolamenti. «Non ultima causa dei mali - egli dice - che affliggono le Università (e le altre scuole) è appunto il non aver mantenuto integre le disposizioni della legge e il non aver saputo applicare nè quelle nè le nuove». (3)
 

Disapprovò le frequenti sostituzioni dei ministri, fra i quali non pochi furono inetti, ed i guai che ne derivavano nelle nomine, destinazioni e graduatorie dei professori, le quali risentivano delle inclinazioni personali ed idee politiche del ministro : «Ogni ministro che viene - afferma Saredo - sente il bisogno di unire il suo nome a qualche grande riforma legislativa, la quale consiste generalmente nello stringere sempre più la catena che vincola l' insegnamento...».

«Un ministro della pubblica istruzione giudice autorevole e supremo dovrebbe essere una mente enciclopedica. Scippiamo però che di queste menti non ve ne sono, ed è molto quando colui che siede alla direzione del pubblico insegnamento è un uomo autorevole in qualche campo dello scibile umano; abbiamo veduto anche dei ministri così ignoranti e meschini da meritare l' epigramma di quello scrittore francese, il quale diceva che quando si vuole impiegare uno che non è buono a nulla bisogna farne un ministro della pubblica istruzione». (4)

A conclusione, poi, del suo lungo esame della legislazione sull' istruzione superiore, secondaria, tecnica, primaria, femminile ed agraria, scrisse nel 1901 queste sconfortanti parole: «La triste conclusione cui si giunge è dunque questa: che di tutti i rami della cosa pubblica è quello della pubblica istruzione che più abbisogna di profonde riforme: condizione triste e deplorevole, dimostrata dalla selva selvaggia ed aspra e forte dei decreti, regolamenti e circolari, che continuamente si susseguono». (5)
 

Ma sempre e sopratutto, come dichiarai, propugnò la più ampia libertà d' insegnamento, proclamandola anche il rimedio più acconcio e salutare a tutti i mali dell' istruzione statale: «L' unico rimedio efficace - scrive - per guarire tutti questi danni (dell' istruzione impartita dallo Stato) ce lo ha indicato Camillo Cavour: è l' abolizione di questo dicastero (dell' istruzione) e l' attuazione piena e leale della libertà d' insegnamento». (6 )

Avversando le scuole di Stato, l' insegnamento gratuito e quello obbligatorio egli fu ben lungi dal contrariare, come potrebbe supporre taluno, il diffondersi dell' istruzione e cultura nel popolo. «E' egli a dire - esclama infatti - che io sia nemico dell' istruzione? Che io non voglia vederla diffusa nelle classi più modeste del civile consorzio? Sarebbe un fraintendere stranamente il mio pensiero». (7)
 

Ma la voleva non imposta come il servizio militare od un odioso bargello, bensì libera e bramata dai cittadini, come frutto spontaneo dell' iniziativa privata e come una delle spinte migliori allo sviluppo della personalità umana.

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NOTE
1) Vedi Saredo «Vicende legislative della P. Istruzione in Italia», p. 575.
2) Idem p. 576.
3) Idem p. 35.
4) Idem pagg. 185 e 186.
5) Idem p. 578.
6) Vedi Saredo : «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 186. Anche quando, verso il 1895, l'on. Baccelli propose l'autonomia delle Università, Saredo inneggiò alla proposta chiamando l'autonomia un «provvedimento salutare».
7) Idem vol. III p. 225.

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IL SUO METODO

«
... Come insegnante e come scrittore ho sempre considerato debito mio di preoccuparmi non solo di ciò che è, ma altresì di ciò che deve essere. Nello spiegare quindi il Codice civile, colla parola e colla penna, io non mi sono mai chiuso nella infeconda e servile ammirazione del testo scritto; ma l'ho esaminato coscienziosamente, applicandovi la critica, lodando ciò che mi parve conforme alla giustizia ed alla scienza e condannando ciò che giudicai fosse ad esse contrario. Ho chiesto ad ogni disposizione legislativa le sue ragioni ad ogni dottrina i suoi titoli; non ho concesso la mia adesione se non a ciò che rispondeva alle esigenze della mia coscienza giuridica…».


Queste parole messe da Saredo nella prefazione (p. V e VI) del suo «Trattato di diritto civile», rivelano a sufficienza quale metodo abbia seguito insegnando e scrivendo; metodo razionalista, perchè a base di esame, critiche, discussioni e consensi; metodo cui s' attenne tanto nelle dottrine giuridiche che nelle religiose e storiche, e che inculcò agli studenti nelle pubbliche lezioni.

«Lungi dall' imporre ai giovani - così egli a p. VII della succitata prefazione - il culto pedantesco della lettera scritta li ho sempre eccitati a penetrarne lo spirito, ho sempre insistito energicamente perchè pensassero da se, esaminassero testi legislativi e sistemi, giudicassero col loro criterio le dottrine dei professori, le accettassero o le condannassero secondo che la loro coscienza suggeriva... E non è senza orgoglio che posso dichiarare di aver sempre ottenuto ottimi risultati».


Ed allo stesso modo che trasfuse il suo metodo nelle menti della gioventù universitaria, così si studiò di persuaderla e spronarla alla ricerca di nuovi veri giuridici ed allo svolgimento e perfezionamento di quelli già posseduti.
 

Un'eloquente riconferma di ciò ci è esibita dal discorso, che fece inaugurando, qual primo presidente, il Circolo giuridico di Roma, (1) nel quale afferma la necessità che fresche e robuste intelligenze si dedichino a studi, monografie ed altre opere, che, sviscerando le dottrine del diritto, liberino dai molti difetti e lacune le leggi esistenti e preparino norme e sanzioni più conformi a giustizia e verità : «Le regole del diritto - ecco alcune delle sue parole - sancite nelle legislazioni non sono che le conquiste successive laboriosamente ottenute, ma incomplete sempre, della scienza e della civiltà; spesso in una imperfetta disposizione legislativa è contenuto il germe di un nuovo vero giuridico, onde la necessità di un' opera incessante per avvicinarsi sempre più a quelli alti ideali di verità e di giustizia che sono la irrequieta e nobile aspirazione della società umana».

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NOTE
(1) Questo discorso fu pronunziato la sera del 19 Giugno 1899. Il Circolo giuridico di Roma fu il terzo sorto in Italia: prima di esso esistevano quelli di Palermo e di Napoli: il loro scopo consisteva nell' avvicinare e rendere solidali i cultori del diritto e nel promuovere gli studi legislativi e giuridici.

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ATTACCAMENTO ALLA SCUOLA

Avendo fatto menzione di questo discorso, mi gioverò ancora delle sue parole per indicare la tenerezza d' animo, che legava Saredo alla scuola ed ai suoi allievi e la nostalgica affettuosità, con cui il vecchio e giubilato professore ricordava i giorni del suo insegnamento.
 

Il brano che riproduco fu pronunziato da Saredo quasi settantenne, vent' anni dopo aver lasciate le lezioni ordinarie alla Università. Ringraziati i presenti per il loro intervento alla cerimonia inaugurale del Circolo, egli continuò: «Sento il bisogno di dire quanto io sia stato commosso e, noi nascondo, orgoglioso del suffragio che mi ha chiamato a questo seggio. Ho pensato, nè credo di errare, che la precipua ragione di tanto onore io la debbo ricercare nel fatto che tra i promotori di questo circolo figurano i nomi, a me ben noti e cari, di antichi discepoli, che mi riconducono al tempo indimenticabile della mia vita universitaria, e non hanno cessato di salutarmi col titolo, più d' ogni altro a me gradito, di professore: certamente del loro professore essi hanno parlato con memore benevolenza agli amici e colleghi e così avvenne che si è raccolta quella lusinghiera dimostrazione che sarà uno dei più preziosi ricordi di mia vita».
 

Quante suggestive memorie e quanta eloquenza di vita in pochissime frasi! Vi risorge con tutto l'entusiasmo e passione lo antico maestro, che dimentica volentieri ogni altro titolo e grado, anche quello di Senatore e Presidente del Consiglio di Stato, per non gloriarsi che del nome ed ufficio con cui sacrò vent'anni della sua migliore esistenza alla scuola.
 

E quanto ambisse potentemente l' onore e l' esercizio del professorato lo dimostrò adornandosi l' animo d' una dottrina ed erudizione vastissima, difficilmente reperibile in altri, acquistata da lui con studi profondi, diurni e notturni, su autori antichi e moderni, su testi latini, italiani, francesi, inglesi e tedeschi. Erudizione che profuse nelle sue mirabili lezioni aventi il segreto, sviscerando e trattando anche ardue e sterili questioni, di renderle piacevoli e facili agli uditori. (1)

Lo dimostrò coi lunghi anni di ininterrotto insegnamento, dato in importanti centri dell' attività intellettuale italiana, svolgendo i più svariati rami delle scienze giuridiche e per il quale meritò successive promozioni da scuole secondarie ad universitarie e da Università d' ordine inferiore a quelle d' ordine superiore, fino ad essere chiamato all' Ateneo della capitale.

Lo dimostrò pure nel 1889 (dieci anni dopo aver cessato l' insegnamento ordinario a causa della sua nomina a consigliere di Stato) allorché, offertogli d' insegnare alla Minerva, quale incaricato straordinario, la legislazione locale comparata, accettò con trasporto la nuova mansione, disimpegnandola con soddisfazione degli studenti e nuovo titolo di lode per se.

E lo dimostrò finalmente pubblicando numerosissimi articoli, monografie, trattati ed altre opere, con cui, anche fuori dell' aula universitaria, continuò a comunicare la scienza, a solvere quesiti, a dissipare dubbi, a interpretare codici, a commentare leggi. Ed i suoi scritti che, per la chiarezza dello stile, si fanno leggere fino all'ultima riga, e che per il numero basterebbero a formare una ricca biblioteca, erano studiati e consultati con frutto, e taluno, come il «Commento alla legge comunale e provinciale» (in 9 volumi) lo è ancora oggigiorno.

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NOTE
(1) La sua cultura, come già accennai, non s'estendeva soltanto alle scienze giuridiche, ma abbracciava largamente anche quelle storiche e letterarie e, per ogni nazione, aveva i suoi autori preferiti.
Fra i classici latini prediligeva, come dissi, Orazio e Virgilio.
Da una sua nota, che ho tra le mani, rilevo che fra i poeti italiani gustava sopra tutti Dante, Leopardi e G. Prati; tra quelli francesi, Musset; fra i tedeschi Schiller. Degli storici amava, fra gli italiani, il Colletta ; tra i francesi Taine ; fra gli inglesi, Macaulay; fra i tedeschi, Gervinus. Tra i romanzieri simpatizzava per Manzoni e Ruffini, italiani ; per Daudet, francese ; per Bronté, inglese e per Freytag, tedesco.
Aveva, specie negli anni giovanili, un'inclinazione particolarissima verso la lingua e letteratura francese. Ne fa fede la prima opera che pubblicò, «Du principe des alliances ecc.» e queste parole, che trascrivo da un suo biglietto «J'aime surtout la langue française. C'est peut être un blasphème, et je le dis tout bas. Mais je l'aime».

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Terminando il capitolo secondo, osservai che la produzione poetica di Giuseppe Saredo rappresenta una semplice parentesi nella sua multiforme ed incessante operosità ; concludendo ora il presente; nel quale, come nel terzo, si passò in rassegna la sua attività di professore e scrittore, non solo è necessario riconoscere che essa occupò una parte importantissima della sua brillante carriera, ma che la sua opera di apostolato delle scienze giuridiche, sia a viva voce che colla penna, fu sì intensa, vasta, feconda e diligente da bastare da sola ad immortalare il nome di un uomo e rendere famosa la terra che gli diede i natali.


 Inizio Pagina

***

 


 

RICORDO DI UN ALLIEVO

 

Tratto da un articolo apparso sul Resto del Carlino il 27 Novembre 1932 a firma di Filippo Crispolti

 

Rimontiamo a più di cinquantacinque anni addietro.

Agli studenti delle Università minori i nomi dei professori dell'Università romana giungevano circonfusi d'un singolare prestigio, e per la facoltà di giurisprudenza, il nome particolarmente di Giuseppe Saredo, i cui libri, di varia materia giuridica, ottenevano molta diffusione,vivaci, limpidi, sensati com'erano.
 

Così, nel lasciar io l'Università di Modena per iniziare il terz'anno di legge in quella di Roma, il professore di cui avevo maggiore curiosità era appunto lui, insegnante di procedura civile.
Ora, quella mattina del novembre 1876
che i corsi si dovevano aprire, vedo un gruppo di miei nuovi compagni intorno ad un avviso. Per quel giorno vacanza, poiché era morto un professore.
Io, cedendo a una tentazione da monello, dico a voce alta:
«Ce ne vorrebbe uno ogni ventiquattr'ore».

Sento alle mie spalle la voce d'un uomo maturo che risponde:
«Tante grazie,
anche a nome dei miei colleghi».
Mi
volto confuso, e mentre quel signore se ne va domando chi è. Mi si risponde:
«E' il professor Saredo».
Questo bell'inizio ebbero le mie relazioni con lui!


Chi ci avrebbe detto che
durante il suo insegnamento, e quando fu divenuto membro del Consiglio di Stato, poi Senatore, poi Presidente del Consiglio stesso, in una parola, fin che visse, quelle relazioni sarebbero state così amichevoli e strette, quali non ebbi con nessun altro dei miei insegnanti delle due Università, pur tutti buoni con me.
 

* * *
 

Ecco perché, nel primo centenario della sua nascita (16 settembre 1832 '932), la lucida, ampia, documentata biografia di lui che vien pubblicata dal chiaro concittadino, il savonese prof. D. Ambrogio Casaccia con forte prefazione del Podestà di Savona, generale marchese Assereto, non soltanto m'apparisce come un bel contributo alla storia locale e italiana, ma mi reca la commozione di veder rivivere la figura d'un uomo insigne, che in tanta differenza d'anni e di gradi si compiacque sempre di chiamarmi amico.
Ciò tanto più, in quanto il biografo,
nell'ammirare il commemorato non cade nel frequente difetto dei biografi, di dare per bella, buona, eccelsa ogni cosa del loro soggetto.
Il Casaccia è
uno storiografo che sa rimaner libero; che non teme all'occasione di far valere le convinzioni sue davanti e contro quei criteri religiosi, filosofici, politici, esposti dal Saredo nel libro giovanile Principii di diritto costituzionale e durati in lui lungamente, nei quali il dissenso fra i due non poteva essere che profondo.
Singolarissimo uomo il Saredo!
Un
decimo dei quattordici figli d'una famiglia in antico distinta, ma da tempo venuta in istrettezze, studia presso gli Scolopi di Savona, ai quali rimarrà sempre grato; si aiuta col dar ripetizioni; obbedisce per breve tempo alla madre che lo fa vestir chierico imprestandogli una vocazione infondata; eppoi a sedici anni, con sedici lire in tasca diserta la casa paterna per cercar fortuna.

In breve è a Torino, la To
rino del '48, dove fa prima il correttore di bozze, poi il redattore, in prosa e in poesia, del Fischietto, studia frattanto per conto suo italiano, latino e greco; legge il leggibile nelle discipline più diverse; passa, nello scrivere, dalle novelle e comedie alle biografie di personaggi viventi o morti; inizia riviste quasi sempre sfortunate; alterna così una preparazione vasta colle incertezze e gli stenti della vita.
Quan
do nel 1858 è nominato alle scuole secondarie di Bonneville in Savoja; quando l'anno dopo passa a dirigere le scuole tecniche di Chambéry insegnandovi storia, geografia e materie letterarie, egli finalmente non solo acquista la tranquillità d'una carriera governativa, ma può realizzare il suo sogno: cioè sposare la signorina torinese Luisa Emanuel, la costante ispiratrice sua, una donna d'alto animo, di grande coltura, che dopo fattosi un bel nome come scrittrice di romanzi sotto lo pseudonimo di Lodovico De Rosa, si darà a severi studi storici su Casa Savoja, ottenendo l'invidiato onore di membro della deputazione di storia patria in Piemonte.
La loro unione fu un idillio. Anche in tarda
età si dedicavano poesie per l'anniversario del loro matrimonio.
Quand’egli
nel 1896 rimase privo di lei e desolato, continuò ad invocarla ancora in versi, pur tra i suoi grandi affari, e queste ultime liriche, finora inedite, come quasi tutte le altre, sono davvero una bella cosa.


Ma prima di perder
la, durante i lunghi anni della penosissima malattia che gliela tolse, mi consta che l'affetto alla

 sua Luisa dette

 di sé una prova ben più rara: rifiutare parecchie volte di diventar ministro, perché l'orario del dicastero gli avrebbe tolto la libertà d'assisterla.

* * *
 

Terenzio Mamiani

NOMINA di CARDUCCI a BOLOGNA
Torino, li 18 agosto 1860.
Mio caro signore.

Il Prati per cagioni al tutto speciali riununcia alla cattedra di eloquenza italiana nella Università di Bologna.
Io mi terrei fortunato ed anche un poco superbo se Ella, caro signore, mi concedesse di nominarla a quel posto.
Bologna non è certo Firenze, ma è grande città che porta molto meritatamente il titolo di dotta; e il popolo suo è affabile e cordialissimo; a Lei, ne sia sicuro, farebbe festa più assai che al Prati.
Oltre l’emolumento di 3000 fr. avrebbe in corto tempo altri mille come Dottore di Collegio; e, ivi promulgata la legge

sarda, Ella parteciperebbe  alle iscrizioni e alle propine. Da ultimo, Le prometto che cessata la mezza autonomia toscana e cambiata in un largo sistema di libertà per tutti comune, se la Università di Firenze verrà dichiarata governativa, mi darò cura di restituirla alla sua diletta città.
Mi dica dunque un bel sì, e mi scusi del ricusare che fo di scrivere al Ricasoli per la cattedra in un liceo fiorentino.

Mi creda suo devotissimo
Terenzio Mamiani

Terenzio Mamiani
scrive a Carducci

In Savoja nel 1860 ecco sopraggiungergli una fortuna insperata.

Privo di studi regolari e di laurea è destinato alla facoltà giuridica dell'Università di Sassari.

Terenzio Mamiani, ministro della P. I, nei giorni stessi in cui sbalzò Giosuè Carducci da maestro di ginnasio alla cattedra di letteratura italiana nell'Ateneo bolognese, si valse del famoso articolo 69 per far fare al Saredo un salto anche maggiore. Infatti questi non cambiava soltanto sede e grado, bensì materia d'insegnamento.
Non s'era visibilmente occu
pato di cose giuridiche se non con l'opuscolo del 1859 Du principe des alliances internationales, che gli aveva fruttato, è vero, la conoscenza e gl'incoraggiamenti del Conte di Cavour.
Il
Mamiani fu criticato per quelle due nomine come per un arbitrio, ma i risultati mostrarono che aveva avuto buon naso.
Da Sassari ove insegnò i Diritti co
stituzionale, amministrativo, internazioriale, il Saredo passa presto a Parma ove aggiunge l'insegnamento di filosofia del diritto; poi va a Siena per quattr'anni; finalmente nel 1870, è trasferito all'Università di Roma dove, come dissi, lo trovai insegnante di procedura civile, e in essa rimase fino al 1879, quando il capo del Governo, Depretis, lo volle al Consiglio di Stato.
Le singolarità non riguardano soltanto i suoi casi, ma la sua tempra.

Attraverso ad una giovinezza così avventurosa, da parer talvolta zingaresca, non solo riesce un lavoratore improbo — l'elenco delle sue moltissime pubblicazioni spesso voluminose lo dice — ma sopratutto ordinatissimo.
Il
giorno che nel Consiglio di Stato può comandare, il suo esempio, il suo stimolo, le sue esigenze raddoppiano la laboriosità di tutto il Corpo.
Guai
sotto di lui ad essere uomini di scarso rendimento, anche se valenti.
Né per
questo li vuole unius negotii.

Diano aria alla mente svagandola con interessamenti svariati, sia pur secondari.

Poeta prima ancora che nei versi, nei sentimenti fondamentali, acquista uno spirito pratico e positivo, da far credere talvolta che le idealità gli sembrino un perditempo.
Uomo di De
stra, entusiasta della Monarchia e aborrente dalle sètte, si trova per antica amicizia personale così vicino al capo della Sinistra, Depretis, da diventarne il principale coadiutore nella formulazione dei disegni di legge e pian piano il consigliere universale intimo: acquista con ciò una potenza segreta,quale pochissimi ebbero in Italia, ma conserva, anche di fronte a lui, una fiera libertà di giudizi, che nelle ninfe egerie è insolita.
Frattanto, mescolandosi in tal modo ai grandi affari dello Stato fa un prezioso acquisto; quello dell'esperienza politica fino allora mancatagli.
E questa esperienza gli giova grandemente a temperare quello spirito dottrinario e perfino consequenziario, per cui specialmente nel citato libro Principii di Diritto Costituzionale,aveva spinto all'estremo i canoni teorici della Destra.

 

Il suo liberalismo, anzi liberismo, era stato tanto assoluto, da non vedere nello Stato se non il guardiano agnostico dei diritti degli individui, con tutte le conseguenze che in ispecie nella politica ecclesiastica avrebbero fatto torto al carattere e alle ragioni della Chiesa, dalla quale, lasciata la casa paterna, si era anche privatamente straniato.
Benché nello stesso
libro rendesse alcune giustizie agli Ordini religiosi e allo stesso Papato, poteva passare per un anticlericale.
 

* * *
 

Come pian piano l'aspetto della realtà sociale lo modificasse, se n'ebbe una prova nel favore con cui prese a guardare e cercò di contribuire, vivente ancora Depretìs, alla Conciliazione, piuttosto temuta che vagheggiata un tempo.
Se ne ha un'altra prova, poste
riore ma più manifesta, nella lettera inedita del 4 giugno 1898 all'amico savonese Agostino Cortese, pubblicata dal Casaccia.
Mortagli la moglie, eragli purtroppo mancato il motivo della
infermità di lei per rifiutar portafogli.
Poteva oramai accettarli.

Ma scrive: «Come a quest'ora saprai, il Ministro Di Rudinì mi ha offerto il Ministero di Grazia, Giustizia e Culto; non ho creduto di poterlo accettare per il mio dissenso da lui circa i rapporti fra l o  Stato e la Chiesa. Egli crede necessaria una politica di rigore verso la Chiesa, nella quale vede una nemica implacabile dell'Unità nazionale e della Monarchia.
Io invece ritengo più
saggia una politica più temperata, per la quale, mantenuti alti i diritti dello Stato, siano però rispettate le ragioni della Chiesa e questa venga considerata come una delle più potenti fattrici della pacificazione sociale.
Co
munque sia, ho ricusato. Questa confidenza resti fra noi».
 

Ma un'altra bella singolarità ebbe il Saredo.
Rigidissimo in fatto d'onestà e di legalità — non senza ragione
il suo primo lavoro pubblicato nel 1856 era stata la biografia di Solaro della Margherita vivente, del quale avversava le idee, per celebrarne la probità e la coerenza, pur sapendo che molti liberali gliela avrebbero rimproverata, come fecero allora e perfino moltissimi anni dopo.
Rigidissimo in ciò, come ho detto, non profittò mai per sé della
potenza che sotto Depretis aveva.
Ol
tre al non voler portafogli allora, le sue promozioni a senatore e a presidente del Consiglio di Stato avvennero molto tempo dopo che Depretis fu morto.
Ahimè! accettò dal Presidente del Consiglio, Saracco, l'ultima promozio
ne, quella di capo dell'inchiesta per Napoli, durata due anni.
Il suo zelo
per risanare la grande città dagli abusi e dalle camorre, abbandonato egli moralmente da successivi ministeri, gli fruttò non solo fatiche indicibili e dolori senza fine, ma il deperimento invincibile di quella forte fibra, che da solo il crescere dell'età non aveva scosso.
Morì nel dicembre 1902, piamente
assistito dall'amico e concittadino suo mons. Mistrangelo, Arcivescovo di Firenze.

Non pure Savona, ma l'Italia aveva
diritto che la memoria di quest'uomo, per tanti lati memorabile, fosse consegnata ad un libro degno.
E Ambrogio
Casaccia, col marchese Assereto, ha ottimamente provveduto a ciò.

                                                                                                         Filippo Crispolti



FONTI e LINKS di approfondimento

 

1.  GIUSEPPE SAREDO - BIOGRAFIA

2.  L'INSEGNAMENTO SCOLASTICO E UNIVERSITARIO
 

3.  IL CREDO POLITICO - SAREDO LIBERALE E MONARCHICO
 

4. TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIONE

 

5. L'INFUENZA POLITICA E  LA QUESTIONE ROMANA


6. IL COMMISSARIAMENTO E L'INCHIESTA DI NAPOLI

 

7. SCHEDE DEI LICEI DI SAVONA


 

http://www.tesionline.it/consult/pdfpublicview.asp?url=../__PDF/4655/4655p.pdf
 

http://www.polistampa.eu/public/images/caffem33.pdf

 

 

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