Il presente capitolo mette in luce la passione di Giuseppe Saredo per
l'insegnamento.
Dall'opera di Ambrogio Casaccia intitolata
"Giuseppe Saredo" edita da
Stabilimento Tipografico Editoriale Ricci, Savona 1932
riportiamo integralmente:
il Capitolo III: Da Chamberry a
Roma da
pag. 43 a pag. 66
il Capitolo IV: Professore a Roma
da pag. 67 a pag. 84
In appendice ci piace portare la testimonianza del senatore Filippo Crispolti
conterraneo, collega universitario ed amico del Saredo,
intitolata:
RICORDO DI UN ALLIEVO
In quest' articolo apparso sul Resto del Carlino il 27 Novembre 1932 in
occasione della recensione del volume del Sacerdote Ambrogio Casaccia, viene
commemorato Giuseppe Saredo a 100 anni dalla nascita.
CAPITOLO III
DA CHAMBERY A ROMA
Professore nelle Scuole
Secondarie
Le prime
scuole pubbliche in cui Saredo insegnò furono, come dissi al termine del
secondo capitolo, quelle di
Bonneville in Savoia, nelle quali rimase un
anno, perchè nel successivo 1859 egli dirigeva già le scuole tecniche di
Chambéry, essendovi nel medesimo tempo maestro di storia, geografia e
letteratura. Ma anche qui la sua dimora non si protrasse oltre l' anno,
poiché per i suoi studi, pubblicazioni e meriti e per la fiducia in lui
posta da un eminente uomo di stato, veniva nel 1860 assunto ad uffici ben
più elevati e onorifici.Per lui,
che, come s' è visto, sentivasi chiamato alle lotte della penna e del
pensier, lo sminuzzare facili cognizioni scientifiche agli allievi di classi
secondarie non solo non doveva sovrabbondare di attrattive,ma doveva
Castello di Chambéry
pesargli e tediarlo come un’ insopportabile catena. William Turner -
Bonneville
Basti ricordare a tal uopo il sonetto, che egli, assistendo agli esami nelle
scuole di Chambéry,
Olio su tela, cm 92,9 x 123,8
indirizzava a sua
moglie:
Philadelphia Museum of Art
Lilla, che noia! e
che sbadigli!
John G. Johnson Collection, 1917
ho le mascelle
intatte è un ver portento!
Vano è ogni sforzo
per tenermi attento!
………………………………….
Ed ora in preda ad una noia orrenda
vedo innanzi a me musi stremati (1)
e ci mandiamo al diavolo a vicenda.
Per
vincere l' uggia, soddisfare l' impulso naturale dell' animo e prepararsi a
nuovi cimenti, egli, fra le gole recesse della Savoia, nei tempi liberi
dall' insegnamento e spesso durante le notti (2), continuava a studiare con
passione la letteratura latina, italiana e francese, scriveva articoli per
giornali e riviste, compilava e pubblicava biografie di uomini illustri e si
approfondiva nell' esame e trattazione di questioni giuridiche.
E fu
appunto in questo periodo che egli consegnò alle stampe il suo lavoro « DU
PRINCIPE DES ALLIANCES INTERNATIONALES » (3) che a quanto mi disse S. Ecc.
Paolo Boselli «fu il primo lavoro che attirò maggiormente l'attenzione degli
studiosi e degli uomini politici sopra Giuseppe Saredo» e che contribuì non
poco a facilitargli il passo verso le bramate ascensioni.
Il libro
comparve nel I860, steso in lingua francese ed in forma di lettera dedicata
e diretta al Conte Camillo Cavour.
In essa l' autore, plaudito all' alleanza conclusa fra Italia e Francia a
Plombières, mira a determinare quali debbano essere nel secolo XIX ed in
futuro le vere basi delle alleanze internazionali ; e svolge il suo assunto
con abbondanza di dati e dottrine giuridiche, affermando che le vere
alleanze tra nazioni non potranno più essere quelle fatte per interessi
dinastici, le quali - dice - giovavano unicamente ai principi ; ne quelle
storiche o tradizionali, fondate sull' omogeneità di razza, costumi e
religioni ; ma dovranno essere quelle naturali, ossia le alleanze contratte
liberamente dai governi realmente rappresentativi dei popoli, cioè dai
governi costituzionali.
Com' era
logico, Saredo non tardò ad inviare copia del suo volume a Cavour, il quale
con pari sollecitudine gli trasmise la lettera che qui riproduco :
Ill. Sig. Professore,
Ho ricevuto l' esemplare della lettera pubblica, ch' Ella volle indirizzarmi
per le stampe sul «principio delle alleanze internazionali». Mentre mi
riservo di prendere cognizione di questo nuovo frutto del suo ingegno, mi
affretto a ringraziarla dei sensi di simpatia ch' Ella esprime nella sua
lettera d' invio. Mi è poi grata questa opportunità per offrirle gli atti
della mia distinta considerazione.
Torino, 30 Gennaio 1860.
C. Cavour.
Il grande
ministro non pago di questa lettera volle poi congratularsi a viva voce con
Saredo, elogiandolo caldamente. Ma se le lusinghiere parole di Cavour e le
approvazioni di dotti ed amici confortarono e soddisfecero grandemente
l'autore del volume, risonando nell' animo suo come ottimi auspici per l'
anno allora iniziato; egli doveva presto udire un' altra voce, sorgente per
lui di ben maggiore consolazione e letizia, la voce cioè d' un membro dello
stesso Ministero presieduto da Cavour, la quale lo creava d'un tratto, da
insegnante di scuole tecniche, professore universitario e lo inviava da Chambery all' Ateneo di Sassari.
________________________
NOTE
1)Quelli degli studenti sotto l'incubo degli esami.
2)In una
sua poesia diceva :
« Bella
cosa è domar l'ingenerosa
forza del sonno e d'un viril dovere
ascoltare il linguaggio e grandi e vere
gioie cercar nella scienza ascosa.
3)Il
frontispizio recava: Du
principe
des
ALLIANCES INTERNATIONALES
lettre politique
a S. E. le Comte Camille Benso de Cavour
par M. J. Saredo
directeur des écoles techniques
de Chambery
1860
________________________
Sbalzo Glorioso
Cavour,
che dopo la pace fra Napoleone III e l' imperatore austriaco, concordata nel
1859 a Villafranca, aveva abbandonato il potere, lo riprese sei mesi
appresso scegliendo tra i suoi nuovi collaboratori anche il conte
Terenzio Mamiani al quale affidò il dicastero della pubblica istruzione e che fu
appunto colui che innalzò Saredo alla cattedra universitaria.
Dalla
prefazione con cui Mamiani, nel 1855, presentò al pubblico italiano la
«Rivista letteraria» di cui Saredo era fondatore e direttore si arguisce
che i buoni rapporti di amicizia e di stima fra i due personaggi non
dovevano datare da epoca troppo recente; e, secondo l' on. Paolo Bosetti le
loro relazioni divennero più cordiali durante la campagna elettorale che
rese Mamiani deputato di Genova.
Presa la
direzione del Ministero assegnatogli, Mamiani vagheggiò di riformare varie
parti della legge Casati del 13 Novembre 1859.
Difatti il
10 Maggio dell' anno 1860 presentò alla Camera un progetto di modificazioni
all'ordinamento dell’ istruzione superiore, col quale «mirava a meglio
regolare il libero insegnamento nelle Università, la forma degli esami, i
gradi e gli onori accademici.» (1) Il progetto non venne approvato: ma se il
Ministro, nel breve tempo che impugnò le redini della pubblica istruzione,
non riuscì a far accogliere dal Parlamento tutte le innovazioni che voleva
apportare alla cultura e vita universitaria, usò peraltro di tutta la sua
libertà - talora anche eccessiva e che gli cagionò critiche severe - ed
autorità nella scelta e destinazione dei professori.
Per non
dilungarmi, non citerò che pochi esempi: basti quello della nomina di
Giosuè
Carducci, ch' era semplice insegnante di ginnasio, a titolare della
cattedra di letteratura nell'Università di Bologna; quello della chiamata
dello straniero ed esule
Moleschott, olandese, a dar regolari lezioni di
fisiologia nell' Ateneo di Torino ; quello dell' invito a recarsi in Italia
fatto ad Augusto Vera che insegnava a Parigi e del suo invio all' Università
di Napoli ; quello della promozione del savonese Pietro Giuria che da
impiegato delle imposte a Voghera fu creato professore di letteratura e
storia italiana all' Università di Genova; e quello del nostro Saredo, che
senza lauree ed altri titoli accademici venne trasferito dal banco di
maestro di scuole secondarie alle aule dell' università sassarese per
svolgervi ed illustrarvi scienze giuridiche.
Giosuè Carducci
Non può
negarsi che quello di Saredo sia stato uno sbalzo glorioso e una marcia
trionfale! In meno di tre anni dalle strettezze finanziarie, dalla
mancanza d' impiego, dall' esistenza incerta e faticosa era giunto per il
diuturno lavoro, l' indomita volontà e gli studi indefessi, non sorretto da
gradi o diplomi ufficiali, ai fastigi della carriera di insegnante. Sì, la
sua fu una rapida ascesa, anzi una corsa singolarissima, per cui non è a
stupire se molti, e primi fra questi i rimasti indietro, udita la
designazione del nuovo professore di Sassari, s' accesero d' invidia e
gelosia protestando energicamente contro di essa chiamandola irregolare,
arbitraria e sacrilega.
Allo
stesso modo però che le acerbe critiche non turbarono il Ministro autore
della nomina, perchè facendola aveva agito con piena consapevolezza dei
propri diritti (2) e con profonda convinzione del valore scientifico del
nominato, così esse non commossero affatto il Saredo, perchè non si reputava
indegno dell' ufficio cui era chiamato, nè impreparato a disimpegnarlo con
intelligenza e fervore.
_______________________
NOTE
1)V.
Saredo: «Vicende legislative della Pubblica istruzione in Italia», p. 40.
2)L'art.
69 della Legge Casati diceva : «Il Ministro potrà proporre al Re, per la
nomina (a professori Universitari) prescindendo da ogni concorso, le persone
che per opere, per scoperte o per insegnamenti dati saranno venate in
meritata fama di singolare perizia nelle materie cui dovrebbero
professare».
_______________________________
L'Università Risorta
Nell' anno
che egli incominciò le lezioni all' Università di Sassari, essa si
ridestava, amnistiata e salva, dal terribile sbigottimento provato pochi
mesi innanzi udendosi condannata a morte dall' articolo 177 della Legge
Casati, che con fredda concisione suonava così «L' Università di Sassari è
soppressa».
Uno dei
motivi - e non l' ultimo - della decretata soppressione va ricercato, come
si deduce dal passo qui sotto riferito, nello scarso numero degli studenti.
«Pare che le due Università della
Sardegna, (Cagliari e Sassari) nell' ultimo secolo siano andate scemando di
frequenza e di numero di iscritti e quindi di importanza, in proporzione
dell' aumento della popolazione e dei mezzi economici. Non è da credere che
i Sardi non diano agli studi superiori un forte contributo, oggi più
numeroso che nel passato. Il fatto si spiega pensando che i giovani sardi,
desiderosi di studiare oltre che sui libri, anche sulla società della quale
non possono avere una idea chiara e precisa vivendo nella loro isola,
piccolo ambiente, preferiscono andare a frequentare le Università del
continente...». (1)
Chiudendosi l' Università sassarese i suoi beni e capitali dovevan passare
ad altre opere aventi scopo di pubblica istruzione.
Il citato
articolo della Legge continuava infatti: «I redditi particolari, le
fabbriche ed il materiale scientifico e letterario che le appartengono
(all' Università) saranno impiegati al fine della pubblica istruzione in
vantaggio della città e delle Provincie, per cui essa fu istituita e
particolarmente per la istituzione degli stabilimenti inferiori e superiori
di istruzione secondaria e tecnica, che a norma di questa legge vogliono
essere aperti nella città di Sassari».
Contro la
sancita spogliazione e chiusura insorse fieramente sdegnato l' animo dei
Sassaresi e delle loro proteste si fece eco e caloroso difensore, nel
Parlamento italiano, il
deputato Mancini, rappresentante in quei tempi
della loro città, il quale esponendo e sostenendo alla Camera un progetto
invocante l' abrogazione degli articoli della legge Casati, distruttori
della vita dell' Università Sarda, riuscì a farlo approvare e convertire
nella legge datata 5 Luglio 1860.
Riacquistato così il pieno diritto alla libera e feconda esistenza, l'
Ateneo di Sassari accolse in quell' anno, tra i membri del corpo
accademico, anche il nostro Saredo quale professore straordinario di Diritto
costituzionale e quale incaricato dell'insegnamento di Diritto
amministrativo e Diritto internazionale.(1)
_________________________
NOTE
1) Vedi
Angelo Cossu «Sardegna e Corsica» p. 94.
2) Vedi la
Lettera con cui il Grazioli presentava al pubblico italiano i 4 volumi del
Saredo «Principi di diritto costituzionale». Il decreto di nomina a
professore straordinario di Diritto costituzionale reca la data del 18
agosto 1860.
_________________________________
Nell'Ambiente Sassarese
A Sassari,
ove egli similmente che a Bonneville ed a Chambéry, non dimorò che un anno,
non potè lasciare rimarchevoli tracce della sua presenza, assorbito com'era
dalla necessità ed urgenza di giornalieri e profondi studi sulle nuove e
svariate materie che doveva insegnare.
Ma se - perchè chiamato altrove
- il suo soggiorno nella seconda delle principali
città di Sardegna fu come la sosta d' un colombo viaggiatore ed egli vi
passò quasi inosservato dalla gran massa degli abitanti, perchè gli mancò
tempo e agio di applicarsi ad opere concernenti direttamente il pubblico
interesse, tuttavia il breve tempo che vi rimase bastò a farne apprezzare
dai colleghi d' insegnamento (1) e dagli studenti il vigoroso ingegno, l'
estesa cultura, la brama del sapere ed il saldo carattere.
Di quel
periodo ci restano le lezioni che tenne all' Università, dalle quali come
in un quadro limpido e parlante ci son palesati i suoi convincimenti
sociali, politici e religiosi, e le quali ci pervennero raccolte in quattro
volumi di oltre 1200 pagine complessive, pubblicati a Parma negli anni 1861
e 1862 col titolo di «Principi di diritto costituzionale». Nella mente dell'
autore, tali Lezioni erano state concepite ed ordinate come il «codice
politico» dei cittadini dell' Italia liberatasi dal giogo austriaco e dagli
stati a regime assolutista: e, dandole alle stampe, dichiarava: «m'accingo
a scrivere un trattato della scienza dei governi liberi» (2), avvertendo che
s'era deciso a pubblicarle perchè, a suo parere, mancavano o erano
difettosi a quei tempi, nel nostro paese, libri di tal genere corrispondenti
al suo intento ed alle nuove condizioni della vita nazionale. (3)
_______________________
NOTE
1) Rettore
d' Università era Francesco Cossu, che fu deputato, e professori della
Facoltà giuridica erano Gavino Tanda ; Todde Giuseppe ; Virdis Salvatore ;
Freddi Carlo ; Grona Nicolò ; Sanna Tolu Vincenzo ed il sac. Marongiu Diego.
2) Saredo:
«Principi di diritto costituzionale» voi. 1. p. 11.
3) Esistevano: «La scienza delle costituzioni» del Romagnosi, il «Trattato
sulla monarchia rappresentativa» del Balbo, i «Principi del governo libero»
del Carutti ed altri lavori di minor rilievo, ma tutti sembravano al Saredo
inadeguati allo scopo cui egli mirava.
______________________________
Le Prime Lezioni Universitarie
Esse
apparvero, difatti, in Italia come uno dei primi veri e completi trattati di
diritto costituzionale, abbraccianti e sviluppanti tutte le questioni più
interessanti e vitali per l'organizzazione e regolare funzionamento d’uno
stato a governo rappresentativo.
Stabilita
l' idea fondamentale del diritto, che è da lui definito l' «insieme delle
leggi naturali che governano la personalità umana, in quanto essa si
estrinseca nei diversi rapporti della vita civile» (1) e determinate le
relazioni dell' imperativo etico e giuridico colla scienza della
legislazione, l' autore fissa le sue teorie sulla natura della società
umana, della libertà e sovranità per dare le prime nozioni del governo
costituzionale.
In ciò s'ispira alle teorie della scuola classica liberale inglese ed agli
ideali professati e praticati dal Conte di Cavour, del quale era ardente
ammiratore e seguace.
Esaminati poi, dal punto di vista
liberale, i vari sistemi di governo e combattuto quello teocratico, quello
del diritto divino, quello del contratto sociale, quello della scuola
storica, quello dell' utilità, quello del sentimento secondo il quale « una
azione che risveglia la simpatia generale è buona; cattiva e punibile è
quella che solleva l' indignazione del cuore» (2), l'autore riafferma che il
miglior sistema è quello del governo costituzionale, in cui «la
costituzione scritta armonizza colla costituzione naturale del popolo», in
cui il «capo dello Stato è impersonale, inerrante, irresponsabile,
immortale, come quegli che rappresenta la impassibilità della legge nella
sua più alta manifestazione», in cui «la legge sola governa sovranamente lo
Stato, mentre gli uomini non ne sono che gli strumenti e gli esecutori» ed
in cui «lo scopo supremo cui deve tendere il potere sociale è la guarentigia
dei diritti naturali dell'individuo». (3)
Conduce il
suo lavoro con, metodo piano e ordinato, ricchezza di argomenti, erudizione
nutrita e chiarezza invidiabile.
E come nei primi capitoli, per definire le basi del governo costituzionale,
adopera spesso serena discussione e spirito polemico, così vi ricorre
sovente nel corso delle successive lezioni esaminando e sviscerando tutta la
vasta materia della scienza costituzionale, dalla divisione dei poteri alla
libertà di pensiero, di coscienza, di stampa, di insegnamento e di
associazione, dalle prerogative della Corona ai rapporti fra Chiesa e
Nazione, dall' accentramento statale alle autonomie comunali e provinciali,
dalle competenze dei Consigli superiori ai doveri dei singoli funzionari,
dal diritto di proprietà all' organizzazione della pubblica beneficenza,
dalle libertà economiche al diritto dell' intervento dello Stato ecc.
I
«Principi di diritto costituzionale» sono davvero un diligente e completo
trattato filosofico, e quantunque non tutte le idee e dottrine da esso
proclamate e sostenute siano da tutti accettabili, è però doveroso
riconoscere che esso ha un grande valore scientifico e si può giustamente
ritenere che abbia influito non poco a mettere sempre più in evidenza la
personalità del Saredo, il quale d' altronde con quel suo libro tra le mani
possedeva più che a sufficienza quanto richiedevasi per far tacere i
malignanti la sua nomina a professore, perchè privo di titoli accademici.
«Se non vedete i titoli, poteva esclamare, guardate le opere che valgono
assai più».
_____________________
NOTE
1) Saredo :
«Principi di diritto costituzionale» vol. I p. 52.
2)
idem p. 175.
3)
idem p. 183.
____________________________
Professore a Parma
I
plebisciti ideati da Cavour, per togliere ai Ducati di Toscana e d' Emilia
i governi provvisori, privi ormai d' ogni scopo, e per vincere la continua
indecisione di Napoleone III a permettere l' effettiva estensione dello
scettro sabaudo, avevano dato i frutti sperati. Dalle urne di Parma, come
da quelle di Firenze e di Modena l' annessione al regno d' Italia era stata
proclamata con clamorosa maggioranza di voti. Alludendo a questo fatto,
Saredo scriveva: «Il fiocco di neve si era fatto valanga: alle incertezze ed
alle inquietudini era successa la balda sicurezza, nata dai prodigiosi
trionfi di Garibaldi. Il popolo italiano dichiarava recisamente,
apertamente le sue risoluzioni; esso voleva l’ Italia una ed indivisibile
con Vittorio Emanuele re costituzionale…» (1)
Ed a
Parma, un anno dopo l'annessione, dal governo d' Italia, Giuseppe Saredo fu
inviato professore di filosofia del diritto, di diritto costituzionale e poi
anche di diritto internazionale nella Regia Università.
Questa, che fra le pagine della sua storia ne registrava delle fulgidamente
gloriose, ora aveva assai perso della sua antica importanza.
«Passata Parma, nel 1545 - dice l' autore
del fascicolo PARMA della collezione «Le cento città d' Italia» - sotto la
dominazione dei Farnesi, l' Università venne mano mano a tanta prosperità
che nei primi anni del secolo XVII nessuna delle altre Università italiane
poteva superarla e per la grande celebrità che essa si era guadagnata in
Italia e all' estero e pel concorso straordinario degli studenti d' ogni
parte d' Europa».
Ai
primordi del secolo XIX, tanta floridezza era scomparsa, nè l' Ateneo più
la rivisse: sotto il governo provvisorio, anzi, con decreto 22 Gennaio 1860,
firmato da
Montanari e Farini, le due Università di Parma e di Modena
vennero classificate di 2° ordine, togliendosi ad entrambe la facoltà
filosofica e letteraria.
Saredo
inaugurò le sue lezioni alla cattedra parmense, nel 1861, rivolgendo agli
studenti un discorso (2) sull' «importanza vitale dello sviluppo della
personalità umana per affrettare il rinnovamento della società». Discorso
che fu per essi la
Saredo trentenne a Parma rivelazione aperta e lampante dell' animo e sentimenti
del nuovo professore e che valse a cattivargli fin da allora quell'aureola
di stima e simpatia di cui fu sempre circondato nella città emiliana, ove
trascorse cinque anni di insegnamento, passando con facilità e dottrina
dalla trattazione di uno all' altro ramo delle scienze giuridiche (3),
pubblicando nuovi scritti e volumi e partecipando alla vita e attività di
associazioni politiche.
Francesco
Giarelli
Piacenza 1844 - S.Giorgio Pc 1907. Giornalista(pseudonimo Penna
piacentina) scrisse anche un libretto d'opera (La contessa di Medina).
Fu amico di Cavallotti, Carducci, Hugo, Boito.
Il busto è opera dello scultore Annibale Monti (1875-1941). |
F.
Giarelli, nell' articolo da me già citato chiama «veramente splendide»
le lezioni di Saredo all' Università di Parma, alle quali gli studenti
assistevano volentieri e con gioia, attratti dall'invidiabile abilità, che
aveva, di esporre con semplicità e chiarezza le quistioni anche più
intricate e difficili, dall' arte con cui sapeva colorire e rendere
piacevoli, mediante tratti polemici, raffronti dottrinali e richiami
storici, le materie spesso aride che spiegava e dal segreto, che possedeva,
di ispirare amore e rispetto alla scienza. Ed a sì interessanti lezioni non
raramente vedevasi «attenta auditrice» la stessa signora Luisa Saredo,
sempre bramosa di attingere nuovo sapere e felice di scorgere il consorte
riverentemente ascoltato e apprezzato da coloro che dovevano prepararsi a
maestri e vindici della giustizia.
Insegnando
il diritto e la legge agli altri e, particolarmente, trovandosi a fianco di
colleghi d' insegnamento che, come il Musini, il Piroli, l'Oliva, il
Cavagnari, ed il Redenti, erano illustrazioni del foro, Saredo, a Parma,
desiderò vivamente di fornirsi di laurea e di esercitare l' avvocatura.
I suoi
meriti scientifici ed il corredo delle sue pubblicazioni in volumi, riviste
e giornali erano più che sufficienti a fargli ottenere la laurea ; e la
ottenne di fatto honoris causa e se ne valse, come afferma il Giarelli, per
qualche tempo nelle aule dei tribunali.
La vita
forense non dovette però troppo allettarlo, avendola poscia completamente
disertata per continuare a dedicarsi alla palestra universitaria ed alla
pubblicazione di libri ed altri lavori; ed il titolo d' avvocato gli servì
quasi solo di decoro al suo nome nel frontispizio delle opere od in calce
agli articoli che scriveva e stampava.
______________________
NOTE
1) Saredo:
«Il passaggio della corona» p. 10.
2) Di questo discorso ci resta un frammento a p. 30 del primo volume
dell' opera del Saredo «Principi di diritto costituzionale»
3)
All'Università di Parma insegnò Filosofia del diritto, diritto costituzionale e diritto internazionale.
4) Vedi p.
27 del presente volume.
5) Vedi
idem.
______________________
OPUSCOLI STORICI
Quando
Saredo trovavasi a Torino, (1) assunse pure come aveva fatto per la «Rivista
contemporanea» e per la «Rivista illustrata», l' incarico di compilare e
dare alla luce una «Galleria di ritratti italiani contemporanei» ossia una
serie di biografie degli uomini più celebri nella storia del Piemonte e del
risorgimento italiano. Nel primo fascicolo, apparso nel 1856, edito dal Degiorgis e consecrato a narrare la vita e le opere del conte Clemente
Solaro della Margarita, s' annunziava prossima la stampa di quelli su
Massimo d' Azeglio, Cesare Balbo, Vincenzo Gioberti, Cesare Cantù, Dino
Compagni, Federico Sclopis, Giovanni Prati, Giuseppe Mazzini, Carlo
Boncompagni, Giuseppe Verdi, Camillo Cavour, Antonio Rosmini e moltissimi
altri.
Credo però
che allora, almeno di scritte dal nostro Saredo, non sia uscita che la
biografia del Conte
Solaro della Margarita, perchè nelle mie ricerche non
solo non ne rinvenni altra portante la firma di Saredo e la data dal 1856
al 1860, ma non mi capitò di
leggere nemmeno una riga che lasciasse
sospettare che lo stesso ne avesse scritto altre.
Ma se egli
allora non proseguì la pubblicazione delle vite progettate, non rinunziò
La
casa editrice nasce a Torino nel 1791 dall'attività dei librai Fratelli
Pomba. E' il figlio di Giovanni, Giuseppe Pomba (1795 – 1876) a trasformare
la piccola bottega familiare in un'impresa editoriale e tipografica e a
fondare la UTET nel 1854, costituendo la società anonima con l'attuale
denominazione Unione Tipografico-Editrice Torinese.
L'indirizzo editoriale è già tracciato nella mente di Pomba: le opere
enciclopediche e quelle di vasta sintesi nei diversi campi del sapere.
Nascono così le prime grandi imprese editoriali: la
Biblioteca Popolare, la Storia Universale
di Carlo Cantù, l'Enciclopedia Popolare. |
tuttavia ad esse in modo assoluto, avendone dal 1860 in poi edite parecchie
coi tipi dell' Unione Tipografica Editrice Torinese, le quali si scorrono
anche oggi con curioso interesse. E siccome la data di loro comparsa si
aggira intorno al tempo passato da lui a Parma e qualcuna, come quella
lumeggiante Federico Sclopis, venne pubblicata proprio mentre Saredo
insegnava in detta città, così penso che sia questo il momento più
conveniente per fare di esse una menzione speciale.
Esponendo le ragioni ispiratrici della «Galleria di ritratti italiani contemporanei » egli scriveva fra l' altro:
«La biografia è uno studio non meno utile forse che quello della storia, per
chiunque voglia giudicare l' avvenire coll' esperienza del passato, e
sappia ritrovare nell' individuo le virtù, i vizi, le qualità, ed i difetti
di cui contempliamo l’ azione e la reazione sulla grande scena del mondo. Il
botanico paziente che arma il suo occhio del microscopio per istudiare nelle
sue particolarità uno dei prodotti più semplici, riesce sovente a scoprire i
segreti della natura assai meglio dell' ardito geologo che ne osserva le
opere, ne misura l' azione dalla cima dei monti... Chi si applica a
considerare solamente un individuo, chi nella storia della vita d' un uomo
cerca i tratti che caratterizzano la specie umana o le modificazioni che
nascono dagli accidenti e tien conto dell' influenza dell' educazione,
degli esempi, dello spirito o dei pregiudizi del tempo; chi vuol separare i
moventi segreti dalle cause apparenti e distinguere i sentimenti reali
dalle virtù di apparato, quegli ha mestieri d' uno studio più completo;
studio che non potrebbe fornirgli il quadro troppo grande della storia d'
un popolo». (2)
Queste
osservazioni, di cui è doveroso riconoscere la giustezza, non sfuggirono
certo alla mente dell' autore quando preparava le altre biografie,
contenenti ciascuna interessanti particolari e preziose circostanze che
sono gli indici esatti di situazioni politiche, mettendo in piena luce le
cause vere e nascoste di fatti sociali, di mutamenti diplomatici e del
carattere di governi e di epoche.
I vari
personaggi illustrati dalle singole biografie, ognuna delle quali forma un
volumetto a parte, sono Clemente Solaro della Margarita, Giuseppe De Maistre, Marco Minghetti, Terenzio Mamiani, Federico Sclopis,
Giorgio Stephenson, Pietro Proudhon ed Abramo Lincoln.
______________________
NOTE
1) Vedi
capitolo I pagg. 14 e 15.
2) Vedi il
libro di Saredo «Clemente Solaro della Margarita» (1856) p. 2
_____________________________
SOLARO DELLA MARGARITA

Pietro
Sbarbaro, genio potente e vulcanico, seguace e maestro del liberalismo più
puro, tribuno popolare efficacissimo, scrittore fecondo e focoso, vero mago
della penna, capacissimo d' innalzare uno alle stelle come di sprofondare un
altro negli abissi più cupi, giornalista arguto, mordace e stroncatore
spesso esagerato e implacabile, non seppe perdonare, nemmeno alla distanza
di oltre trent'anni, a Giuseppe Saredo, suo coetaneo e concittadino, la
paternità del volume su Solaro della Margarita, perchè con questo libro,
secondo lui, si sarebbe reso reo di lesa indipendenza nazionale e di lesi
principi liberali.
Saredo, liberale e di principi politici
diametralmente opposti a quelli del Conte Solaro, sapeva, scrivendone la
vita che «un cumulo d' improperi... e l' accusa di apostata» è il «solito
premio a chi non vuol farsi schiavo d' un partito e rende giustizia anche a
chi pensa diversamente da lui» (1) ; e gli insulti e invettive di
Sbarbaro e
di moltissimi altri ne sono eloquente conferma.
Fra questi
attacchi ve n' ha però uno che vale la pena di essere sfatato, perchè non
rispondente a verità, ed è quello insinuante che Saredo sia stato l'
apologista del Conte della Margarita, quale tipico esponente dei governi
assoluti.
Saredo,
nel suo volumetto, non fa l' apologia di idee retrive e sistemi sormontati,
ma narra dei fatti : e se ricorda che il Conte Solaro, nei 13 anni passati,
qual ministro, a fianco di re Carlo Alberto, dimostrò grande fedeltà alla
casa Savoia, devozione alla religione cattolica, deferente ossequio alla S.
Sede, carattere coraggioso e leale, abilità nel trattare la questione di
Oriente e senno nel favorire lo sviluppo dei lavori pubblici, industrie e
commerci, non omette di annotare che il medesimo si attirò molte critiche.
Principali
sono queste: errò nella politica verso
Don Carlos di Spagna e verso il
Sonderbund, si inimicò l' animo dei liberali, non ebbe la simpatia di altri
ministri del regno e non governò sempre poggiato sulle basi più solide. In
quanto poi ai principi assolutisti del Conte, ecco ciò che dice Saredo:
 «La nomina del nuovo ministro (2) non
fece sensazione in alcun modo in Piemonte : le sue opinioni politiche erano
quasi generalmente sconosciute. Ma non tardarono a rivelarsi e furono
accolte con sentimenti diversi. Quelli, che confidavano nella venuta del
nuovo ministro per un avvenire più liberale, trovarono nel Conte Solaro un
uomo deciso a seguire il sistema governativo inaugurato dal maresciallo de
La Torre, un costante e fedele discepolo di quella scuola politica che ha
Giuseppe De Maistre per profeta,
de Bonald,
Haller e Wathel per arbitri e
maestri... (3).
Antonio Tonduti Escarena
(1771-1856)uomo
politico e ministro degli Interni di Carlo Alberto, scriveva da Nizza nel
1830: «Sento che
Torino si sta abbellendo prodigiosamente. Torino è la sola città del
mondo ove, grazie a quanto già esiste e ad un primario piano regolatore
modello, non imitato altrove, che da pochi anni, col quale non si può
costruire qualcosa che non sia abbellimento...». |
Il ministero si divideva in due parti
distinte: il conte della Margarita e il
conte dell' Escaréne formavano la
prima: rappresentava il partito più recisamente e francamente devoto alla
monarchia assoluta... (4) I suoi principi potevano riassumersi così:
realista esclusivo, nemico d' ogni innovazione che tendesse a temperare la
potestà sovrana, sostenitore della causa legittimista in tutti gli stati d'
Europa e sopratutto avversario dichiarato d' ogni benché moderata
concessione in ciò che riguarda la stampa. (5) Uno degli errori principali
che a nostro avviso commise il conte della Margarita finche rimase al potere
si fu quello di aver avversato, quasi senza eccezione, ogni progresso
sociale. Egli non ha riflettuto che ogni società politica si trasforma
indefinitamente...». (6)
Leggendo
queste proposizioni - e non sono le uniche ad esprimere tali giudizi - non
si riesce a concepire il perchè di tanto scalpore liberale contro le pagine
del Saredo, a meno che non si pensi che gli sia stato imputato a delitto
anche il semplice fatto di aver impreso a narrare del Conte Solaro.
E come
sono da ritenersi fuori di luogo le escandescenze liberali contro il nostro
autore ed il suo libro, così credo non meritino gran peso le affermazioni
di Isaia Ghiron, stando alle quali Saredo, parecchi anni dopo, pentito dell'
opera propria, avrebbe voluta la dispersione e distruzione della biografia
tanto avversata. Ed il motivo per cui non reputo troppo serie tali
asserzioni è che Saredo, il quale possedeva una tempra poco facile a
spaventarsi, non si sarà troppo terrificato per le critiche mossegli, tanto
più che pubblicando il volume sul La Margarita non aveva fatto altro che
rimanere fedele al programma impostosi di tratteggiare i principali
personaggi della storia del regno piemontese, e del risorgimento italiano, a
qualsiasi scuola o partito appartenessero.
____________________
NOTE
1) Vedi il
libro di Saredo «Clemente Solaro della Margarita» (1856) p. 18.
2) Il
Conte della Margarita fu nominato ministro nel 1834, dopo aver trascorsi 18
anni in diplomazia e molto tempo all'estero.
3) Vedi
Saredo «Vita del Conte della Margarita» (1856) p. 6.
4) idem p.
7.
5) idem p.
4.
6) idem p
19.
____________________
GIUSEPPE DE MAISTRE
A quanto
mi consta, restò immune dagli strali avversari, quantunque descrivesse le
gesta d' un altro alfiere dei governi assoluti, il lavoro di Saredo su
Giuseppe De Maistre, edito nel 1860: ma questi era morto fin dal 1821,
mentre invece il La Margarita visse e lottò fino al 1869.
Nel
centinaio di pagine scorrevolissime, che si leggon d' un fiato non sfuggì
all' autore alcuno dei molteplici aspetti sotto cui può considerarsi la
personalità del De Maistre.
Egli, come
in tanti quadretti, ci viene presentato giovane profondamente studioso,
magistrato integro e probo, scrittore convincente e forbito, letterato
erudito e conoscitore di sette lingue, filosofo sinceramente e praticamente
cattolico, nemico della rivoluzione francese fino a sopportare l' esilio ed
il confiscamento dei beni piuttosto che riconoscerne le massime e il
governo, difensore strenuo e costante del principio d' autorità, sostenitore
e propugnatore delle teorie assolutiste e cittadino ed uomo politico
fedelissimo al suo re ed alla dinastia di Savoia.
L' autore
ne riproduce le opinioni religiose e politiche, particolarmente quella
secondo cui il Papa avrebbe dovuto essere il re universale e quella sulla
costituzione inglese; ne esamina e riassume brevemente le opere:
Considerazioni sulla Francia, Les soirées de Saint Pétersbourg, Del Papa, e
Saggio sul principio generale delle costituzioni. E riferisce notevoli
tratti della di lui corrispondenza e importanti episodi della variamente
fortunata azione politica da lui svolta.
Allo
stesso modo che per il La Margarita, anche in questo secondo volumetto
Saredo, raccontando e commentando, dichiara di non condividere e apprezzare
molte idee ed opere dell' egregio personaggio di cui tratta, ma molte altre
le ammira ed esalta entusiasticamente e sopratutto ne encomia lo spirito
patriottico, additandolo ai posteri come modello di avversario risoluto della politica austriaca verso l' Italia e come vate dell' indipendenza e
unità italiana all' ombra del vessillo di Casa Savoia.
Conchiudendo il suo studio l' autore
afferma che se avesse dovuto scrivere l' epigrafe di De Maistre, tra l'
altro, si sarebbe espresso così: «Fu magistrato integro,... fu tollerante,
amò i suoi Principi anche quando era disconosciuto e offeso da essi, fu
devoto alla causa italiana quando il nome d' Italia appena si pronunciava e
ne predisse i futuri destini».(1)
Coerente
al programma tracciatosi di profilare le figure più spiccate della storia
piemontese della prima metà del secolo XIX e quelle del risorgimento
italiano, Saredo alle biografie di due rappresentanti degli antichi sistemi
di governo fa seguire quelle di tre autentici esponenti dei governi a regime
costituzionale liberale: Federico Sclopis, Marco Minghetti e Terenzio
Mamiani, tutti e tre eminenti uomini politici, deputati e ministri della
nuova Italia.
Scrivendo
la vita di costoro, gli deve essere corsa agile e leggera la penna perchè
segnava le note, i sentimenti e gli atti di persone con cui egli aveva
comuni le aspirazioni liberali, monarchiche e unitarie.
______________________
NOTE
1) Saredo:
Vita di Giuseppe De Maistre p. 111.
______________________
ALTRE
BIOGRAFIE
Se stese con simpatia ed ammirazione il ritratto di
Federico Sclopis giureconsulto,
letterato e storico della legislazione italiana (e divenne il primo di lui
storiografo); se raccolse e ordinò, con visibile compiacenza, le notizie
sul Minghetti scrittore, patriota e statista, esaminandone le dottrine
economiche, amministrative e politiche e prendendo da un tale lavoro
occasione per sfoggiare le proprie idee liberali; immaginino i lettori con
quanta delicatezza di sentimenti abbia sempre rivolto il pensiero, anche
molti anni dopo averla compiuta, all' operetta sul Mamiani dal quale aveva
avuto sì grandi prove di stima ed al quale rimase legato con vincoli di
perenne riconoscenza.
Nessuna
delle tre VITE è completa, essendo comparse alla luce quando i loro
protagonisti non avevano trascorso che parte della loro esistenza; ma,
sebbene incomplete, possono consultarsi come fonte di buona copia di dati ed
osservazioni, ed io in questo libro avrò a servirmene più d'una volta.(1)
 Le altre
biografie, pubblicate da Saredo quasi tutte al tempo del suo professorato a
Parma, formano quasi un gruppo a sè, distinguendosi dalle precedenti per la
diversità dell'argomento, trattando cioè non più di personaggi italiani, ma
di uomini stranieri appartenenti ciascuno ad una nazione diversa ed a campi
di attività pure diversi:
Giorgio Stephenson, inglese celebre nelle scienze
fisiche;
Pier Giuseppe Proudhon famoso socialista francese ed
Abramo
Lincoln, coraggioso presidente degli Stati Uniti, sotto il cui governo si combattè la guerra di secessione.
Dei tre
stadi non riuscii ad avere ed esaminare che quello su Stephenson, facente
parte, come quello su Lincoln, della collezione «La scienza del popolo»
edita dal Treves di Milano, mentre quello su Proudhon fu stampato a
George Stephenson
Torino.
Pierre-Joseph Pruodhon
Sorvolando
pertanto sugli ultimi due, accennerò brevemente al primo sull' inventore
della locomotiva ed apritore di nuove e prodigiose vie alle industrie e
commerci.
L' autore
che, memore delle condizioni della propria infanzia e giovinezza, ha
bellissime e tenere pagine sulle miserie sofferte da Stephenson prima d'
arrivare alla gloria, costretto com' era a fare il contadino, l' operaio
delle miniere, il rattoppatore di scarpe e l' aggiustatore di orologi; ne
ha delle parimente eloquenti sulla di lui modestia e avversione agli onori,
dimostrata rifiutando il seggio al parlamento ed il titolo di barone
offertogli dopo la grande invenzione, sul suo animo altamente benefico e
poco bramoso di ricchezze e denaro. Ma la materia principale del libro è
fornita dal fatto stesso della scoperta, dalle applicazioni pratiche cui
essa si prestava e da numerose considerazioni che ne valutavano l' immensa
importanza.
Fra gli
apprezzamenti di Saredo sul memorando avvenimento non citerò che il
seguente, col quale terminerò pure questa rassegna libraria, per riprendere
la narrazione della vita del nostro professore da Parma alle altre città.
«La data del grande avvenimento si
collega alla pagina più dolorosa del nostro secolo. Si fu nel 1815 che i
Sovrani riuniti a Vienna disposero dei popoli come di gregge, crearono
barriere arbitrarie, aggregarono violentemente insieme stati separati fra
loro da lingue, storia, tradizioni e territorio, violarono tutti i diritti
ed inaugurarono quella politica di iniquità internazionale che parve una
fermata nella storia della civiltà. Ma si fu altresì nel 1815 che grazie
allo spirito intraprendente di un oscuro operaio minatore l' umanità fu
arricchita di una potenza colla quale riuscì a poco a poco ad abbattere le
barriere artificiali, innalzate fra popolo e popolo, avvicinare le cose, gli
animi e gli interessi e preparare così la distruzione di quel mostruoso
edificio che la diplomazia del 1815 aveva fabbricato a danno del diritto
delle nazioni». (2)
______________________________
NOTE
1) Delle
teorie e tendenze di Sclopis, Minghetti e Mamiani si occupa assai
estesamente Saredo anche nel libro «Principi di diritto costituzionale»:
vedi p. es. vol. I pag. 164; vol. II p. 263; vol. III p. 186 e seg. ; vol. IV p. 13, 104, 162 e seguenti.
2) Saredo : Vita di Stephenson p. 22.
______________________________
PASSA A SIENA
Nel 1864,
anno del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, destò qualche
rumore, nei riguardi di Saredo, questo episodio.
Minghetti
di lui amico e presidente del Consiglio dei Ministri lo avrebbe, in quell'
anno, fatto nominare da
Amari, ministro dell' istruzione, a professore di
economia politica nello Istituto di perfezionamento di Firenze ed il Re
Vittorio Emanuele II avrebbe firmato la nomina con regio decreto. Essendo
però sorte disapprovazioni di cui si sarebbero fatti interpreti gli on.
Giovanni Lanza ed Ubaldino Peruzzi il decreto non ebbe alcun corso.
Com'era
naturale, abbondarono intorno a ciò le congetture di politicanti e curiosi e
non tutte furono benigne al Saredo, qualcuna anzi, insinuò perfino che il
Lanza stesso lo avversasse.
lo credo
che una delle ragioni più vere sia stata invece quella di non suscitare
nuove invidie e gelosie nel campo professorale.
Giovanni Lanza
Nato a Casale Monferrato (AL) il 15 febbraio 1810, Presidente della Camera
nella VII Legislatura dal 2 aprile 1860 al 17 dicembre 1860 e nella X
Legislatura dal 16 dicembre 1867 all'8 agosto 1868 e dal 18 novembre 1869 al
15 dicembre 1869. Morì a Roma il 9 marzo 1882 |
L' origine della carriera
universitaria del «senza studi regolari e del senza lauree e diplomi» era
ancor troppo recente e forse troppo avversata; non era ancor giunto quindi
il momento di chiamarlo alla capitale. Non riesco perciò a comprendere come
mai si sia potuto pensare che il Lanza l' abbia ritenuto indegno di quel
posto, e non vi riesco tanto più se rifletto che sei anni dopo, proprio
sotto di lui Lanza, non più fuori del Ministero ma Presidente del Consiglio
dei Ministri, lo stesso Saredo venne eletto ed insediato professore di legge
nell' Università di Roma, appena appena proclamata nuova capitale d' Italia.
Ma se fu
annullato il decreto di nomina per Firenze, ebbe invece qualche tempo dopo,
pienissimo effetto un altro decreto promovente Saredo dall' Università di
Parma a quella di Siena. Essa era stata ricostituita colle facoltà di
teologia, giurisprudenza, medicina e chirurgia in forza del decreto-legge
del 31 Luglio 1859 ed in essa il Saredo fece il suo ingresso come professore
ordinario (1), per insegnarvi nei quattro anni di permanenza, dal 1866 al
1870, diritto civile e filosofia del diritto.
Anche a
Siena, per la vasta dottrina, per la limpidezza d'espositiva e per il
conversare erudito e brillante, esercitò grande fascino sugli studenti e sul
corpo insegnante, dal quale, verso il 1869, venne creato Preside della
facoltà legale. Vi godette la stima ed amicizia di famiglie distintissime,
come quella dei Tolomei (2) e fu apprezzato dalla società degli
intellettuali innanzi a cui tenne conferenze, due delle quali vennero
pubblicate dal Treves nella collezione «La scienza del popolo». (3)
Nè lasciò
inoperosa la penna, che spinto dalla bramosia del giornalismo e dello
sviscerare questioni giuridiche, preparava quasi ininterrottamente scritti
per il giornale «La Legge», di cui prima fu collaboratore e redattore
responsabile e, poi nel 1871 ne divenne direttore; e provvedeva a
pubblicazioni per il popolo con opuscoletti speciali come: «I doveri dell'
uomo, - I doveri del cittadino - e - La libertà nella difesa delle cause
penali» e «Dello sviluppo della personalità umana nella società moderna». E
pubblicò pure un corso di lezioni fatte all' Università, collegandole in un
«Trattato di diritto civile italiano» il primo volume del quale (di circa
600 pagine) uscì nel 1869 ed il secondo era annunziato di prossima
apparizione.
Credo però che il secondo non abbia visto la luce perchè non
solo non mi fu possibile trovarne copia, ma perchè non v' accenna nessuna
recensione delle opere di Saredo pubblicate di fatto.
Luigi Scampolo
Giurista, nato a Palermo il 3 dicembre 1825.
Si laureò in
giurisprudenza nel 1845, nel 1863 divenne
professore di diritto civile presso
l'Università di Palermo. In quella sede egli costituì una società di
giureconsulti con lo scopo di estendere e promuovere la cultura delle
scienze sociali. A tale scopo nel 1868 fondò una biblioteca giuridica
circolante, una sala di lettura e pubblicò una rivista di legislazione e
giurisprudenza intitolata "Il circolo giuridico"
di cui fu direttore fino alla morte.
Segretario generale
dell'Accademia di scienze, lettere e arti, tra il 1883 e il 1886, presentò
ai soci alcune memorie su “I primi 25 anni dell'Università degli Studi di
Palermo”. Scrisse altre opere di contenuto giuridico e nel 1888, in
occasione delle celebrazioni dell' ottavo centenario dell'Università di
Bologna, pubblicò il volume dal titolo “La R.
Accademia degli Studi di Palermo”. |
E la ragione per cui
non si stampò penso che debba ricercarsi nel passaggio del nostro
professore, avvenuto in quella epoca, dall' Università di Siena alla
Sapienza di Roma.
La
trattazione del primo volume riguarda le leggi in generale, la cittadinanza
e i diritti civili, il domicilio e la residenza, la parentela, l’affinità,
il matrimonio e la separazione. (4)
L.
Scampolo, professore di diritto civile all' Università di Palermo,
occupandosi di esso lo chiama uno dei migliori manuali del codice civile
italiano (5) quantunque vi scopra qualche menda, specialmente nei richiami
all' antica legislazione delle Due Sicilie. Io però devo segnalarvi errori
assai più gravi, dei quali si parlerà più a lungo in altro capitolo e che
toccano le dottrine della Chiesa e la santità del matrimonio.
_______________________
NOTE
1) Da
appunti offertimi gentilmente, in data 22 Marzo 1929, dal Direttore della
Segreteria della R. Università di Parma, rilevasi che G. Saredo entrato in
tale Ateneo quale professore straordinario di filosofia del diritto, a L.
2500 annue, vi fu creato professore ordinario con regio decreto del 5
ottobre 1862.
2) Da mie
notizie raccolte a Siena.
3) Una di
esse fu letta nella gran Sala dei Fisiocratici e trattava della lotta che
l'uomo deve dare alla natura per scoprirne i segreti, dominarla e servirsi
di essa per il progresso umano e sociale. L'altra trattava delle autonomie
dei Comuni e Provincie.
4) Il secondo volume avrebbe dovuto svolgere !a materia della filiazione,
adozione, patria potestà, tutela, emancipazione, interdizione,
riabilitazione ed atti dello stato civile.
5) Confronta il periodico di Palermo «Circolo giuridico» del Dic. 1870
_______________________
Inizio Pagina
CAPITOLO IV
PROFESSORE A ROMA
Suoi concetti sulla libertà di insegnamento e la pubblica istruzione
ALLA "SAPIENZA"
Il 20 settembre del 1870 le truppe di Cadorna occupavano Roma e,
insediatovisi, il governo di Vittorio Emanuele II, la trasformava da città
papale in

Cessa il potere temporale dei papi: alle 10 del mattino del 20
settembre 1870 i bersaglieri del 34° battaglione e i fanti del 39°
entrano a Roma, attraverso una breccia aperta dall'artiglieria nelle mura,
all'altezza di Porta Pia. Nello scontro cadono 49 soldati italiani e 19
pontifici. Pio IX si rifugia in Vaticano. Il 2 ottobre un plebiscito
sanziona l'annessione di Roma al Regno d'Italia |
capitale dei regno italiano, adunandovi a poco a poco le sedi
centrali delle varie amministrazioni di stato e le direzioni delle forze
intellettuali, giuridiche, morali e militari della nazione.
Vie, piazze, palazzi, uffici, scuole presero
nomi nuovi e nuove destinazioni: e l' istituto della Sapienza, creato nel
1303 dal pontefice Bonifacio VIII e diretto, (attraverso vicende secolari)
da maestri di ordini religiosi per la diffusione delle scienze e verità
cattoliche, subì anch' esso una radicale metamorfosi, sia nel corpo
insegnante, che nello spirito delle cose insegnate, sostituendovisi ai
maestri religiosi, quelli laici, e trasformandolo da Università cattolica,
in Ateneo nazionale.
Tra i nuovi professori, come si disse, v'
entrò pure Saredo, il quale, in sue poesie, dopo aver ricordato che
«dall' Alpi estreme (1) noi movemmo il piede,
- molti anni son trascorsi, o Lilla mia!, -
in un lieto avvenir pieni di fede»
accenna con gioia alla sua designazione
di professore in Roma:
«monti e mari varcammo, ed ecco alfine
dopo lunge tempeste, ecco siam giunti
di Roma alle fatidiche colline».
ed è premuroso e orgoglioso d' indicare
che a sì alto posto non lo condussero segrete mene,
«ma l' operosa indagine del vero
ma il lavoro indefesso e irrequieto».
E gli si può prestare fede, essendo stato
davvero un lavoratore indomito, uno studioso insaziabile ed un esecutore
costante del proprio dovere, qualità ben note tutte a
Cesare Correnti e
Quintino Sella, ministri allora della pubblica istruzione, coi quali era
stato in ottimi rapporti e col Sella, in modo particolare, aveva avuto
lunga, cordiale e importante corrispondenza epistolare. (2) Avendo inoltre
io chiesto a S. Ecc. Boselli, stato egli pure, dal 1872 al 1874, professore
alla Sapienza, insegnandovi scienza delle finanze, se le ragioni per cui
Saredo venne chiamato a Roma furono più d' ordine politico che scientifico,
mi rispose assolutamente di no, perchè Saredo non era mai stato un agitatore
o settario o uomo di azione, ed aggiunse che la di lui nomina si dovette
unicamente al riconoscimento del suo valore scientifico e giuridico.
_______________________
NOTE
1) Saredo e sua moglie eran partiti da Chambéry nel 1860 e questa poesia è
del 1871.
2) Parecchie
lettere del Sella sono tuttora conservate dalla march. Marieni, nipote del
Saredo.
_______________________
DIRIGE "LA LEGGE"
E come la vasta competenza
giuridica fece ascendere Saredo alla cattedra universitaria della capitale,
così gli fece affidare la direzione della rivista «La legge» che,
nata a Torino nell' Aprile 1861 e trasferita poi a Firenze, passò, all'
inizio del 1871, a Roma in proprietà dell' editore Civelli, che ne dava
comunicazione così:
«II sottoscritto,
divenuto proprietario della «Legge», è lieto di annunziare agli abbonati e
lettori di questo giornale che ne ha affidato la direzione tanto della parte
giudiziaria quanto della parte amministrativa agli egregi e valenti
giureconsulti avv. Emidio Pacifici Mazzoni, professore di diritto civile
pubblico nella R. Università di Roma ed avv. Giuseppe Saredo professore di
diritto pubblico interno nella stessa Università.
Il sottoscritto non crede aggiungere altro per raccomandare il suo giornale:
il nome dei direttori è una garanzia».
16 Gennaio 1871. G. CIVELLI.
Fino
dai primi mesi, assieme alla condirezione, Saredo assunse la responsabilità
della pubblicazione di fronte alle leggi, poi ne divenne proprietario e
direttore esclusivo, rimanendolo per circa trent' anni.
Luigi Lucchini. -
Giurista italiano (Piove di Sacco 1847 -
Limone sul Garda 1929), prof. di diritto criminale
alla Scuola superiore di commercio di Venezia, poi nelle univ. di Siena e di
Bologna; deputato al parlamento (1892-1907),
senatore (dal 1908). Nel 1893
fu nominato consigliere alla Corte di cassazione di Roma; divenne poi
procuratore generale in quella di Firenze. Lavorò alla preparazione del
codice penale del 1889; la legge sulla condanna
condizionale e quella sulla riabilitazione, nonché la sistemazione del
casellario giudiziale, furono opera sua. Convinto assertore delle dottrine
classiche, polemizzò coi rappresentanti dell'indirizzo positivo. Tra le
opere: I semplicisti: antropologi, psicologi, sociologi del diritto
penale (1886); Elementi di procedura penale
(1920). Fondò (1874) la
Rivista penale; diresse il Digesto italiano (1884-1921).
|
Sotto di lui, che l' aveva definita: «un vero
e completo giornale teorico pratico della dottrina e giurisprudenza
nazionale» la «Legge» acquistò nuovo impulso ed era considerata, come mi
affermò l' on. Boselli, quale periodico giuridico di prim' ordine.
In essa si riproducevano, e spesso con note e
commenti, le sentenze delle Corti di Cassazione e d' Appello e di altri
tribunali, i pareri del Consiglio di Stato, le decisioni della Corte dei
Conti, gli atti del Governo, la giurisprudenza parlamentare, i testi di
leggi e decreti in materia civile, penale, commerciale, amministrativa e
finanziaria; si trattavano argomenti e questioni d' ogni ramo del diritto,
dal privato al pubblico, dal civile all' ecclesiastico, dal romano al
moderno, dal nazionale allo straniero; vi si raccoglieva una copiosa e
dettagliata bibliografia delle opere giuridiche che, a volta a volta, si
pubblicavano ; e vi collaboravano penne come quella del Fiore, Lucchini, Mattirolo,
Scialoia, Vidari, bastevoli, da sole, a dir quanta fosse l'
importanza e il valore della rivista.
Gli articoli di commento, le note polemiche,
le recensioni di libri e gli studi di Saredo, molti dei quali potrebbero
chiamarsi veri trattati, sono numerosissimi e sui più svariati argomenti
legali, e da essi è svelata la versatilità del suo ingegno, l' abilità d'
impostare le questioni e l' abituale preparazione ad ogni cimento.
ORE GRIGIE
La frase incisiva, con cui Saredo sintetizzò
la sua carriera, la quale sarebbesi svolta «or
col sole ed or colla tempesta» (1) può applicarsi anche ai primordi
della sua venuta a Roma, poiché se ebbe giorni di giubilante trionfo non
gli mancarono ore grigie, di trepidazione accasciante, come avvenne nel
1872, quando fu sul punto di decidersi ad abbandonare l' Università e la
città.
In quei duri frangenti ebbe la felicissima
sorte di vedersi confortato da autorevoli personalità politiche, alle quali
era legato da vincoli di vera amicizia, e prima tra esse il
prof. Francesco
Ferrara, ex ministro delle Finanze.
Questi gli offerse tutto il suo appoggio,
dissuadendolo dall'idea di lasciare Roma, e proponendogli, nel caso che
avesse persistito nel proposito di allontanarsi dalla capitale, di farlo
nominare professore di Economia politica a Venezia, oppure di fargli
affidare, d' accordo con Rattazzi, la direzione d' un nuovo grande giornale.
(2 )
Quanto durò l' intima lotta? Quali e quanti
furono gli avversari del nostro professore? E per quali ragioni egli
dovette soffrire? Nulla di tutto questo ci è noto; ci consta solo che, dopo
un' alternativa di incertezze e speranze, di afflizioni e conforti, non si
mosse da Roma, continuando ad insegnare alla «Sapienza» fino al 1879, anno
in cui ricevette dal Presidente del Ministero, Agostino De Pretis, la nomina
a Consigliere di Stato, carica incompatibile, allora, con quella di
insegnante universitario.
In nove anni svolse successivamente all'
Ateneo romano corsi di legge, di procedura civile e ordinamento giudiziario,
di diritto pubblico amministrativo e di diritto pubblico interno, corsi che,
come aveva fatto per quelli di Sassari e Siena, pubblicò poi in
interessanti volumi, mietendo lodi ed onori anche fuori del campo
scolastico.
___________________
NOTE
1) Da una poesia del 1882.
2) Raccolsi questi dati da due lettere dello stesso Francesco Ferrara,
dirette in quei giorni a Saredo.
___________________
NUOVE OPERE GIURIDICHE
Tra essi meritano d' essere specialmente
ricordati:
1° «Saggio sulla storia del diritto
internazionale privato» volume di oltre 100 pagine, che l' autore presenta
come l' introduzione storica alla parte del suo studio sui conflitti delle
leggi, che fa parte del «Trattato delle leggi» di cui si parla appresso.
«Pubblico fin d' ora a parte l'
introduzione - egli dice - per la ragione che forma quasi un' opera
distinta, che sta da sè: e provvede intanto alla mancanza assoluta di una
storia del diritto internazionale privato, così importante e così negletta».
Esamina i diritti e doveri nella legislazione
romana, feudale e comunale. Rileva che se i Comuni medioevali italiani non
giunsero a pareggiare gli individui stranieri coi cittadini, s'intese però
fin d' allora «la necessità di riconoscere allo straniero certi diritti che
nessuna carta feudale, nessuna ordinanza monarchica sognava di concedere» p.
78. Mostra come a poco a poco gli stranieri da hostes e barbari siano stati
considerati alla stregua dei cittadini e termina riassumendo e lumeggiando
le loro condizioni giuridiche di fronte alla legislazione moderna.
2°
«Trattato delle leggi, dei loro
conflitti di tempo e di luogo e della loro applicazione. - Commentario
teorico pratico del titolo preliminare del codice civile e delle leggi
transitorie per l' attuazione delle leggi vigenti».
Il titolo specifica chiaramente da sè il
contenuto e lo scopo dell' opera, divisa dall' autore in quattro volumi,
destinando il primo alle parti riguardanti l' emanazione, l' interpretazione
ed abrogazione delle leggi; il secondo alla teoria della nullità di ordine
pubblico e conflitti tra leggi nazionali e straniere; ed il terzo e quarto
ai contrasti della legislazione civile e penale.
Il prof.
Filippo Serafini dell' Università di
Roma, a p. 602 dell' anno VI dell'«Archivio giuridico», commentando, in un
lunghissimo articolo, il primo volume di questo Trattato lo chiama «un buon
libro» riconoscendo il valore dell' opera e la opportunità del tempo in cui
veniva lanciata fra gli studiosi, perchè proprio allora sorgeva la scuola
dell' interpretazione italiana dei codici, della quale Saredo fu uno dei
primi seguaci e assertori. «Occorre mettere insieme - scrive il Serafini
-
le nostre tradizioni, le quali ci fanno non solo diversi dai francesi, ma
loro maestri. E il prof. Saredo ci dà così buoni segni di venire tra i
primi di questa scuola».
3° «Istituzioni di
procedura civile, precedute dall' esposizione dell' ordinamento giudiziario
italiano».
Quest' opera in due volumi fu molto
apprezzata ed ebbe una grande importanza, com'è dimostrato dalle ripetute
edizioni, che se ne fecero in pochissimo tempo e dalle recensioni e
commenti che le accoglievano.
Cito, fra tutti, il giudizio che sulla «Temi
Veneta» (anno 12, n. 16) ne diede il prof. avv. Leone Bolaffio.
«L' opera del valoroso
pubblicista è alla III edizione, nè vi si fermerà, giacche per quel tatto
che distingue spesso gli studenti, malgrado gli erronei ed interessati
insegnamenti dei professori, il lavoro del Saredo è il preferito dagli
scolari delle nostre Università. Ed hanno ragione. L' economia del libro, la
chiarezza del dettato e le giuste proporzioni assegnate alla' trattazione
dei singoli istituti rendono realmente preziosa quest' opera a chi voglia
formarsi un concetto preciso del nostro ordinamento giudiziario e della
nostra procedura civile».
Alle opere surriferite
vanno aggiunte, quantunque meno voluminose e di carattere meno generale, le
seguenti lodate anch'esse per utilità pratica e ricchezza di dottrina:
«Del procedimento in camera di consiglio e specialmente per gli atti di
Volontaria giurisdizione»
«Della azione civile contro le autorità
giudiziarie e gli ufficiali del pubblico ministero»
«Procedimento
relativo agli assenti»
«Della giurisdizione dei magistrati del regno
sulle controversie fra stranieri relative all' esercizio della patria,
potestà».
«Ma l' attività di Saredo scrittore, a Roma,
non si ridusse alla direzione della «Legge» ed ai libri d' insegnamento
universitario or ora nominati ; essa produsse parecchi altri lavori d'
indole legale, amministrativa e politica, dei quali però sarà più opportuno
far cenno ove si tratterà dell' operosità politica del nostro protagonista.
Riprodotte così, a rapide pennellate, in
questo e nel precedente capitolo, le varie fasi ed aspetti della vita del
professore e scrittore, diamo ora, a necessario compimento dei capitoli
stessi, uno sguardo alle sue idee sull' insegnamento superiore e le norme
regolatrici delLa pubblica istruzione nel regno.
LIBERTA' D'INSEGNAMENTO
Il principio fondamentale d' ogni
insegnamento consisteva, per Saredo, nella più assoluta libertà; e per lui,
discepolo della scuola liberale più estremista, non poteva essere altrimenti: principio che sostiene con energia in non poche sue opere, particolarmente
in «Marco Minghetti» e «Principi di diritto costituzionale».
Forse, come moderò col tempo altre sue
opinioni, modificò anche la sua rigidezza attorno a questo argomento, nel
quale giungeva perfino a patrocinare massime ritenute oggi strane e
contrarie a ciò che si pratica in ogni paese civile, quali sono quelle con
cui si dichiarava - per eccessivo rispetto alla libertà d' insegnamento -
contrario all' istruzione gratuita concessa dallo stato ed all'
obbligatorietà d' insegnamento, (1) sancita dai governi.
Secondo lui, il problema dell' istruzione è
un affare dei privati e lo Stato non deve ingerirvisi che incoraggiando allo
studio o aprendo sue scuole, in nobile concorrenza a quelle dei cittadini,
ma non può pretendere il monopolio scolastico.
«Nello stato attuale di
cose - scrive Saredo nel 1862 - la regola è il monopolio governativo; l'
eccezione è la libertà. In un governo schiettamente costituzionale la regola
è la libertà e l' eccezione è l' ingerimento governativo...».
«In uno stato realmente liberale
tutti i cittadini hanno diritto di insegnare, meno il governo, e per
governo intendo i Comuni, le Provincie e lo Stato. La prima condizione
dell' insegnamento si è di essere atto ai bisogni individuali di ciascun
cittadino. Le scuole sono mezzi: i cittadini il fine. Ciò posto, chi è il
giudice competente dell' istruzione che gli occorre? L' individuo privato.
Lasciatelo dunque libero di scegliere il maestro, fissare il prezzo, il
luogo, il genere che vuole purché non faccia male a nessuno. Il governo non
s' intende in nessun modo dei mille e diversi bisogni dei mille e diversi
cittadini; e la prova si è che insegna le stesse cose al figlio del ricco
come al figlio dell'operaio, all' ingegnere come al futuro impiegato». (2 )
E più sotto aggiunge:
«Non v'è paese in cui gli studi fisici e matematici siano tanto indietro
come in Italia e abbiamo diciotto o venti Università mantenute e pagate dal
pubblico erario. Non v'è paese in cui questi stessi studi siano più
popolari, più diffusi e più progressivi che negli Stati Uniti; ma il
governo non se ne mischia e lascia il tutto all' iniziativa dei privati».
(3)
Domandandosi poi che cosa dovrebbero fare i
Comuni, le Provincie e il Governo, risponde appunto che essi dovrebbero
adoprarsi a favorire l' istruzione incoraggiando le iniziative private,
impiegando con sagace sapienza i «molti fondi che hanno a loro
disposizione, risultanti da lasciti fatti con lo scopo preciso di essere
consacrati alla pubblica istruzione e mantenendo un dato numero di istituti
propri», i quali servano a una vicendevole gara colle scuole dei liberi
cittadini nell' interesse della cultura, a preparare individui specializzati
per il disimpegno di uffici e missioni strettamente collegate e dipendenti
direttamente dallo Stato e dalle pubbliche amministrazioni.
Nei «Principi di diritto costituzionale»
sviscera a fondo la questione della libertà d' insegnamento consacrandovi
una cinquantina di pagine, combattendo i sistemi che la avversano,
prospettandosi le più disparate obbiezioni, cui risponde con eruditi e forti
argomenti. E sosteneva, coi liberali più spinti, non solo che i Governi non devono
atteggiarsi a maestri, moralisti e filosofi imponendo le teorie e sistemi da
insegnarsi dai professori, ma affermava che i professori statali sono
pienamente liberi di scegliere e impartire le dottrine che vogliono, ed
arrivava al paradosso di proclamare che essi non dovevano preoccuparsi di
nulla, anche se il loro insegnamento fosse diametralmente opposto ai
principi dei Governi da cui dipendono e da cui vengono stipendiati. (4)
___________________
NOTE
1) Vedi « Principi di diritto
costituzionale » vol. III p. 206 e seg. 2) Idem p. 201. 3) Idem p. 202. 4) Idem vol. I p. 26 e seg.
___________________
LAUREE E DIPLOMI
In sua giovinezza e nei suoi primi anni d'
insegnamento Saredo si dichiarò spesse volte nemico acerrimo dei titoli e
diplomi ufficiali, la mancanza dei quali rendeva inabili i cittadini all'
esercizio di molte professioni e cariche pubbliche.
Nel volume su «Marco Minghetti», dopo aver ricordato che quest' eminente uomo di Stato non
possedeva alcuna laurea e che di ciò s' era vantato in Parlamento, e dopo
aver chiamato le lauree un vincolo con cui gli Stati europei inceppano la
libertà di lavoro, dice: «intendiamo di protestare contro lo assurdo
principio in virtù del quale si fa di questi titoli (lauree e diplomi ecc.)
una condizione indispensabile all' esercizio di certe professioni».
E nei «Principi di
diritto costituzionale» accennando alle condizioni della pubblica istruzione
in Italia scrive: «E' ben vero che il governo dà patenti, diplomi e permessi
a coloro che glieli domandano sottoponendosi alle condizioni che esso
impone. Ma se voi siete povero, se non potete sopportare le spese che sono
richieste dagli anni di studio fissati dalle leggi; anni di studio che
devono essere fatti nelle città indicate e sotto professori privilegiati
dalle leggi; se non potete pagare le tasse... voi non potete ottenere la
facoltà di guadagnare il vostro pane coi vostri sudori, col vostro ingegno,
colle vostre cognizioni, e se vi permetteste di commettere un' azione così
rea, la forza pubblica interverrebbe per mettere all'ordine la vostra
temerità... Sì, parrà incredibile, e pure è vero: in pieno secolo decimonono, sotto un governo costituzionale, se rivivesse Dante Alighieri non
potrebbe dar lezioni pubbliche di letteratura...». E perchè? Perchè, spiega
Saredo, «a nessun insegnamento è considerato onesto e buono se non è dato
nelle scuole del governo, da uomini del governo, sotto la guarentigia del
governo». (1)
Nonostante queste teorie così radicali in
favore della libertà d' insegnamento e così ostili alle scuole e lauree
ufficiali, il nostro professore dal 1858 insegnava in istituti del governo
ed a nome del governo e dal 1863 era fregiato di laurea. Le circostanze ed i
tempi richiedevano così !
____________________
NOTE
(1) Vedi «Principi di diritto
costituzionale » vol. III p. 155 e seg.
____________________
SUGGERIMENTI E CRITICHE
Ma, vivendo in mezzo all' ambiente scolastico
statale, potè conoscerne con più agevolezza e sicurtà i pregi e difetti, le
norme organizzatrici e la congerie di decreti e disposizioni discordanti e
contraddicenti le une alle altre. Potè formarsi una chiara visione delle
mutevoli vicende dei programmi, degli intrighi politici influenzanti l'
indirizzo educativo scolastico, e potè infine convincersi della non rara
incapacità e incompetenza di chi veniva preposto all' amministrazione e
direzione degli studi, nonché dei meschini ripieghi cui si ricorreva per
coprire o salvare provvedimenti e situazioni non meno meschine. E da tutto
ciò, acquistò quell' autorevole esperienza che conferì maggior credito e
valore alle critiche e suggerimenti, non risparmiati da lui nel desiderio
di contribuire al miglioramento dell' istruzione pubblica in Italia.
Criticò aspramente da illuminato precursore
dei nostri tempi, l' impotenza del Parlamentarismo nelle materie
scolastiche, dimostrata da un cinquantennio di discussioni e progetti senza
che si fosse saputo adattare alle nuove esigenze la legge Casati del 1859.
(Il lamento di Saredo risale al 1901). (1)
Deplorò il triste
spettacolo offerto, per decenni, dai partiti politici, serventisi della
leggi sull' insegnamento come di palio per le loro competizioni e battaglie.
«Si direbbe - esclama - che le materie della pubblica istruzione abbiano il
privilegio di eccitare le passioni e le preoccupazioni di tutti i partiti i
quali non potendosi accordare nel fare, concordino nell' impedire che si
faccia.» (2)
Ed a conferma del doloroso fenomeno, deplorato dal Saredo,
valgono le parole pronunziate da Mamiani, nella seduta del Senato del 9
Giugno 1873, e citate dal Saredo medesimo: «Mi ricordo - così Mamiani
-
che il Conte di Cavour compiacevasi di dirmi che quando vedeva la corrente
politica un po' troppo veemente metteva sempre sù qualcuno per proporre una
legge sulla pubblica istruzione. Allora i partiti si scindevano e
battagliavano e per molti giorni la politica riposava».
Biasimò severamente il continuo roteare di
decreti, circolari e prescrizioni delle varie autorità, circa l'
ordinamento scolastico, che lontane dal condurre ad unità armonica,
creavano invece confusioni e incertezze ; ed insorse contro le false
interpretazioni ed applicazioni delle leggi e regolamenti. «Non ultima
causa dei mali - egli dice - che affliggono le Università (e le altre
scuole) è appunto il non aver mantenuto integre le disposizioni della legge
e il non aver saputo applicare nè quelle nè le nuove». (3)
Disapprovò le frequenti sostituzioni dei
ministri, fra i quali non pochi furono inetti, ed i guai che ne derivavano
nelle nomine, destinazioni e graduatorie dei professori, le quali
risentivano delle inclinazioni personali ed idee politiche del ministro :
«Ogni ministro che viene - afferma Saredo - sente il bisogno di unire il suo
nome a qualche grande riforma legislativa, la quale consiste generalmente
nello stringere sempre più la catena che vincola l' insegnamento...».
«Un ministro della
pubblica istruzione giudice autorevole e supremo dovrebbe essere una mente
enciclopedica. Scippiamo però che di queste menti non ve ne sono, ed è
molto quando colui che siede alla direzione del pubblico insegnamento è un
uomo autorevole in qualche campo dello scibile umano; abbiamo veduto anche
dei ministri così ignoranti e meschini da meritare l' epigramma di quello
scrittore francese, il quale diceva che quando si vuole impiegare uno che
non è buono a nulla bisogna farne un ministro della pubblica istruzione».
(4)
A conclusione, poi, del suo lungo esame della legislazione sull'
istruzione superiore, secondaria, tecnica, primaria, femminile ed agraria,
scrisse nel 1901 queste sconfortanti parole: «La triste conclusione cui si
giunge è dunque questa: che di tutti i rami della cosa pubblica è quello
della pubblica istruzione che più abbisogna di profonde riforme: condizione
triste e deplorevole, dimostrata dalla selva selvaggia ed aspra e forte dei
decreti, regolamenti e circolari, che continuamente si susseguono».
(5)
Ma sempre e sopratutto, come dichiarai,
propugnò la più ampia libertà d' insegnamento, proclamandola anche il rimedio
più acconcio e salutare a tutti i mali dell' istruzione statale: «L'
unico rimedio efficace - scrive -
per guarire tutti questi danni (dell'
istruzione impartita dallo Stato) ce lo ha indicato Camillo Cavour:
è l' abolizione di questo dicastero (dell'
istruzione) e l' attuazione piena e leale della libertà d'
insegnamento». (6 )
Avversando le scuole di
Stato, l' insegnamento gratuito e quello obbligatorio egli fu ben lungi dal
contrariare, come potrebbe supporre taluno, il diffondersi dell' istruzione
e cultura nel popolo. «E' egli a dire - esclama infatti - che io sia nemico
dell' istruzione? Che io non voglia vederla diffusa nelle classi più modeste
del civile consorzio? Sarebbe un fraintendere stranamente il mio pensiero».
(7)
Ma la voleva non imposta come il servizio
militare od un odioso bargello, bensì libera e bramata dai cittadini, come
frutto spontaneo dell' iniziativa privata e come una delle spinte migliori
allo sviluppo della personalità umana.
______________________
NOTE
1) Vedi Saredo «Vicende legislative della
P. Istruzione in Italia», p. 575.
2) Idem p. 576.
3) Idem p. 35.
4) Idem pagg. 185 e 186.
5) Idem p. 578.
6) Vedi Saredo : «Principi di diritto
costituzionale» vol. III p. 186. Anche quando, verso il 1895, l'on. Baccelli
propose l'autonomia delle Università, Saredo inneggiò alla proposta
chiamando l'autonomia un «provvedimento salutare».
7) Idem vol. III p. 225.
______________________
IL SUO METODO
«...
Come insegnante e come scrittore ho sempre considerato debito mio di
preoccuparmi non solo di ciò che è, ma altresì di ciò che deve essere. Nello
spiegare quindi il Codice civile, colla parola e colla penna, io non mi sono
mai chiuso nella infeconda e servile ammirazione del testo scritto; ma l'ho
esaminato coscienziosamente, applicandovi la critica, lodando ciò che mi
parve conforme alla giustizia ed alla scienza e condannando ciò che
giudicai fosse ad esse contrario. Ho chiesto ad ogni disposizione
legislativa le sue ragioni ad ogni dottrina i suoi titoli; non ho concesso
la mia adesione se non a ciò che rispondeva alle esigenze della mia
coscienza giuridica…».
Queste parole messe da Saredo nella
prefazione (p. V e VI) del suo «Trattato di diritto civile», rivelano a
sufficienza quale metodo abbia seguito insegnando e scrivendo; metodo
razionalista, perchè a base di esame, critiche, discussioni e consensi;
metodo cui s' attenne tanto nelle dottrine giuridiche che nelle religiose e
storiche, e che inculcò agli studenti nelle pubbliche lezioni.
«Lungi dall' imporre ai giovani
- così
egli a p. VII della succitata prefazione - il culto pedantesco della
lettera scritta li ho sempre eccitati a penetrarne lo spirito, ho sempre
insistito energicamente perchè pensassero da se, esaminassero testi
legislativi e sistemi, giudicassero col loro criterio le dottrine dei
professori, le accettassero o le condannassero secondo che la loro coscienza
suggeriva... E non è senza orgoglio che posso dichiarare di aver sempre
ottenuto ottimi risultati».
Ed allo stesso modo che trasfuse il suo
metodo nelle menti della gioventù universitaria, così si studiò di
persuaderla e spronarla alla ricerca di nuovi veri giuridici ed allo
svolgimento e perfezionamento di quelli già posseduti.
Un'eloquente riconferma di ciò ci è esibita
dal discorso, che fece inaugurando, qual primo presidente, il Circolo
giuridico di Roma, (1) nel quale afferma la necessità che fresche e robuste
intelligenze si dedichino a studi, monografie ed altre opere, che,
sviscerando le dottrine del diritto, liberino dai molti difetti e lacune le
leggi esistenti e preparino norme e sanzioni più conformi a giustizia e
verità : «Le regole del diritto - ecco alcune delle sue parole - sancite
nelle legislazioni non sono che le conquiste successive laboriosamente
ottenute, ma incomplete sempre, della scienza e della civiltà; spesso in
una imperfetta disposizione legislativa è contenuto il germe di un nuovo
vero giuridico, onde la necessità di un' opera incessante per avvicinarsi
sempre più a quelli alti ideali di verità e di giustizia che sono la
irrequieta e nobile aspirazione della società umana».
___________________
NOTE
(1) Questo discorso fu pronunziato la sera
del 19 Giugno 1899. Il Circolo giuridico di Roma fu il terzo sorto in
Italia: prima di esso esistevano quelli di Palermo e di Napoli: il loro
scopo consisteva nell' avvicinare e rendere solidali i cultori del diritto e
nel promuovere gli studi legislativi e giuridici.
___________________
ATTACCAMENTO ALLA SCUOLA
Avendo fatto menzione di
questo discorso, mi gioverò ancora delle sue parole per indicare la
tenerezza d' animo, che legava Saredo alla scuola ed ai suoi allievi e la
nostalgica affettuosità, con cui il vecchio e giubilato professore
ricordava i giorni del suo insegnamento.
Il brano che riproduco fu pronunziato da
Saredo quasi settantenne, vent' anni dopo aver lasciate le lezioni
ordinarie alla Università. Ringraziati i presenti per il loro intervento
alla cerimonia inaugurale del Circolo, egli continuò: «Sento il bisogno di
dire quanto io sia stato commosso e, noi nascondo, orgoglioso del suffragio
che mi ha chiamato a questo seggio. Ho pensato, nè credo di errare, che la
precipua ragione di tanto onore io la debbo ricercare nel fatto che tra i
promotori di questo circolo figurano i nomi, a me ben noti e cari, di
antichi discepoli, che mi riconducono al tempo indimenticabile della mia
vita universitaria, e non hanno cessato di salutarmi col titolo, più d' ogni
altro a me gradito, di professore: certamente del loro professore essi hanno
parlato con memore benevolenza agli amici e colleghi e così avvenne che si è
raccolta quella lusinghiera dimostrazione che sarà uno dei più preziosi
ricordi di mia vita».
Quante suggestive
memorie e quanta eloquenza di vita in pochissime frasi! Vi risorge con
tutto l'entusiasmo e passione lo antico maestro, che dimentica volentieri
ogni altro titolo e grado, anche quello di Senatore e Presidente del
Consiglio di Stato, per non gloriarsi che del nome ed ufficio con cui sacrò
vent'anni della sua migliore esistenza alla scuola.
E quanto ambisse potentemente l' onore e l'
esercizio del professorato lo dimostrò adornandosi l' animo d' una dottrina
ed erudizione vastissima, difficilmente reperibile in altri, acquistata da
lui con studi profondi, diurni e notturni, su autori antichi e moderni, su
testi latini, italiani, francesi, inglesi e tedeschi. Erudizione che
profuse nelle sue mirabili lezioni aventi il segreto, sviscerando e
trattando anche ardue e sterili questioni, di renderle piacevoli e facili
agli uditori. (1)
Lo dimostrò coi lunghi anni di ininterrotto insegnamento,
dato in importanti centri dell' attività intellettuale italiana, svolgendo
i più svariati rami delle scienze giuridiche e per il quale meritò
successive promozioni da scuole secondarie ad universitarie e da Università
d' ordine inferiore a quelle d' ordine superiore, fino ad essere chiamato
all' Ateneo della capitale.
Lo dimostrò pure nel 1889 (dieci anni dopo aver
cessato l' insegnamento ordinario a causa della sua nomina a consigliere di
Stato) allorché, offertogli d' insegnare alla Minerva, quale incaricato
straordinario, la legislazione locale comparata, accettò con trasporto la
nuova mansione, disimpegnandola con soddisfazione degli studenti e nuovo
titolo di lode per se.
E lo dimostrò finalmente pubblicando numerosissimi
articoli, monografie, trattati ed altre opere, con cui, anche fuori dell'
aula universitaria, continuò a comunicare la scienza, a solvere quesiti, a
dissipare dubbi, a interpretare codici, a commentare leggi. Ed i suoi
scritti che, per la chiarezza dello stile, si fanno leggere fino all'ultima
riga, e che per il numero basterebbero a formare una ricca biblioteca,
erano studiati e consultati con frutto, e taluno, come il «Commento alla
legge comunale e provinciale» (in 9 volumi) lo è ancora oggigiorno.
_______________________
NOTE
(1) La sua cultura, come già accennai,
non s'estendeva soltanto alle scienze giuridiche, ma abbracciava largamente
anche quelle storiche e letterarie e, per ogni nazione, aveva i suoi autori
preferiti. Fra i classici latini prediligeva, come dissi, Orazio e Virgilio. Da una sua nota, che ho tra le mani, rilevo che fra i poeti italiani gustava
sopra tutti Dante, Leopardi e G. Prati; tra quelli francesi, Musset; fra i
tedeschi Schiller. Degli storici amava, fra gli italiani, il Colletta ; tra
i francesi Taine ; fra gli inglesi,
Macaulay; fra i tedeschi,
Gervinus. Tra
i romanzieri simpatizzava per Manzoni e Ruffini, italiani ; per Daudet,
francese ; per Bronté, inglese e per Freytag, tedesco. Aveva, specie negli anni giovanili, un'inclinazione particolarissima verso
la lingua e letteratura francese. Ne fa fede la prima opera che pubblicò, «Du
principe des alliances ecc.» e queste parole, che trascrivo da un suo
biglietto «J'aime surtout la langue française. C'est peut être un blasphème,
et je le dis tout bas. Mais je l'aime».
_______________________
***
Terminando il capitolo secondo, osservai che
la produzione poetica di Giuseppe Saredo rappresenta una semplice
parentesi nella sua multiforme ed incessante operosità ; concludendo ora
il presente; nel quale, come nel terzo, si passò in rassegna la sua attività
di professore e scrittore, non solo è necessario riconoscere che essa
occupò una parte importantissima della sua brillante carriera, ma che la sua
opera di apostolato delle scienze giuridiche, sia a viva voce che colla
penna, fu sì intensa, vasta, feconda e diligente da bastare da sola ad
immortalare il nome di un uomo e rendere famosa la terra che gli diede i
natali.
Inizio Pagina
***
RICORDO DI UN ALLIEVO
Tratto da un articolo apparso sul Resto del
Carlino il 27 Novembre 1932 a firma di
Filippo Crispolti
Rimontiamo a più di cinquantacinque
anni addietro.
Agli studenti delle
Università minori i nomi dei professori
dell'Università romana giungevano
circonfusi d'un
singolare prestigio,
e per la facoltà di giurisprudenza,
il nome particolarmente di Giuseppe Saredo, i cui libri, di
varia materia
giuridica, ottenevano molta diffusione,vivaci,
limpidi, sensati com'erano.
Così,
nel lasciar io l'Università di Modena per iniziare il terz'anno di legge
in
quella di Roma, il professore di cui
avevo maggiore curiosità era appunto
lui,
insegnante di procedura civile.
Ora, quella mattina del novembre 1876
che i corsi si dovevano aprire, vedo
un
gruppo di miei nuovi compagni
intorno ad un avviso. Per quel giorno vacanza, poiché era morto un professore.
Io,
cedendo a una tentazione da
monello, dico a voce alta:
«Ce ne vorrebbe uno ogni ventiquattr'ore».
Sento
alle mie spalle la voce d'un uomo
maturo che risponde:
«Tante grazie,
anche a
nome dei miei colleghi».
Mi
volto confuso, e mentre quel signore
se ne va domando chi è. Mi si risponde:
«E' il professor Saredo».
Questo
bell'inizio ebbero le mie relazioni con lui!
Chi ci avrebbe detto che
durante il
suo insegnamento, e quando fu divenuto membro del Consiglio di Stato, poi
Senatore, poi Presidente
del Consiglio stesso, in una parola, fin
che visse,
quelle relazioni sarebbero
state così amichevoli e strette, quali
non ebbi
con nessun altro dei miei insegnanti delle due Università, pur tutti
buoni con
me.
* * *
Ecco
perché, nel primo centenario
della sua nascita (16 settembre 1832
'932), la
lucida, ampia, documentata
biografia di lui che vien pubblicata
dal chiaro
concittadino, il savonese
prof. D. Ambrogio Casaccia con forte
prefazione
del Podestà di Savona, generale marchese Assereto, non soltanto
m'apparisce come un bel contributo
alla storia locale e italiana, ma mi reca
la commozione di veder rivivere la
figura d'un uomo insigne, che in tanta
differenza
d'anni e di gradi si compiacque sempre di chiamarmi amico.
Ciò tanto più, in quanto il biografo,
nell'ammirare il commemorato non cade
nel frequente difetto dei biografi,
di
dare per bella, buona, eccelsa ogni
cosa del loro soggetto.
Il Casaccia è
uno
storiografo che sa rimaner libero;
che non teme all'occasione di far valere
le convinzioni sue davanti e contro quei criteri religiosi, filosofici, politici,
esposti dal Saredo nel libro giovanile Principii di diritto costituzionale
e
durati in lui lungamente, nei quali il dissenso fra i due non poteva essere
che profondo.
Singolarissimo uomo il Saredo!
Undecimo
dei quattordici figli d'una famiglia in antico distinta, ma da tempo
venuta in
istrettezze, studia presso gli
Scolopi di Savona, ai quali rimarrà
sempre
grato; si aiuta col dar ripetizioni; obbedisce per breve tempo alla
madre che
lo fa vestir chierico imprestandogli una vocazione infondata; eppoi
a sedici anni, con sedici lire in tasca diserta la casa paterna per cercar
fortuna.
In breve è a Torino, la Torino del '48, dove fa prima il correttore di bozze, poi il redattore, in
prosa
e in poesia,
del Fischietto, studia frattanto per conto suo italiano, latino e
greco; legge il leggibile nelle discipline più diverse; passa, nello scrivere, dalle
novelle e comedie alle biografie di personaggi viventi o morti; inizia
riviste
quasi sempre sfortunate; alterna
così una preparazione vasta colle incertezze
e gli stenti della vita.
Quando nel 1858 è nominato alle scuole secondarie
di Bonneville in Savoja;
quando l'anno dopo passa a dirigere
le scuole
tecniche di Chambéry insegnandovi storia, geografia e materie letterarie, egli
finalmente non solo acquista la tranquillità d'una carriera
governativa, ma può realizzare il suo
sogno: cioè sposare la signorina torinese
Luisa Emanuel,
la costante ispiratrice sua, una donna d'alto animo,
di grande
coltura, che dopo fattosi un
bel nome come scrittrice di romanzi
sotto lo
pseudonimo di Lodovico De Rosa, si darà a severi studi storici su
Casa Savoja, ottenendo l'invidiato onore
di membro della deputazione di
storia patria in Piemonte.
La loro unione fu un idillio. Anche in tarda
età si dedicavano poesie per l'anniversario
del loro matrimonio.
Quand’egli
nel 1896
rimase privo di lei e desolato, continuò ad invocarla ancora in
versi, pur
tra i suoi grandi affari, e
queste ultime liriche, finora inedite, come quasi tutte le
altre, sono davvero una bella cosa.
Ma prima di perderla,
durante i lunghi anni della penosissima malattia che gliela tolse, mi
consta che
l'affetto alla
sua
Luisa dette
di sé una prova ben più rara: rifiutare
parecchie volte di diventar ministro, perché l'orario del dicastero gli
avrebbe
tolto la libertà d'assisterla.
* * *
 |
Terenzio Mamiani |
NOMINA di CARDUCCI a BOLOGNA
Torino, li 18 agosto
1860. Mio caro signore.
Il Prati per cagioni al tutto
speciali riununcia alla cattedra di eloquenza
italiana nella Università di Bologna. Io mi terrei fortunato ed anche un poco
superbo se Ella, caro signore, mi concedesse di nominarla a quel posto.
Bologna non è certo Firenze, ma è grande città che porta molto meritatamente il
titolo di dotta; e il popolo suo è affabile e cordialissimo; a Lei, ne sia
sicuro, farebbe festa più assai che al Prati.
Oltre l’emolumento di 3000 fr. avrebbe in corto tempo altri mille come
Dottore di Collegio; e, ivi promulgata la legge
sarda, Ella parteciperebbe alle iscrizioni e alle propine. Da ultimo,
Le prometto che cessata la mezza autonomia toscana e cambiata in un largo
sistema di libertà per tutti comune, se la Università
di Firenze verrà dichiarata governativa, mi darò cura di restituirla alla sua
diletta città. Mi dica dunque un bel sì, e mi
scusi del ricusare che fo di scrivere al Ricasoli per la cattedra in un liceo
fiorentino.
Mi creda suo devotissimo Terenzio Mamiani |
Terenzio Mamiani scrive a
Carducci |
In Savoja
nel 1860 ecco sopraggiungergli una fortuna insperata.
Privo di
studi regolari e di laurea è destinato
alla
facoltà giuridica dell'Università
di Sassari.
Terenzio Mamiani, ministro
della P. I, nei giorni stessi in cui
sbalzò Giosuè Carducci da maestro di
ginnasio
alla cattedra di letteratura
italiana nell'Ateneo bolognese, si valse del famoso
articolo 69 per far fare al
Saredo un salto anche maggiore.
Infatti
questi non cambiava soltanto sede e grado, bensì materia d'insegnamento.
Non s'era visibilmente occupato di cose giuridiche se non con l'opuscolo
del 1859 Du principe des alliances internationales,
che gli
aveva
fruttato, è
vero, la conoscenza e gl'incoraggiamenti del Conte di Cavour.
Il
Mamiani fu criticato per quelle
due nomine come per un
arbitrio, ma i risultati mostrarono che aveva avuto
buon naso.
Da Sassari ove insegnò i Diritti costituzionale, amministrativo, internazioriale,
il Saredo passa presto a Parma ove aggiunge l'insegnamento di
filosofia
del diritto; poi va a Siena per quattr'anni; finalmente nel 1870, è trasferito
all'Università di Roma dove,
come dissi, lo trovai insegnante di procedura
civile, e in essa rimase fino al
1879, quando il capo del
Governo, Depretis, lo volle al Consiglio di Stato.
Le singolarità non
riguardano soltanto i
suoi casi, ma la sua tempra.
Attraverso
ad una giovinezza così avventurosa, da parer talvolta zingaresca,
non solo riesce un lavoratore improbo — l'elenco delle sue moltissime
pubblicazioni spesso voluminose lo
dice — ma sopratutto ordinatissimo.
Il
giorno che nel Consiglio di Stato
può comandare, il suo esempio, il suo
stimolo, le
sue esigenze raddoppiano
la laboriosità di tutto il Corpo.
Guai
sotto di lui ad essere uomini di scarso
rendimento, anche se valenti.
Né per
questo li
vuole unius negotii.
Diano
aria alla mente svagandola con interessamenti
svariati, sia pur secondari.
Poeta prima
ancora che nei versi,
nei sentimenti fondamentali, acquista
uno spirito pratico e positivo, da far
credere talvolta che le idealità gli sembrino un perditempo.
Uomo di Destra,
entusiasta della Monarchia e
aborrente dalle sètte, si trova per antica
amicizia personale così vicino al
capo della Sinistra, Depretis, da diventarne il principale
coadiutore nella formulazione dei disegni di legge e pian
piano il
consigliere universale intimo:
acquista con ciò una potenza segreta,quale pochissimi
ebbero in Italia, ma
conserva, anche di fronte a lui, una
fiera
libertà di giudizi, che nelle ninfe
egerie è insolita.
Frattanto, mescolandosi in tal modo ai grandi affari dello Stato fa un
prezioso
acquisto; quello dell'esperienza politica fino allora mancatagli.
E
questa esperienza gli giova grandemente a temperare quello spirito dottrinario e perfino consequenziario,
per
cui specialmente nel citato libro Principii di Diritto Costituzionale,aveva
spinto
all'estremo i canoni teorici della
Destra.
Il suo
liberalismo, anzi liberismo, era stato tanto assoluto, da non
vedere nello Stato se non il guardiano
agnostico dei diritti degli individui,
con tutte le conseguenze che in ispecie
nella politica ecclesiastica avrebbero
fatto torto al carattere e alle ragioni
della Chiesa, dalla quale, lasciata
la casa paterna, si era anche
privatamente straniato.
Benché nello stesso
libro
rendesse alcune giustizie agli Ordini religiosi e allo stesso Papato, poteva
passare per un anticlericale.
* * *
Come pian
piano l'aspetto della
realtà sociale lo modificasse, se n'ebbe una prova nel favore con cui
prese a
guardare e cercò di contribuire, vivente ancora Depretìs, alla
Conciliazione,
piuttosto temuta che vagheggiata un tempo.
Se ne ha un'altra prova, posteriore ma più manifesta, nella lettera
inedita del 4 giugno 1898 all'amico savonese
Agostino Cortese, pubblicata
dal Casaccia.
Mortagli la moglie, eragli purtroppo mancato il motivo della
infermità di
lei per rifiutar portafogli.
Poteva oramai accettarli.
Ma scrive:
«Come a quest'ora saprai, il
Ministro
Di Rudinì mi ha offerto il Ministero
di Grazia, Giustizia e Culto; non
ho creduto
di poterlo accettare per il
mio dissenso
da lui circa i rapporti fra
l o
Stato e la
Chiesa. Egli crede necessaria
una politica di rigore verso la
Chiesa,
nella quale vede una nemica
implacabile
dell'Unità nazionale e della
Monarchia.
Io invece ritengo più
saggia una
politica più temperata, per
la quale,
mantenuti alti i diritti dello
Stato, siano
però rispettate le ragioni
della
Chiesa e questa venga considerata
come una delle più potenti fattrici
della pacificazione sociale.
Comunque sia, ho ricusato. Questa confidenza resti fra noi».
Ma un'altra
bella singolarità ebbe il
Saredo.
Rigidissimo in fatto d'onestà e di legalità — non senza ragione
il suo
primo lavoro pubblicato nel 1856
era stata la biografia di Solaro della
Margherita
vivente, del quale avversava le idee, per celebrarne la probità
e la coerenza, pur sapendo che molti
liberali gliela avrebbero rimproverata,
come fecero allora e perfino moltissimi
anni dopo.
Rigidissimo in ciò, come ho detto, non profittò mai per sé della
potenza che
sotto Depretis aveva.
Oltre
al non voler portafogli allora, le
sue promozioni a senatore e a presidente
del Consiglio di Stato avvennero molto tempo dopo che Depretis fu
morto.
Ahimè! accettò dal Presidente del Consiglio, Saracco, l'ultima promozione,
quella di capo dell'inchiesta per
Napoli, durata due anni.
Il suo zelo
per risanare
la grande città dagli abusi
e dalle camorre, abbandonato egli moralmente
da successivi ministeri, gli
fruttò non solo fatiche indicibili e dolori
senza fine, ma il deperimento invincibile di quella forte fibra, che da
solo il
crescere dell'età non aveva scosso.
Morì nel dicembre 1902, piamente
assistito dall'amico e concittadino suo mons. Mistrangelo, Arcivescovo di
Firenze.
Non pure Savona, ma l'Italia aveva
diritto che la memoria di quest'uomo,
per tanti
lati memorabile, fosse consegnata ad un libro degno.
E Ambrogio
Casaccia,
col marchese Assereto, ha ottimamente provveduto a ciò.
Filippo Crispolti
FONTI e LINKS di approfondimento
1. GIUSEPPE
SAREDO - BIOGRAFIA
2.
L'INSEGNAMENTO SCOLASTICO E UNIVERSITARIO
3. IL
CREDO POLITICO
- SAREDO LIBERALE E MONARCHICO
4. TEORIE
FILOSOFICHE E RELIGIONE
5. L'INFUENZA POLITICA E LA QUESTIONE ROMANA
6. IL COMMISSARIAMENTO E L'INCHIESTA DI NAPOLI
7. SCHEDE DEI LICEI DI SAVONA
http://www.tesionline.it/consult/pdfpublicview.asp?url=../__PDF/4655/4655p.pdf
http://www.polistampa.eu/public/images/caffem33.pdf
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