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+ Scuola e Università |
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SENATORE GIUSEPPE SAREDO |
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DOCENTE UNIVERSITARIO - GIURISTA - CONSIGLIERE DI STATO |
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+ L'Inchiesta di Napoli | ||||||||||||||
L'INSEGNAMENTO SCOLASTICO E UNIVERSITARIO |
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In quest' articolo apparso sul Resto del Carlino il 27 Novembre 1932 in occasione della recensione del volume del Sacerdote Ambrogio Casaccia, viene commemorato Giuseppe Saredo a 100 anni dalla nascita.
DA CHAMBERY A ROMA
Professore nelle Scuole
Secondarie Per vincere l' uggia, soddisfare l' impulso naturale dell' animo e prepararsi a nuovi cimenti, egli, fra le gole recesse della Savoia, nei tempi liberi dall' insegnamento e spesso durante le notti (2), continuava a studiare con passione la letteratura latina, italiana e francese, scriveva articoli per giornali e riviste, compilava e pubblicava biografie di uomini illustri e si approfondiva nell' esame e trattazione di questioni giuridiche. E fu appunto in questo periodo che egli consegnò alle stampe il suo lavoro « DU PRINCIPE DES ALLIANCES INTERNATIONALES » (3) che a quanto mi disse S. Ecc. Paolo Boselli «fu il primo lavoro che attirò maggiormente l'attenzione degli studiosi e degli uomini politici sopra Giuseppe Saredo» e che contribuì non poco a facilitargli il passo verso le bramate ascensioni.
Il libro
comparve nel I860, steso in lingua francese ed in forma di lettera dedicata
e diretta al Conte Camillo Cavour.
Ill. Sig. Professore, Il grande ministro non pago di questa lettera volle poi congratularsi a viva voce con Saredo, elogiandolo caldamente. Ma se le lusinghiere parole di Cavour e le approvazioni di dotti ed amici confortarono e soddisfecero grandemente l'autore del volume, risonando nell' animo suo come ottimi auspici per l' anno allora iniziato; egli doveva presto udire un' altra voce, sorgente per lui di ben maggiore consolazione e letizia, la voce cioè d' un membro dello stesso Ministero presieduto da Cavour, la quale lo creava d'un tratto, da insegnante di scuole tecniche, professore universitario e lo inviava da Chambery all' Ateneo di Sassari.
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Sbalzo Glorioso Dalla prefazione con cui Mamiani, nel 1855, presentò al pubblico italiano la «Rivista letteraria» di cui Saredo era fondatore e direttore si arguisce che i buoni rapporti di amicizia e di stima fra i due personaggi non dovevano datare da epoca troppo recente; e, secondo l' on. Paolo Bosetti le loro relazioni divennero più cordiali durante la campagna elettorale che rese Mamiani deputato di Genova.
Presa la
direzione del Ministero assegnatogli, Mamiani vagheggiò di riformare varie
parti della legge Casati del 13 Novembre 1859. Allo stesso modo però che le acerbe critiche non turbarono il Ministro autore della nomina, perchè facendola aveva agito con piena consapevolezza dei propri diritti (2) e con profonda convinzione del valore scientifico del nominato, così esse non commossero affatto il Saredo, perchè non si reputava indegno dell' ufficio cui era chiamato, nè impreparato a disimpegnarlo con intelligenza e fervore.
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Chiudendosi l' Università sassarese i suoi beni e capitali dovevan passare
ad altre opere aventi scopo di pubblica istruzione. Contro la sancita spogliazione e chiusura insorse fieramente sdegnato l' animo dei Sassaresi e delle loro proteste si fece eco e caloroso difensore, nel Parlamento italiano, il deputato Mancini, rappresentante in quei tempi della loro città, il quale esponendo e sostenendo alla Camera un progetto invocante l' abrogazione degli articoli della legge Casati, distruttori della vita dell' Università Sarda, riuscì a farlo approvare e convertire nella legge datata 5 Luglio 1860. Riacquistato così il pieno diritto alla libera e feconda esistenza, l' Ateneo di Sassari accolse in quell' anno, tra i membri del corpo accademico, anche il nostro Saredo quale professore straordinario di Diritto costituzionale e quale incaricato dell'insegnamento di Diritto amministrativo e Diritto internazionale.(1)
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Nell'Ambiente Sassarese Ma se - perchè chiamato altrove - il suo soggiorno nella seconda delle principali città di Sardegna fu come la sosta d' un colombo viaggiatore ed egli vi passò quasi inosservato dalla gran massa degli abitanti, perchè gli mancò tempo e agio di applicarsi ad opere concernenti direttamente il pubblico interesse, tuttavia il breve tempo che vi rimase bastò a farne apprezzare dai colleghi d' insegnamento (1) e dagli studenti il vigoroso ingegno, l' estesa cultura, la brama del sapere ed il saldo carattere. Di quel periodo ci restano le lezioni che tenne all' Università, dalle quali come in un quadro limpido e parlante ci son palesati i suoi convincimenti sociali, politici e religiosi, e le quali ci pervennero raccolte in quattro volumi di oltre 1200 pagine complessive, pubblicati a Parma negli anni 1861 e 1862 col titolo di «Principi di diritto costituzionale». Nella mente dell' autore, tali Lezioni erano state concepite ed ordinate come il «codice politico» dei cittadini dell' Italia liberatasi dal giogo austriaco e dagli stati a regime assolutista: e, dandole alle stampe, dichiarava: «m'accingo a scrivere un trattato della scienza dei governi liberi» (2), avvertendo che s'era deciso a pubblicarle perchè, a suo parere, mancavano o erano difettosi a quei tempi, nel nostro paese, libri di tal genere corrispondenti al suo intento ed alle nuove condizioni della vita nazionale. (3)
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Stabilita
l' idea fondamentale del diritto, che è da lui definito l' «insieme delle
leggi naturali che governano la personalità umana, in quanto essa si
estrinseca nei diversi rapporti della vita civile» (1) e determinate le
relazioni dell' imperativo etico e giuridico colla scienza della
legislazione, l' autore fissa le sue teorie sulla natura della società
umana, della libertà e sovranità per dare le prime nozioni del governo
costituzionale. Esaminati poi, dal punto di vista liberale, i vari sistemi di governo e combattuto quello teocratico, quello del diritto divino, quello del contratto sociale, quello della scuola storica, quello dell' utilità, quello del sentimento secondo il quale « una azione che risveglia la simpatia generale è buona; cattiva e punibile è quella che solleva l' indignazione del cuore» (2), l'autore riafferma che il miglior sistema è quello del governo costituzionale, in cui «la costituzione scritta armonizza colla costituzione naturale del popolo», in cui il «capo dello Stato è impersonale, inerrante, irresponsabile, immortale, come quegli che rappresenta la impassibilità della legge nella sua più alta manifestazione», in cui «la legge sola governa sovranamente lo Stato, mentre gli uomini non ne sono che gli strumenti e gli esecutori» ed in cui «lo scopo supremo cui deve tendere il potere sociale è la guarentigia dei diritti naturali dell'individuo». (3)
Conduce il
suo lavoro con, metodo piano e ordinato, ricchezza di argomenti, erudizione
nutrita e chiarezza invidiabile. I «Principi di diritto costituzionale» sono davvero un diligente e completo trattato filosofico, e quantunque non tutte le idee e dottrine da esso proclamate e sostenute siano da tutti accettabili, è però doveroso riconoscere che esso ha un grande valore scientifico e si può giustamente ritenere che abbia influito non poco a mettere sempre più in evidenza la personalità del Saredo, il quale d' altronde con quel suo libro tra le mani possedeva più che a sufficienza quanto richiedevasi per far tacere i malignanti la sua nomina a professore, perchè privo di titoli accademici. «Se non vedete i titoli, poteva esclamare, guardate le opere che valgono assai più».
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Ed a
Parma, un anno dopo l'annessione, dal governo d' Italia, Giuseppe Saredo fu
inviato professore di filosofia del diritto, di diritto costituzionale e poi
anche di diritto internazionale nella Regia Università.
«Passata Parma, nel 1545 - dice l' autore
del fascicolo PARMA della collezione «Le cento città d' Italia» - sotto la
dominazione dei Farnesi, l' Università venne mano mano a tanta prosperità
che nei primi anni del secolo XVII nessuna delle altre Università italiane
poteva superarla e per la grande celebrità che essa si era guadagnata in
Italia e all' estero e pel concorso straordinario degli studenti d' ogni
parte d' Europa». Saredo inaugurò le sue lezioni alla cattedra parmense, nel 1861, rivolgendo agli studenti un discorso (2) sull' «importanza vitale dello sviluppo della personalità umana per affrettare il rinnovamento della società». Discorso che fu per essi la Saredo trentenne a Parma rivelazione aperta e lampante dell' animo e sentimenti del nuovo professore e che valse a cattivargli fin da allora quell'aureola di stima e simpatia di cui fu sempre circondato nella città emiliana, ove trascorse cinque anni di insegnamento, passando con facilità e dottrina dalla trattazione di uno all' altro ramo delle scienze giuridiche (3), pubblicando nuovi scritti e volumi e partecipando alla vita e attività di associazioni politiche. F. Giarelli, nell' articolo da me già citato chiama «veramente splendide» le lezioni di Saredo all' Università di Parma, alle quali gli studenti assistevano volentieri e con gioia, attratti dall'invidiabile abilità, che aveva, di esporre con semplicità e chiarezza le quistioni anche più intricate e difficili, dall' arte con cui sapeva colorire e rendere piacevoli, mediante tratti polemici, raffronti dottrinali e richiami storici, le materie spesso aride che spiegava e dal segreto, che possedeva, di ispirare amore e rispetto alla scienza. Ed a sì interessanti lezioni non raramente vedevasi «attenta auditrice» la stessa signora Luisa Saredo, sempre bramosa di attingere nuovo sapere e felice di scorgere il consorte riverentemente ascoltato e apprezzato da coloro che dovevano prepararsi a maestri e vindici della giustizia. Insegnando il diritto e la legge agli altri e, particolarmente, trovandosi a fianco di colleghi d' insegnamento che, come il Musini, il Piroli, l'Oliva, il Cavagnari, ed il Redenti, erano illustrazioni del foro, Saredo, a Parma, desiderò vivamente di fornirsi di laurea e di esercitare l' avvocatura. I suoi meriti scientifici ed il corredo delle sue pubblicazioni in volumi, riviste e giornali erano più che sufficienti a fargli ottenere la laurea ; e la ottenne di fatto honoris causa e se ne valse, come afferma il Giarelli, per qualche tempo nelle aule dei tribunali. La vita forense non dovette però troppo allettarlo, avendola poscia completamente disertata per continuare a dedicarsi alla palestra universitaria ed alla pubblicazione di libri ed altri lavori; ed il titolo d' avvocato gli servì quasi solo di decoro al suo nome nel frontispizio delle opere od in calce agli articoli che scriveva e stampava.
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leggere nemmeno una riga che lasciasse sospettare che lo stesso ne avesse scritto altre.
tuttavia ad esse in modo assoluto, avendone dal 1860 in poi edite parecchie coi tipi dell' Unione Tipografica Editrice Torinese, le quali si scorrono anche oggi con curioso interesse. E siccome la data di loro comparsa si aggira intorno al tempo passato da lui a Parma e qualcuna, come quella lumeggiante Federico Sclopis, venne pubblicata proprio mentre Saredo insegnava in detta città, così penso che sia questo il momento più conveniente per fare di esse una menzione speciale.
Esponendo le ragioni ispiratrici della «Galleria di ritratti italiani contemporanei » egli scriveva fra l' altro: Queste osservazioni, di cui è doveroso riconoscere la giustezza, non sfuggirono certo alla mente dell' autore quando preparava le altre biografie, contenenti ciascuna interessanti particolari e preziose circostanze che sono gli indici esatti di situazioni politiche, mettendo in piena luce le cause vere e nascoste di fatti sociali, di mutamenti diplomatici e del carattere di governi e di epoche. I vari personaggi illustrati dalle singole biografie, ognuna delle quali forma un volumetto a parte, sono Clemente Solaro della Margarita, Giuseppe De Maistre, Marco Minghetti, Terenzio Mamiani, Federico Sclopis, Giorgio Stephenson, Pietro Proudhon ed Abramo Lincoln.
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Fra questi
attacchi ve n' ha però uno che vale la pena di essere sfatato, perchè non
rispondente a verità, ed è quello insinuante che Saredo sia stato l'
apologista del Conte della Margarita, quale tipico esponente dei governi
assoluti.
Saredo,
nel suo volumetto, non fa l' apologia di idee retrive e sistemi sormontati,
ma narra dei fatti : e se ricorda che il Conte Solaro, nei 13 anni passati,
qual ministro, a fianco di re Carlo Alberto, dimostrò grande fedeltà alla
casa Savoia, devozione alla religione cattolica, deferente ossequio alla S.
Sede, carattere coraggioso e leale, abilità nel trattare la questione di
Oriente e senno nel favorire lo sviluppo dei lavori pubblici, industrie e
commerci, non omette di annotare che il medesimo si attirò molte critiche. Principali sono queste: errò nella politica verso Don Carlos di Spagna e verso il Sonderbund, si inimicò l' animo dei liberali, non ebbe la simpatia di altri ministri del regno e non governò sempre poggiato sulle basi più solide. In quanto poi ai principi assolutisti del Conte, ecco ciò che dice Saredo: «La nomina del nuovo ministro (2) non fece sensazione in alcun modo in Piemonte : le sue opinioni politiche erano quasi generalmente sconosciute. Ma non tardarono a rivelarsi e furono accolte con sentimenti diversi. Quelli, che confidavano nella venuta del nuovo ministro per un avvenire più liberale, trovarono nel Conte Solaro un uomo deciso a seguire il sistema governativo inaugurato dal maresciallo de La Torre, un costante e fedele discepolo di quella scuola politica che ha Giuseppe De Maistre per profeta, de Bonald, Haller e Wathel per arbitri e maestri... (3).
Il ministero si divideva in due parti
distinte: il conte della Margarita e il
conte dell' Escaréne formavano la
prima: rappresentava il partito più recisamente e francamente devoto alla
monarchia assoluta... (4) I suoi principi potevano riassumersi così:
realista esclusivo, nemico d' ogni innovazione che tendesse a temperare la
potestà sovrana, sostenitore della causa legittimista in tutti gli stati d'
Europa e sopratutto avversario dichiarato d' ogni benché moderata
concessione in ciò che riguarda la stampa. (5) Uno degli errori principali
che a nostro avviso commise il conte della Margarita finche rimase al potere
si fu quello di aver avversato, quasi senza eccezione, ogni progresso
sociale. Egli non ha riflettuto che ogni società politica si trasforma
indefinitamente...». (6) Leggendo queste proposizioni - e non sono le uniche ad esprimere tali giudizi - non si riesce a concepire il perchè di tanto scalpore liberale contro le pagine del Saredo, a meno che non si pensi che gli sia stato imputato a delitto anche il semplice fatto di aver impreso a narrare del Conte Solaro. E come sono da ritenersi fuori di luogo le escandescenze liberali contro il nostro autore ed il suo libro, così credo non meritino gran peso le affermazioni di Isaia Ghiron, stando alle quali Saredo, parecchi anni dopo, pentito dell' opera propria, avrebbe voluta la dispersione e distruzione della biografia tanto avversata. Ed il motivo per cui non reputo troppo serie tali asserzioni è che Saredo, il quale possedeva una tempra poco facile a spaventarsi, non si sarà troppo terrificato per le critiche mossegli, tanto più che pubblicando il volume sul La Margarita non aveva fatto altro che rimanere fedele al programma impostosi di tratteggiare i principali personaggi della storia del regno piemontese, e del risorgimento italiano, a qualsiasi scuola o partito appartenessero.
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Egli, come in tanti quadretti, ci viene presentato giovane profondamente studioso, magistrato integro e probo, scrittore convincente e forbito, letterato erudito e conoscitore di sette lingue, filosofo sinceramente e praticamente cattolico, nemico della rivoluzione francese fino a sopportare l' esilio ed il confiscamento dei beni piuttosto che riconoscerne le massime e il governo, difensore strenuo e costante del principio d' autorità, sostenitore e propugnatore delle teorie assolutiste e cittadino ed uomo politico fedelissimo al suo re ed alla dinastia di Savoia. L' autore ne riproduce le opinioni religiose e politiche, particolarmente quella secondo cui il Papa avrebbe dovuto essere il re universale e quella sulla costituzione inglese; ne esamina e riassume brevemente le opere: Considerazioni sulla Francia, Les soirées de Saint Pétersbourg, Del Papa, e Saggio sul principio generale delle costituzioni. E riferisce notevoli tratti della di lui corrispondenza e importanti episodi della variamente fortunata azione politica da lui svolta. Allo stesso modo che per il La Margarita, anche in questo secondo volumetto Saredo, raccontando e commentando, dichiara di non condividere e apprezzare molte idee ed opere dell' egregio personaggio di cui tratta, ma molte altre le ammira ed esalta entusiasticamente e sopratutto ne encomia lo spirito patriottico, additandolo ai posteri come modello di avversario risoluto della politica austriaca verso l' Italia e come vate dell' indipendenza e unità italiana all' ombra del vessillo di Casa Savoia. Conchiudendo il suo studio l' autore afferma che se avesse dovuto scrivere l' epigrafe di De Maistre, tra l' altro, si sarebbe espresso così: «Fu magistrato integro,... fu tollerante, amò i suoi Principi anche quando era disconosciuto e offeso da essi, fu devoto alla causa italiana quando il nome d' Italia appena si pronunciava e ne predisse i futuri destini».(1) Coerente al programma tracciatosi di profilare le figure più spiccate della storia piemontese della prima metà del secolo XIX e quelle del risorgimento italiano, Saredo alle biografie di due rappresentanti degli antichi sistemi di governo fa seguire quelle di tre autentici esponenti dei governi a regime costituzionale liberale: Federico Sclopis, Marco Minghetti e Terenzio Mamiani, tutti e tre eminenti uomini politici, deputati e ministri della nuova Italia. Scrivendo la vita di costoro, gli deve essere corsa agile e leggera la penna perchè segnava le note, i sentimenti e gli atti di persone con cui egli aveva comuni le aspirazioni liberali, monarchiche e unitarie.
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Nessuna delle tre VITE è completa, essendo comparse alla luce quando i loro protagonisti non avevano trascorso che parte della loro esistenza; ma, sebbene incomplete, possono consultarsi come fonte di buona copia di dati ed osservazioni, ed io in questo libro avrò a servirmene più d'una volta.(1)
Le altre
biografie, pubblicate da Saredo quasi tutte al tempo del suo professorato a
Parma, formano quasi un gruppo a sè, distinguendosi dalle precedenti per la
diversità dell'argomento, trattando cioè non più di personaggi italiani, ma
di uomini stranieri appartenenti ciascuno ad una nazione diversa ed a campi
di attività pure diversi:
Giorgio Stephenson, inglese celebre nelle scienze
fisiche;
Pier Giuseppe Proudhon famoso socialista francese ed
Abramo
Lincoln, coraggioso presidente degli Stati Uniti, sotto il cui governo si combattè la guerra di secessione.
L' autore
che, memore delle condizioni della propria infanzia e giovinezza, ha
bellissime e tenere pagine sulle miserie sofferte da Stephenson prima d'
arrivare alla gloria, costretto com' era a fare il contadino, l' operaio
delle miniere, il rattoppatore di scarpe e l' aggiustatore di orologi; ne
ha delle parimente eloquenti sulla di lui modestia e avversione agli onori,
dimostrata rifiutando il seggio al parlamento ed il titolo di barone
offertogli dopo la grande invenzione, sul suo animo altamente benefico e
poco bramoso di ricchezze e denaro. Ma la materia principale del libro è
fornita dal fatto stesso della scoperta, dalle applicazioni pratiche cui
essa si prestava e da numerose considerazioni che ne valutavano l' immensa
importanza.
Fra gli
apprezzamenti di Saredo sul memorando avvenimento non citerò che il
seguente, col quale terminerò pure questa rassegna libraria, per riprendere
la narrazione della vita del nostro professore da Parma alle altre città.
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lo credo
che una delle ragioni più vere sia stata invece quella di non suscitare
nuove invidie e gelosie nel campo professorale.
L' origine della carriera universitaria del «senza studi regolari e del senza lauree e diplomi» era ancor troppo recente e forse troppo avversata; non era ancor giunto quindi il momento di chiamarlo alla capitale. Non riesco perciò a comprendere come mai si sia potuto pensare che il Lanza l' abbia ritenuto indegno di quel posto, e non vi riesco tanto più se rifletto che sei anni dopo, proprio sotto di lui Lanza, non più fuori del Ministero ma Presidente del Consiglio dei Ministri, lo stesso Saredo venne eletto ed insediato professore di legge nell' Università di Roma, appena appena proclamata nuova capitale d' Italia. Ma se fu annullato il decreto di nomina per Firenze, ebbe invece qualche tempo dopo, pienissimo effetto un altro decreto promovente Saredo dall' Università di Parma a quella di Siena. Essa era stata ricostituita colle facoltà di teologia, giurisprudenza, medicina e chirurgia in forza del decreto-legge del 31 Luglio 1859 ed in essa il Saredo fece il suo ingresso come professore ordinario (1), per insegnarvi nei quattro anni di permanenza, dal 1866 al 1870, diritto civile e filosofia del diritto. Anche a Siena, per la vasta dottrina, per la limpidezza d'espositiva e per il conversare erudito e brillante, esercitò grande fascino sugli studenti e sul corpo insegnante, dal quale, verso il 1869, venne creato Preside della facoltà legale. Vi godette la stima ed amicizia di famiglie distintissime, come quella dei Tolomei (2) e fu apprezzato dalla società degli intellettuali innanzi a cui tenne conferenze, due delle quali vennero pubblicate dal Treves nella collezione «La scienza del popolo». (3)
Nè lasciò
inoperosa la penna, che spinto dalla bramosia del giornalismo e dello
sviscerare questioni giuridiche, preparava quasi ininterrottamente scritti
per il giornale «La Legge», di cui prima fu collaboratore e redattore
responsabile e, poi nel 1871 ne divenne direttore; e provvedeva a
pubblicazioni per il popolo con opuscoletti speciali come: «I doveri dell'
uomo, - I doveri del cittadino - e - La libertà nella difesa delle cause
penali» e «Dello sviluppo della personalità umana nella società moderna». E
pubblicò pure un corso di lezioni fatte all' Università, collegandole in un
«Trattato di diritto civile italiano» il primo volume del quale (di circa
600 pagine) uscì nel 1869 ed il secondo era annunziato di prossima
apparizione.
E la ragione per cui non si stampò penso che debba ricercarsi nel passaggio del nostro professore, avvenuto in quella epoca, dall' Università di Siena alla Sapienza di Roma.
La
trattazione del primo volume riguarda le leggi in generale, la cittadinanza
e i diritti civili, il domicilio e la residenza, la parentela, l’affinità,
il matrimonio e la separazione. (4)
L.
Scampolo, professore di diritto civile all' Università di Palermo,
occupandosi di esso lo chiama uno dei migliori manuali del codice civile
italiano (5) quantunque vi scopra qualche menda, specialmente nei richiami
all' antica legislazione delle Due Sicilie. Io però devo segnalarvi errori
assai più gravi, dei quali si parlerà più a lungo in altro capitolo e che
toccano le dottrine della Chiesa e la santità del matrimonio.
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CAPITOLO IV
PROFESSORE A ROMA
capitale dei regno italiano, adunandovi a poco a poco le sedi centrali delle varie amministrazioni di stato e le direzioni delle forze intellettuali, giuridiche, morali e militari della nazione. Vie, piazze, palazzi, uffici, scuole presero nomi nuovi e nuove destinazioni: e l' istituto della Sapienza, creato nel 1303 dal pontefice Bonifacio VIII e diretto, (attraverso vicende secolari) da maestri di ordini religiosi per la diffusione delle scienze e verità cattoliche, subì anch' esso una radicale metamorfosi, sia nel corpo insegnante, che nello spirito delle cose insegnate, sostituendovisi ai maestri religiosi, quelli laici, e trasformandolo da Università cattolica, in Ateneo nazionale.
Tra i nuovi professori, come si disse, v'
entrò pure Saredo, il quale, in sue poesie, dopo aver ricordato che E gli si può prestare fede, essendo stato davvero un lavoratore indomito, uno studioso insaziabile ed un esecutore costante del proprio dovere, qualità ben note tutte a Cesare Correnti e Quintino Sella, ministri allora della pubblica istruzione, coi quali era stato in ottimi rapporti e col Sella, in modo particolare, aveva avuto lunga, cordiale e importante corrispondenza epistolare. (2) Avendo inoltre io chiesto a S. Ecc. Boselli, stato egli pure, dal 1872 al 1874, professore alla Sapienza, insegnandovi scienza delle finanze, se le ragioni per cui Saredo venne chiamato a Roma furono più d' ordine politico che scientifico, mi rispose assolutamente di no, perchè Saredo non era mai stato un agitatore o settario o uomo di azione, ed aggiunse che la di lui nomina si dovette unicamente al riconoscimento del suo valore scientifico e giuridico.
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«II sottoscritto,
divenuto proprietario della «Legge», è lieto di annunziare agli abbonati e
lettori di questo giornale che ne ha affidato la direzione tanto della parte
giudiziaria quanto della parte amministrativa agli egregi e valenti
giureconsulti avv. Emidio Pacifici Mazzoni, professore di diritto civile
pubblico nella R. Università di Roma ed avv. Giuseppe Saredo professore di
diritto pubblico interno nella stessa Università. Fino dai primi mesi, assieme alla condirezione, Saredo assunse la responsabilità della pubblicazione di fronte alle leggi, poi ne divenne proprietario e direttore esclusivo, rimanendolo per circa trent' anni.
Sotto di lui, che l' aveva definita: «un vero
e completo giornale teorico pratico della dottrina e giurisprudenza
nazionale» la «Legge» acquistò nuovo impulso ed era considerata, come mi
affermò l' on. Boselli, quale periodico giuridico di prim' ordine.
In essa si riproducevano, e spesso con note e
commenti, le sentenze delle Corti di Cassazione e d' Appello e di altri
tribunali, i pareri del Consiglio di Stato, le decisioni della Corte dei
Conti, gli atti del Governo, la giurisprudenza parlamentare, i testi di
leggi e decreti in materia civile, penale, commerciale, amministrativa e
finanziaria; si trattavano argomenti e questioni d' ogni ramo del diritto,
dal privato al pubblico, dal civile all' ecclesiastico, dal romano al
moderno, dal nazionale allo straniero; vi si raccoglieva una copiosa e
dettagliata bibliografia delle opere giuridiche che, a volta a volta, si
pubblicavano ; e vi collaboravano penne come quella del Fiore, Lucchini, Mattirolo,
Scialoia, Vidari, bastevoli, da sole, a dir quanta fosse l'
importanza e il valore della rivista.
Gli articoli di commento, le note polemiche,
le recensioni di libri e gli studi di Saredo, molti dei quali potrebbero
chiamarsi veri trattati, sono numerosissimi e sui più svariati argomenti
legali, e da essi è svelata la versatilità del suo ingegno, l' abilità d'
impostare le questioni e l' abituale preparazione ad ogni cimento. In quei duri frangenti ebbe la felicissima sorte di vedersi confortato da autorevoli personalità politiche, alle quali era legato da vincoli di vera amicizia, e prima tra esse il prof. Francesco Ferrara, ex ministro delle Finanze. Questi gli offerse tutto il suo appoggio, dissuadendolo dall'idea di lasciare Roma, e proponendogli, nel caso che avesse persistito nel proposito di allontanarsi dalla capitale, di farlo nominare professore di Economia politica a Venezia, oppure di fargli affidare, d' accordo con Rattazzi, la direzione d' un nuovo grande giornale. (2 ) Quanto durò l' intima lotta? Quali e quanti furono gli avversari del nostro professore? E per quali ragioni egli dovette soffrire? Nulla di tutto questo ci è noto; ci consta solo che, dopo un' alternativa di incertezze e speranze, di afflizioni e conforti, non si mosse da Roma, continuando ad insegnare alla «Sapienza» fino al 1879, anno in cui ricevette dal Presidente del Ministero, Agostino De Pretis, la nomina a Consigliere di Stato, carica incompatibile, allora, con quella di insegnante universitario. In nove anni svolse successivamente all' Ateneo romano corsi di legge, di procedura civile e ordinamento giudiziario, di diritto pubblico amministrativo e di diritto pubblico interno, corsi che, come aveva fatto per quelli di Sassari e Siena, pubblicò poi in interessanti volumi, mietendo lodi ed onori anche fuori del campo scolastico.
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1° «Saggio sulla storia del diritto
internazionale privato» volume di oltre 100 pagine, che l' autore presenta
come l' introduzione storica alla parte del suo studio sui conflitti delle
leggi, che fa parte del «Trattato delle leggi» di cui si parla appresso. 2°
«Trattato delle leggi, dei loro
conflitti di tempo e di luogo e della loro applicazione. - Commentario
teorico pratico del titolo preliminare del codice civile e delle leggi
transitorie per l' attuazione delle leggi vigenti». 3° «Istituzioni di
procedura civile, precedute dall' esposizione dell' ordinamento giudiziario
italiano».
Alle opere surriferite
vanno aggiunte, quantunque meno voluminose e di carattere meno generale, le
seguenti lodate anch'esse per utilità pratica e ricchezza di dottrina:
«Ma l' attività di Saredo scrittore, a Roma,
non si ridusse alla direzione della «Legge» ed ai libri d' insegnamento
universitario or ora nominati ; essa produsse parecchi altri lavori d'
indole legale, amministrativa e politica, dei quali però sarà più opportuno
far cenno ove si tratterà dell' operosità politica del nostro protagonista. Riprodotte così, a rapide pennellate, in questo e nel precedente capitolo, le varie fasi ed aspetti della vita del professore e scrittore, diamo ora, a necessario compimento dei capitoli stessi, uno sguardo alle sue idee sull' insegnamento superiore e le norme regolatrici delLa pubblica istruzione nel regno.
Forse, come moderò col tempo altre sue
opinioni, modificò anche la sua rigidezza attorno a questo argomento, nel
quale giungeva perfino a patrocinare massime ritenute oggi strane e
contrarie a ciò che si pratica in ogni paese civile, quali sono quelle con
cui si dichiarava - per eccessivo rispetto alla libertà d' insegnamento -
contrario all' istruzione gratuita concessa dallo stato ed all'
obbligatorietà d' insegnamento, (1) sancita dai governi. Secondo lui, il problema dell' istruzione è un affare dei privati e lo Stato non deve ingerirvisi che incoraggiando allo studio o aprendo sue scuole, in nobile concorrenza a quelle dei cittadini, ma non può pretendere il monopolio scolastico. «Nello stato attuale di cose - scrive Saredo nel 1862 - la regola è il monopolio governativo; l' eccezione è la libertà. In un governo schiettamente costituzionale la regola è la libertà e l' eccezione è l' ingerimento governativo...». «In uno stato realmente liberale tutti i cittadini hanno diritto di insegnare, meno il governo, e per governo intendo i Comuni, le Provincie e lo Stato. La prima condizione dell' insegnamento si è di essere atto ai bisogni individuali di ciascun cittadino. Le scuole sono mezzi: i cittadini il fine. Ciò posto, chi è il giudice competente dell' istruzione che gli occorre? L' individuo privato. Lasciatelo dunque libero di scegliere il maestro, fissare il prezzo, il luogo, il genere che vuole purché non faccia male a nessuno. Il governo non s' intende in nessun modo dei mille e diversi bisogni dei mille e diversi cittadini; e la prova si è che insegna le stesse cose al figlio del ricco come al figlio dell'operaio, all' ingegnere come al futuro impiegato». (2 ) E più sotto aggiunge:
«Non v'è paese in cui gli studi fisici e matematici siano tanto indietro
come in Italia e abbiamo diciotto o venti Università mantenute e pagate dal
pubblico erario. Non v'è paese in cui questi stessi studi siano più
popolari, più diffusi e più progressivi che negli Stati Uniti; ma il
governo non se ne mischia e lascia il tutto all' iniziativa dei privati».
(3)
Domandandosi poi che cosa dovrebbero fare i
Comuni, le Provincie e il Governo, risponde appunto che essi dovrebbero
adoprarsi a favorire l' istruzione incoraggiando le iniziative private,
impiegando con sagace sapienza i «molti fondi che hanno a loro
disposizione, risultanti da lasciti fatti con lo scopo preciso di essere
consacrati alla pubblica istruzione e mantenendo un dato numero di istituti
propri», i quali servano a una vicendevole gara colle scuole dei liberi
cittadini nell' interesse della cultura, a preparare individui specializzati
per il disimpegno di uffici e missioni strettamente collegate e dipendenti
direttamente dallo Stato e dalle pubbliche amministrazioni.
Nei «Principi di diritto costituzionale»
sviscera a fondo la questione della libertà d' insegnamento consacrandovi
una cinquantina di pagine, combattendo i sistemi che la avversano,
prospettandosi le più disparate obbiezioni, cui risponde con eruditi e forti
argomenti.
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Nel volume su «Marco Minghetti», dopo aver ricordato che quest' eminente uomo di Stato non
possedeva alcuna laurea e che di ciò s' era vantato in Parlamento, e dopo
aver chiamato le lauree un vincolo con cui gli Stati europei inceppano la
libertà di lavoro, dice: «intendiamo di protestare contro lo assurdo
principio in virtù del quale si fa di questi titoli (lauree e diplomi ecc.)
una condizione indispensabile all' esercizio di certe professioni». E nei «Principi di
diritto costituzionale» accennando alle condizioni della pubblica istruzione
in Italia scrive: «E' ben vero che il governo dà patenti, diplomi e permessi
a coloro che glieli domandano sottoponendosi alle condizioni che esso
impone. Ma se voi siete povero, se non potete sopportare le spese che sono
richieste dagli anni di studio fissati dalle leggi; anni di studio che
devono essere fatti nelle città indicate e sotto professori privilegiati
dalle leggi; se non potete pagare le tasse... voi non potete ottenere la
facoltà di guadagnare il vostro pane coi vostri sudori, col vostro ingegno,
colle vostre cognizioni, e se vi permetteste di commettere un' azione così
rea, la forza pubblica interverrebbe per mettere all'ordine la vostra
temerità... Sì, parrà incredibile, e pure è vero: in pieno secolo decimonono, sotto un governo costituzionale, se rivivesse Dante Alighieri non
potrebbe dar lezioni pubbliche di letteratura...». E perchè? Perchè, spiega
Saredo, «a nessun insegnamento è considerato onesto e buono se non è dato
nelle scuole del governo, da uomini del governo, sotto la guarentigia del
governo». (1) Nonostante queste teorie così radicali in favore della libertà d' insegnamento e così ostili alle scuole e lauree ufficiali, il nostro professore dal 1858 insegnava in istituti del governo ed a nome del governo e dal 1863 era fregiato di laurea. Le circostanze ed i tempi richiedevano così !
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Criticò aspramente da illuminato precursore
dei nostri tempi, l' impotenza del Parlamentarismo nelle materie
scolastiche, dimostrata da un cinquantennio di discussioni e progetti senza
che si fosse saputo adattare alle nuove esigenze la legge Casati del 1859.
(Il lamento di Saredo risale al 1901). (1) Deplorò il triste
spettacolo offerto, per decenni, dai partiti politici, serventisi della
leggi sull' insegnamento come di palio per le loro competizioni e battaglie.
«Si direbbe - esclama - che le materie della pubblica istruzione abbiano il
privilegio di eccitare le passioni e le preoccupazioni di tutti i partiti i
quali non potendosi accordare nel fare, concordino nell' impedire che si
faccia.» (2)
Biasimò severamente il continuo roteare di
decreti, circolari e prescrizioni delle varie autorità, circa l'
ordinamento scolastico, che lontane dal condurre ad unità armonica,
creavano invece confusioni e incertezze ; ed insorse contro le false
interpretazioni ed applicazioni delle leggi e regolamenti. «Non ultima
causa dei mali - egli dice - che affliggono le Università (e le altre
scuole) è appunto il non aver mantenuto integre le disposizioni della legge
e il non aver saputo applicare nè quelle nè le nuove». (3) Disapprovò le frequenti sostituzioni dei ministri, fra i quali non pochi furono inetti, ed i guai che ne derivavano nelle nomine, destinazioni e graduatorie dei professori, le quali risentivano delle inclinazioni personali ed idee politiche del ministro : «Ogni ministro che viene - afferma Saredo - sente il bisogno di unire il suo nome a qualche grande riforma legislativa, la quale consiste generalmente nello stringere sempre più la catena che vincola l' insegnamento...». «Un ministro della
pubblica istruzione giudice autorevole e supremo dovrebbe essere una mente
enciclopedica. Scippiamo però che di queste menti non ve ne sono, ed è
molto quando colui che siede alla direzione del pubblico insegnamento è un
uomo autorevole in qualche campo dello scibile umano; abbiamo veduto anche
dei ministri così ignoranti e meschini da meritare l' epigramma di quello
scrittore francese, il quale diceva che quando si vuole impiegare uno che
non è buono a nulla bisogna farne un ministro della pubblica istruzione».
(4) Ma sempre e sopratutto, come dichiarai, propugnò la più ampia libertà d' insegnamento, proclamandola anche il rimedio più acconcio e salutare a tutti i mali dell' istruzione statale: «L' unico rimedio efficace - scrive - per guarire tutti questi danni (dell' istruzione impartita dallo Stato) ce lo ha indicato Camillo Cavour: è l' abolizione di questo dicastero (dell' istruzione) e l' attuazione piena e leale della libertà d' insegnamento». (6 ) Avversando le scuole di
Stato, l' insegnamento gratuito e quello obbligatorio egli fu ben lungi dal
contrariare, come potrebbe supporre taluno, il diffondersi dell' istruzione
e cultura nel popolo. «E' egli a dire - esclama infatti - che io sia nemico
dell' istruzione? Che io non voglia vederla diffusa nelle classi più modeste
del civile consorzio? Sarebbe un fraintendere stranamente il mio pensiero».
(7) Ma la voleva non imposta come il servizio militare od un odioso bargello, bensì libera e bramata dai cittadini, come frutto spontaneo dell' iniziativa privata e come una delle spinte migliori allo sviluppo della personalità umana.
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Un'eloquente riconferma di ciò ci è esibita dal discorso, che fece inaugurando, qual primo presidente, il Circolo giuridico di Roma, (1) nel quale afferma la necessità che fresche e robuste intelligenze si dedichino a studi, monografie ed altre opere, che, sviscerando le dottrine del diritto, liberino dai molti difetti e lacune le leggi esistenti e preparino norme e sanzioni più conformi a giustizia e verità : «Le regole del diritto - ecco alcune delle sue parole - sancite nelle legislazioni non sono che le conquiste successive laboriosamente ottenute, ma incomplete sempre, della scienza e della civiltà; spesso in una imperfetta disposizione legislativa è contenuto il germe di un nuovo vero giuridico, onde la necessità di un' opera incessante per avvicinarsi sempre più a quelli alti ideali di verità e di giustizia che sono la irrequieta e nobile aspirazione della società umana».
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Il brano che riproduco fu pronunziato da
Saredo quasi settantenne, vent' anni dopo aver lasciate le lezioni
ordinarie alla Università. Ringraziati i presenti per il loro intervento
alla cerimonia inaugurale del Circolo, egli continuò: «Sento il bisogno di
dire quanto io sia stato commosso e, noi nascondo, orgoglioso del suffragio
che mi ha chiamato a questo seggio. Ho pensato, nè credo di errare, che la
precipua ragione di tanto onore io la debbo ricercare nel fatto che tra i
promotori di questo circolo figurano i nomi, a me ben noti e cari, di
antichi discepoli, che mi riconducono al tempo indimenticabile della mia
vita universitaria, e non hanno cessato di salutarmi col titolo, più d' ogni
altro a me gradito, di professore: certamente del loro professore essi hanno
parlato con memore benevolenza agli amici e colleghi e così avvenne che si è
raccolta quella lusinghiera dimostrazione che sarà uno dei più preziosi
ricordi di mia vita». Quante suggestive
memorie e quanta eloquenza di vita in pochissime frasi! Vi risorge con
tutto l'entusiasmo e passione lo antico maestro, che dimentica volentieri
ogni altro titolo e grado, anche quello di Senatore e Presidente del
Consiglio di Stato, per non gloriarsi che del nome ed ufficio con cui sacrò
vent'anni della sua migliore esistenza alla scuola.
E quanto ambisse potentemente l' onore e l'
esercizio del professorato lo dimostrò adornandosi l' animo d' una dottrina
ed erudizione vastissima, difficilmente reperibile in altri, acquistata da
lui con studi profondi, diurni e notturni, su autori antichi e moderni, su
testi latini, italiani, francesi, inglesi e tedeschi. Erudizione che
profuse nelle sue mirabili lezioni aventi il segreto, sviscerando e
trattando anche ardue e sterili questioni, di renderle piacevoli e facili
agli uditori. (1)
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*** Terminando il capitolo secondo, osservai che la produzione poetica di Giuseppe Saredo rappresenta una semplice parentesi nella sua multiforme ed incessante operosità ; concludendo ora il presente; nel quale, come nel terzo, si passò in rassegna la sua attività di professore e scrittore, non solo è necessario riconoscere che essa occupò una parte importantissima della sua brillante carriera, ma che la sua opera di apostolato delle scienze giuridiche, sia a viva voce che colla penna, fu sì intensa, vasta, feconda e diligente da bastare da sola ad immortalare il nome di un uomo e rendere famosa la terra che gli diede i natali. ***
RICORDO DI UN ALLIEVO Tratto da un articolo apparso sul Resto del Carlino il 27 Novembre 1932 a firma di Filippo Crispolti
Rimontiamo a più di cinquantacinque anni addietro. Agli studenti delle Università minori i nomi dei professori dell'Università romana giungevano circonfusi d'un singolare prestigio, e per la facoltà di giurisprudenza, il nome particolarmente di Giuseppe Saredo, i cui libri, di varia materia giuridica, ottenevano molta diffusione,vivaci, limpidi, sensati com'erano.
Così,
nel lasciar io l'Università di Modena per iniziare il terz'anno di legge
in
quella di Roma, il professore di cui
avevo maggiore curiosità era appunto
lui,
insegnante di procedura civile.
Sento
alle mie spalle la voce d'un uomo
maturo che risponde:
* * *
Ecco
perché, nel primo centenario
della sua nascita (16 settembre 1832
'932), la
lucida, ampia, documentata
biografia di lui che vien pubblicata
dal chiaro
concittadino, il savonese
prof. D. Ambrogio Casaccia con forte
prefazione
del Podestà di Savona, generale marchese Assereto, non soltanto
m'apparisce come un bel contributo
alla storia locale e italiana, ma mi reca
la commozione di veder rivivere la
figura d'un uomo insigne, che in tanta
differenza
d'anni e di gradi si compiacque sempre di chiamarmi amico.
sua Luisa dette di sé una prova ben più rara: rifiutare parecchie volte di diventar ministro, perché l'orario del dicastero gli avrebbe tolto la libertà d'assisterla.
* * *
In Savoja nel 1860 ecco sopraggiungergli una fortuna insperata. Privo di studi regolari e di laurea è destinato alla facoltà giuridica dell'Università di Sassari.
Terenzio Mamiani, ministro
della P. I, nei giorni stessi in cui
sbalzò Giosuè Carducci da maestro di
ginnasio
alla cattedra di letteratura
italiana nell'Ateneo bolognese, si valse del famoso
articolo 69 per far fare al
Saredo un salto anche maggiore.
Infatti
questi non cambiava soltanto sede e grado, bensì materia d'insegnamento.
Attraverso
ad una giovinezza così avventurosa, da parer talvolta zingaresca,
non solo riesce un lavoratore improbo — l'elenco delle sue moltissime
pubblicazioni spesso voluminose lo
dice — ma sopratutto ordinatissimo. Diano aria alla mente svagandola con interessamenti svariati, sia pur secondari.
Poeta prima
ancora che nei versi,
nei sentimenti fondamentali, acquista
uno spirito pratico e positivo, da far
credere talvolta che le idealità gli sembrino un perditempo.
Il suo
liberalismo, anzi liberismo, era stato tanto assoluto, da non
vedere nello Stato se non il guardiano
agnostico dei diritti degli individui,
con tutte le conseguenze che in ispecie
nella politica ecclesiastica avrebbero
fatto torto al carattere e alle ragioni
della Chiesa, dalla quale, lasciata
la casa paterna, si era anche
privatamente straniato.
* * *
Come pian
piano l'aspetto della
realtà sociale lo modificasse, se n'ebbe una prova nel favore con cui
prese a
guardare e cercò di contribuire, vivente ancora Depretìs, alla
Conciliazione,
piuttosto temuta che vagheggiata un tempo.
Ma scrive:
«Come a quest'ora saprai, il
Ministro
Di Rudinì mi ha offerto il Ministero
di Grazia, Giustizia e Culto; non
ho creduto
di poterlo accettare per il
mio dissenso
da lui circa i rapporti fra
l o
Stato e la
Chiesa. Egli crede necessaria
una politica di rigore verso la
Chiesa,
nella quale vede una nemica
implacabile
dell'Unità nazionale e della
Monarchia.
Ma un'altra
bella singolarità ebbe il
Saredo.
1. GIUSEPPE
SAREDO - BIOGRAFIA
3. IL
CREDO POLITICO
- SAREDO LIBERALE E MONARCHICO
4. TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIONE
5. L'INFUENZA POLITICA E LA QUESTIONE ROMANA
http://www.tesionline.it/consult/pdfpublicview.asp?url=../__PDF/4655/4655p.pdf http://www.polistampa.eu/public/images/caffem33.pdf
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