Ignaz von Döllinger
By Franz S.von Lenbach
Düsseldorf,Kunstmuseum
|
||||||
SENATORE GIUSEPPE SAREDO |
||||||
+ Filosofia e Religione |
||||||
DOCENTE UNIVERSITARIO - GIURISTA - CONSIGLIERE DI STATO |
||||||
|
||||||
TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIOSE |
+ Schede dei Licei di Savona | |||||
CAPITOLO VI TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIOSE
PIU' CHE UN ABBOZZO
Chi volesse lo schizzo di Giuseppe Saredo, illuminato sul suo
sfondo religioso, sarebbe presto appagato. Verso il 1870 aderì all'eresia e ribellione dei vecchi cattolici, incorrendo nella scomunica, da uomo politico favorì la libertà della religione, ma, per lunghissima pezza, non osservò le pratiche della fede e del culto; chiuse la sua esistenza cristianamente confessato e pentito fra le braccia d'un Vescovo.
Un sì scheletrico profilo non accontenta certamente la
legittima curiosità del lettore, ne è sufficiente allo scopo che ci siamo
prefissi.
_____________________________
Dottrine consimili, quantunque continuasse a definire, colla formola biblica, Iddio per «Colui che è», ossia l'essere reale, sussistente, esistente per essenza, ed ammettesse che la religione cristiana era la più perfetta, Saredo le insegnò da professore e le pubblicò fra i suoi scritti.
A giudicare dalle sue parole, anche per lui, la religione non
consisteva più nel «rationabile hominum erga Deum obsequium» (1) o
nella «volontaria dipendenza dell'uomo da Dio» (2) ma doveva
ritenersi come un puro sentimento naturale ed un bisogno dello spirito
umano.
Ma udiamo le sue parole:
«Questo modo di considerare la religione, che appartiene
più specialmente alla democrazia, è però più diffuso che non si pensi.
Eppure esso è in contraddizione colle leggi più evidenti della nostra natura».
Rifiutata così una tal maniera di pensare, continua: «Lo
studio delle facoltà umane ci presenta un fatto universale, costante e
perpetuo, ed è che accanto al sentimento, all'intelletto ed al volere esiste
in noi una quarta potenza che agisce: è la religione o la religiosità. Essa
è una categoria o una forma essenziale dello spirito umano. Solamente
un'analisi incompleta delle potenze naturali dell'uomo ha condotto alcuni
filosofi a considerare la religione come un frutto dell'infanzia dei popoli
e degli individui, destinata necessariamente a perire sotto i colpi della
ragione e della civiltà». (3)
Non sembra avere tra le mani pagine d'un precursore delle
teorie dell'immanenza e del modernismo? La religione in esse non viene
delineata come un insieme organico di verità da credersi e praticarsi,
emananti dalla rivelazione d'un Essere a se, superiore e creatore delle
facoltà umane, dal quale queste devono dipendere ed il quale devono
sottomettersi. Ma viene designata quasi come un parto dell'immaginazione
umana, senza fondamento in una realtà esteriore all'uomo, o peggio, come il
frutto necessario e ineluttabile d'un istinto o come una potenza innata
nello spirito, l'operazione ed il termine della quale sono indubbiamente
soggettivi, risentendo dell'indole, tendenze e disposizioni dell'individuo
cui la potenza appartiene.
E' vero, si, che per comprovare che la religione è necessaria
e che «non può perire» afferma: «che non v'è una sola delle nostre
facoltà - sentimento, intelletto, volere - che... non tenda ad un bene
straniero e superiore ai bisogni della vita»: (4) ma invece di farvele
tendere per riconoscere, dar gloria e onore all' Ente superiore, ve le fa
convergere «per trovare il proprio compimento» ossia il famoso «sviluppo
della personalità umana», che per lui è principio e fine dell'uomo.
E che, «almeno a parole», egli riduca l'idea di Dio
quasi all'effetto d'un impulso naturale dell'uomo o come il logico effetto
d'un sentimento dell'animo, ce lo prova il passo seguente: «L'impulso che
proviamo, il sentimento che ci guida è ciò che chiamiamo religione: l'ideale
supremo che contempliamo, che aspiriamo a raggiungere, è Dio».
«Ciascun uomo ha la sua propria religione, ciascun uomo ha
il suo proprio Dio; perchè ciascun uomo prova in modo distinto e proprio
l'impulso
Alle quali espressioni di sapore Kantiano possono aggiungersi
pur queste, ove ribadisce il concetto che la religione, quantunque più
elevata e più nobile, è una facoltà come l' intelletto, il sentimento e il
volere:
__________________________
PROVVIDENZA E RIVELAZIONE
Egli nega, non solo implicitamente, ogni intervento
provvidenziale nello sviluppo e perfezionamento della civiltà, ma afferma
che «principio e fine del progresso è l'uomo» e che l'uomo come i
popoli non hanno «bisogno di una rivelazione,di una grazia speciale, o di
una direzione provvidenziale per raggiungere il loro bene». (1) Per lui, il progresso è opera dei popoli, e si compie così: i popoli sono formati da individui, i quali tendono naturalmente al bene, a perfezionarsi; più questi si perfezionano più i popoli progrediscono; e quel popolo che possiede maggior numero di individui perfezionati è il più progredito.
E sta bene!
Non insisterò molto sull'esclusione che egli fa d'ogni
elemento sovrannaturale dalla nozione di diritto avendone già discorso
altrove. Mi limiterò a rilevare la contraddizione, in cui lo fa cadere sopra
questo punto, la scuola liberale cui apparteneva.
Se egli ammette - e l'ammette, come vedremo - che esiste un
Dio Creatore e che esistono leggi naturali, superiori ed indipendenti
dall'uomo, che l'uomo conosce ed alle quali devono conformarsi le leggi
positive, per essere buone: (2) come può, determinando la nozione del
diritto, non tener conto di Colui che del diritto pose i germi nell'anima
umana e lo scolpì nelle leggi naturali?
Contraddizione strana, analoga ad innumerevolissime altre
cosparse nei sistemi di non pochi liberali, come ad esempio quella di coloro
che decretando che il sovrano deve regnare «nel nome di Dio e per volontà
della nazione» non vogliono poi che Iddio abbia a regnare nelle leggi
civili e quindi nella società; o quella di coloro, che proclamando la
libertà d'insegnamento, la distruggono poi, piuttosto che lasciarla godere
ai preti e frati; o di coloro che riconoscendo il diritto di proprietà ed
associazione per tutti, lo sopprimono poi per la Chiesa e gli ordini
religiosi. Saredo che seppe trionfalmente resistere a numerosissime di tali contraddizioni liberali, in qualcuna però soccombette: come, ad esempio, in quella più sopra citata.
_______________________
«Spaventati - aggiunge - da fenomeni di cui non conoscono
il significato, accasciati dalla coscienza della loro debolezza, dominati
dal sentimento che opera potentissimo in loro a danno della ragione,
circondati da una natura ostile e selvaggia, si capisce che i popoli incolti
si abituano a vedere una divinità presente in ogni forza naturale, e che ai
sacerdoti di queste divinità attribuiscano uffici, mandati e poteri
straordinari». (2) Ricusa di accondiscendere alla odiosa insinuazione di quelli scrittori, che attribuiscono la fortuna della teocrazia «all'astuzia della casta sacerdotale» ed esclama: «Nulla di più falso. La causa vera di questo predominio bisogna cercarla nell' energia del sentimento religioso dei popoli e nei servigi che la teocrazia più illuminata, più istrutta rendeva loro».
E qui, riferendosi in particolare al Cristianesimo, enumera i
benefici da esso apportati alla società e per i quali l' Europa potè entrare
«nella via che doveva condurla allo stato nel quale ora si trova».
Ma poco appresso ripiglia il tono sfavorevole alla teocrazia,
osservando che se essa «è efficace e benefica nel periodo genesiaco delle
nazioni, quando essa le addestra ed abilita a correre i primi arringhi
civili, non così può avvenire quando il perfezionamento successivo della
vita sociale sopraggiunge a creare nuove condizioni, nuovi bisogni, nuovi
interessi, a soddisfare i quali nessuna religione, non escluso il
Cristianesimo, può prestarsi senza snaturare la propria indole ed il proprio
mandato». (3)
Non si esigono grandi sforzi per indovinare che uno dei
moventi dello scrittore, nell'assalire così serratamente i governi
teocratici, dev'essere stato quello di colpire il potere temporale dei Papi:
e su ciò non può nutrirsi alcun dubbio, non avendo egli stesso, subito dopo,
esitato a confessare: «Il secolo decimonono è, a mio avviso, destinato ad
assistere all'ultimo periodo ed alla caduta definitiva della teocrazia, nei
due soli paesi in cui esiste tuttora in Europa: Roma e Costantinopoli».
Questa confessione, lumeggiata dalle asserzioni precedenti
dello stesso Saredo, diventa eloquentissima, rivelando lo spirito
informatore dei suoi giudizi intorno ai sistemi teocratici e ci dispensa dal
trattenerci ad esaminare partitamente i non pochi giudizi discordi dalle
dottrine cattoliche e le frasi ed affermazioni inesatte, che, nei periodi
surriferiti son contenute. Noterò ancora, a proposito dei regimi teocratici, che egli non s'arrestò ad osteggiare il monopolio scolastico da essi affidato a Congregazioni religiose, ma s'aggregò a coloro che vollero ed ottennero da governi non teocratici l'abolizione dell'insegnamento della teologia nelle Università, col pretesto ch'essa inceppava la libertà di coscienza. (5)
______________________
La sua aperta ed incontrovertibile professione di fede
divorzista risale al 1869 ed è scolpita ripetutamente nel «Trattato di
diritto civile». (1)
Quando invece esso divenne argomento, specialmente per opera
del radicalismo, del socialismo e di tutte le democrazie anticlericali, di
possibili riforme legislative, Saredo aveva mutato opinione, diventandone
coraggioso avversario.
La ragione, che nel «Trattato di diritto civile» aveva
addotta come sufficiente a giustificare il divorzio era l'identica, che
prima e dopo di lui, venne sfruttata da tutti i nemici dell'indissolubilità
familiare e che può riassumersi in questo sillogismo: ogni contratto
fatto tra persone libere può scindersi dalle stesse; ma il matrimonio è un
contratto di persone libere: dunque esse possono scinderlo.
Ma, come quasi tutti i fautori del divorzio, egli non
rifletteva che se il matrimonio è un contratto, lo è in modo ben diverso
dagli altri e che quindi non poteva paragonarsi ad essi in quanto alla
durata e rescissione.
L'evoluzione sarediana da divorzista ad antidivorzista si
operò lenta o subitanea?
________________________
E fra gli interpreti ed esaltatori di questa giurisprudenza e legislazione noncurante, nel campo legale, delle nozze religiose militò pure Giuseppe Saredo, nonostante ch'egli si fosse sposato cristianamente e riconoscesse a tutti, come individui e non come cittadini, il diritto di sposarsi innanzi all'altare.
A dire il vero egli, in teoria, sarebbe stato favorevolmente
propenso al sistema del matrimonio facoltativo, (1) al sistema cioè vigente
attualmente fra noi, per il quale viene dallo Stato riconosciuta la validità
tanto del rito religioso che di quello civile, a seconda che gli sposi
preferiscono pronunziare il sì in chiesa od in comune.
Ma, in pratica, stava attaccatissimo alla lettera del Codice
italiano, che non ammetteva alcun valore legale al matrimonio ecclesiastico.
E ripetute volte s'accese di sdegno, scattando contro i magistrati, che,
come quelli di Napoli, attribuivano efficacia legale alle nozze religiose
anche dinanzi al foro civile. (2)
A quei tempi si dibatteva vivamente la questione della
validità, dinanzi alle leggi italiane, del matrimonio in cui uno dei
contraenti fosse un sacerdote od ma persona stretta da voti religiosi
solenni; e nel giugno del 1871 la suprema corte di Napoli sentenziò che i
voti d'un prete costituiscono vero impedimento al matrimonio civile. Saredo che già nei «Principi di diritto costituzionale» aveva negato che i voti religiosi abbiano forza di impedimento civile (3) nel «Trattato di diritto civile» (vol. 1 p. 377) aveva insegnato la medesima cosa, insistendo che «ubi lex voluit, dixit», ossia che la legge civile non riconosce tali impedimenti, perchè non parla di essi.
Appresa la sentenza di Napoli pubblicò contro di essa un
lunghissimo articolo per sostenere la validità del matrimonio, che essa
aveva annullata, ed adoperando il frasario liberale dei tempi, ravvisò in
quella sentenza «pericoli minacciati allo Stato, alle civili libertà,
alle guarentigie essenziali del nostro diritto pubblico». (4)
Ma, pur carezzandone ed avvalorandone molti, egli non
soggiacque a tutti i pregiudizi e falsità dei liberali contro il matrimonio
cristiano, e sovratutto non si macchiò dell'illogicità di coloro che nel
medesimo tempo negavano e riconoscevano, un tal matrimonio, strombazzando ai
quattro venti che esso non doveva esistere per la legge italiana, ma che la
legge italiana doveva impedire che si celebrasse prima di quello civile.
Saredo infatti - dato che la legge non doveva immischiarsi
nei matrimoni religiosi - non fece una vera e propria questione di
precedenza, ma approvò incondizionatamente il disposto del Codice perchè non
conteneva alcun «precetto relativo all'anticipazione o posticipazione
della solennità civile o ecclesiastica». (5) E qui si mostrò simpaticamente consono ai principi, che, come or ora vedremo, professava di netta separazione fra Stato e Chiesa; mentre altri liberali, buffamente ed a ludibrio di ogni decantata separazione e di ogni arcielogiata libertà di pensiero, di coscienza e di culto, non si vergognarono dì invocare multe, pene e prigionie per i sacerdoti, che assistessero e per gli sposi che celebrassero le nozze religiose prima del rito civile.
________________________
Ammiratore entusiasta di Camillo Cavour, s'appropriò il suo motto «Libera Chiesa in libero Stato» interpretandolo nel senso più largo; spingendosi cioè a considerare la Chiesa come un'associazione qualsiasi, vivente nel territorio nazionale, guarentita nei suoi diritti di esistenza, esercizio ed espansione, ma priva d'ogni privilegio e protezione statale.
Niente quindi chiese nazionali od ufficiali; niente
concordati !
E quest'ultima ragione influenzò potentemente, almeno per un
tempo, anche il giudizio di Saredo sulle chiese ufficiali ; giudizio di
netta condanna, nonostante che proprio il primo articolo dello Statuto della
Monarchia italiana, alla quale egli si inchinava ossequioso e fedele,
sancisse solennemente che la «religione cattolica» è la religione ufficiale
dello Stato.
Al motivo del temuto violentamento della coscienza pubblica
e privata, ne accoppia, per combattere il sistema della religione
ufficiale, tre o quattro altri, disapprovando le pene minacciate dai Codici
agli oltraggiatori della fede e delle persone sacre; criticando i privilegi
e favori accordati ai seguaci del culto ufficiale e censurando le spese ed
onori che lo Stato largisce al culto che protegge. Ed a suggello di tale sua antipatia per la chiesa ufficiale scrisse: «Ho io bisogno di dire che un governo costituzionale degno di questo nome non consente in nessun modo l'esistenza di una religione ufficiale? E' tal verità che scaturisce troppo luminosa da se medesima perchè sia mestieri svolgerla più a lungo. La protezione esclusiva accordata ad un culto è la dichiarazione dell'infallibilità del legislatore; il quale afferma che egli solo conosce la verità religiosa e che i cittadini devono riceverne la comunicazione da lui». (2)
_____________________
1) Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p.
98. Ma se condannò, bollandole a sangue, le chiese nazionali assorbite ed
asservite ai governi tirannici, non risparmiò le sue critiche aspre alle
chiese nazionali di tipo temperato, a quelle cioè ideate e spalleggiate
allo scopo politico di cementare l'unità di razza e la forza dei popoli.
I CONCORDATI Scrive infatti: «Cos'è un concordato? E' un trattato internazionale che il potere civile di uno Stato cattolico stringe col Capo della sua Chiesa: trattato oneroso solamente pel potere civile, in quanto che questi non ha che doveri, mentre la Chiesa non ha che diritti. Di guisa che ogni concessione che fa il potere religioso è considerata come un atto di generosità da parte sua, ed è per lo più ampiamente compensata dai vantaggi o dai privilegi che egli riceve dal governo contraente». (1)
Più oltre però Saredo non sa nascondersi che siano esistiti
e possano esistere concordati oppressivi della libertà della Chiesa, «nei
quali il governo impone egli medesimo le sue condizioni, costringe la
Chiesa a subirle e ottiene colla violenza morale una quantità di
attribuzioni nelle cose ecclesiastiche; attribuzioni nelle quali egli è
assolutamente incompetente».
Ma sia che ne avvantaggi la Chiesa o lo Stato, egli permane
nel suo atteggiamento di contrasto ai concordati giudicandoli o contrari
all' autonomia dell' individuo o a quella dello Stato o snaturanti gli
uffici del potere sociale. Ed aggiunge: «Qualunque sia lo spirito che
domina un concordato, esso consiste essenzialmente in ciò: che il potere
religioso e il potere civile, trattando da pari a pari si fanno reciproche
concessioni in compenso di reciproci vantaggi. Ma concessioni e vantaggi
sono funesti allo Stato come alla Chiesa». (2)
______________________
LIBERTA' DI CULTO
Tra le non rare sue affermazioni di diritto alla libertà di
culto, basterà citare la seguente, che non potrebbe essere di tonalità più
estensiva:
Con quanta forza e calore rivendicasse poi la piena libertà e
indipendenza della Chiesa cattolica lo rivela questo passo:
E parecchi anni dopo le sopra mentovate dichiarazioni di
recisa opposizione alla chiesa ufficiale ed ai concordati, pubblicando
l'introduzione al «Codice civile ed amministrativo del regno d' Italia»,
introduzione che vide la luce anche in fascicolo a parte nel 1893, Saredo
correggeva visibilmente le sue opinioni non solo ammettendo la possibilità
di accordi fra Chiesa e Stato in Italia, ma tacciando di spiriti poco
pratici coloro che l'idea di una tale possibilità rigettavano, paghi della
semplice e vaga formola della «separazione».
__________________________
I VECCHI CATTOLICI, L'INFALLIBILITA' PONTIFICIA, LA SCOMUNICA
Chi ha una qualche dimestichezza colla storia della Chiesa
non ignora quante difficoltà, lotte e guerre spietate precedettero ed
accompagnarono la promulgazione di molti dogmi. Battaglia non meno accanita e insidiosa si scatenò sulla Chiesa al tempo del Concilio Vaticano, appuntandosi dai nemici di essa gli strali più avvelenati e feroci contro la dottrina e la verità dell'infallibilità del Pontefice.
Il can. prof. Emilio Campana, insegnante nel Seminario di
Lugano, adunò in pregevolissimi volumi un ricco materiale illustrante il
clima sotto cui si svolse detto Concilio ed il lavoro preparatorio della
definizione del dogma. Che varietà di umori, di diffidenze, di tendenze, di subdole
arti, di agguati, di intrighi, di assalti e di minacce roteava e si cercava
di far pesare sopra la Chiesa dalle sette, dai liberali, dai parlamenti e
dagli stessi governi ! E non da costoro soltanto: perchè un'opposizione, e
non lieve, moveva altresì dalle file cattoliche, sia da laici che da preti e
da Vescovi, animati in massima parte, non da sentimenti ostili alla sostanza
della dottrina, ma preoccupati dell' opportunità di dichiararla
pubblicamente e solennemente in quei tempi e circostanze.
Tra questi preti sventurati si distinse il bavarese Ignazio Döllinger, uomo di ingegno potente ed erudizione vastissima,
scrittore di molti volumi, professore di storia e di diritto ecclesiastico, il quale sorse tra i primi a sventolare la bandiera dell'antinfallibilità e continuò ad agitarla, dirigendo ed incoraggiando l'eresia dei «vecchi cattolici» insofferenti di sottostare alle decisioni del Concilio; insofferenza dimostrata ed alimentata con giornali, conferenze, libri, manifesti, adunanze e congressi dei quali il Döllinger era anima incitatrice ed ispiratrice; e l'atteggiamento di costui assunse grado grado un carattere sì indisciplinato e settario da costringere la Santa Sede a scagliare contro di lui la maggiore scomunica.
Tra siffatti sottoscrittori figura Giuseppe Saredo.
Già nel 1862 non aveva fatto mistero di sentimenti avversi
all'infallibilità, quando, combattendo, i governi assoluti e teocratici,
scriveva sembrargli assurdo che potessero esistere legislatori e prìncipi «i
quali abbiano trovato il Vero religioso ed il Vero morale; e che perciò la
loro teologia e la loro filosofia possiedano ad esclusione di ogni altra
l'infallibilità, la certezza, l'immutabilità, la verità» e quasi subito dopo
aggiungeva di sapere che invece esistevano governi «che parlano in nome di
Dio, come suoi interpreti diretti, che si arrogano il monopolio della
verità e che fulminano pene temporali e spirituali contro coloro che osano
mettere in dubbio la loro infallibilità...». (2)
Non è forse in questi sentimenti che deve ravvisarsi una
delle cause principali della firma concessa? Ed altre possono ricercarsi
nelle idee di Saredo sulla libertà di pensiero e nell'ambiente in cui
allora viveva: l'infallibilità pontificia significava l'aperta condanna
degli sbrigliamenti del libero pensiero, e l'ambiente in cui Saredo viveva e
insegnava a Roma, non era il meno saturo di avversione e di odio antipapale.
Ma qualunque cagione sia stata a determinarlo a concedere la
firma, questa non solo non valse a liberare il Döllinger dalla censura, ma
provocò una nuova scomunica, la minore, sul capo di tutti i firmatari,
Saredo compreso.
_______________________
CAPITOLOVII BENEMERENZE DI SAREDO VERSO LA RELIGIONE
Ed eccoci ai racconto di quelle, che chiamai le «benemerenze» di Giuseppe Saredo verso la Religione e i suoi ministri. E prima fra esse può collocarsi quella di non essersi asservito alle sette massoniche, così numerose e influenti in quei tempi e che erano veri centri e focolai di odio rabbioso contro la Chiesa e il Papato, fino a sognarne la totale e definitiva scomparsa. A differenza d'uno sterminato esercito di maestri, professori, avvocati, giudici, medici, ingegneri, artisti ed uomini politici, che nella bramosia di vedersi spalancate le porte dei pubblici impieghi, favori ed onori vendevano, nonostante l'ostentazione di principi liberali ed individualistici, la loro coscienza, assoggettando i propri sentimenti patriottici e religiosi ad un potere estraneo e tenebroso, egli ebbe il vanto di mantenersi libero e indipendente, conservando la padronanza dei suoi giudizi in fatto di fede e di cristianesimo e la franchezza di apertamente manifestarli.
Non solo da testimonianze di intimi suoi conoscenti e di qualche personaggio
politico a lui stretto da cordiali rapporti mi risultò che non s'affigliò
mai a società tenebrose e segrete, che anzi le disapprovò e che,
specialmente in Senato, ostacolò l'accesso al laticlavio di rappresentanti
la setta verde; ma, in varie pagine delle sue opere, rinvenni frasi
di chiaro ripudio di somiglianti conventicole.
_________________________
ORDINI RELIGIOSI «Singolar
contraddizione! Un individuo isolato è riconosciuto proprietario inviolabile
dei suoi beni: ma se unisce questi beni a quelli di un altro, e consacra la
sua vita alla preghiera, lo si spoglia senza cerimonie del suo, a profitto
del governo.
In questi vigorosi e schietti accenti, non sembra vibrare l'anima d'un
grande polemista cristiano, assertore di diritti oltraggiati da altri e di
verità da altri conculcate? E Saredo va altamente e sinceramente elogiato
perchè, liberale qual'era, non arrossì di tenere un siffatto linguaggio
insegnando nelle aule universitarie a pochi anni di distanza dalla
soppressione degli ordini religiosi, fatta in Piemonte da Rattazzi e Cavour,
(1855) e mentre altri liberali acclamavano baldanzosamente agli
incameramenti ed alle leggi eversive, augurando che presto dovessero
estendersi all'intera Penisola. Coerente a sè stesso, manifestò identici
sentimenti, anche parecchi anni più tardi, nella rivista «La Legge» e
nella sua lunga carriera amministrativa e politica compì più d'una volta
atti comprovanti la lealtà di quei sentimenti. La difesa in
favore delle scuole e dell'insegnamento del Clero non è meno calorosa della
precedente. Propostosi le principali obbiezioni mosse contro il diritto del
Clero a insegnare, vi risponde con chiarezza, dimostrando la loro
insussistenza ed afferma che la maggior colpa della lotta contro un tale
insegnamento ricade su molti del partito liberale, perchè contraddicono a sè
stessi ed ai loro più elementari ed essenziali principi, giungendo al punto
di cancellare dal loro programma la libertà d'insegnamento piuttosto che
concederla al Clero: «La contraddizione in cui cade (un enorme gruppo di
liberali) lo mette al livello degli uomini più spregevoli del partito
illiberale. Quando accusa i Gesuiti di avere due coscienze, dimentica di
esaminare sè stesso: se lo facesse non vi troverebbe due, ma tre e quattro
coscienze. Egli invoca la libertà, ma se ne fa un'arma per colpire i suoi
avversari: e come? Prima inceppa loro le mani e poi li combatte. E questa è
coscienza? E questa è giustizia? E poi, che buon senso ad accecarci di un
occhio perchè anche il Clero sia accecato! E' un agire come i Giapponesi nei
loro duelli: quando uno vuole sfidare un nemico, si apre il ventre; lo
sfidato è obbligato a fare altrettanto, e così muoiono ambedue. E chi ne
profitta?». E dopo questa
frustata prosegue: «Lasciamo anche al Clero la libertà d'insegnare; con
ciò non solo rispettiamo il diritto sacrosanto che ha; ma daremo origine ad
una lotta che sarà feconda di beni per lo Stato. Io non temo, ve lo
confesso, i danni che si pretendono inseparabili dall'ingerimento del Clero
nell'insegnamento. Chi fa la sua potenza è il privilegio o la persecuzione.
Lasciatelo libero ed uguale in diritti e doveri con gli altri cittadini, e
non sarà potente che nel bene. Se vorrà discepoli ed uditori dovrà dare
un'istruzione buona e poco costosa; se la darà cattiva e a caro prezzo,
nessuno manderà da lui i propri figli... Io ho una fiducia senza limiti
nella libertà, perchè è l'opera del Creatore, ho una diffidenza non meno
illimitata verso il monopolio, perchè è l'opera della prepotenza umana».
(2) Parole belle ed eloquenti, veramente onorifiche per colui che le scrisse, il quale quantunque praticasse uomini ed ambienti spiccatamente avversi alla Chiesa, seppe resistere alla marea antireligiosa, perseverando in quelle convinzioni che si era formato e sostenendole sia nei ritrovi di amici che nelle pubbliche adunanze e nella stampa.
________________________
Carità pelosa quella di coloro che la pensavano in questo ultimo modo, gli
anticlericali e i liberali meno simpatizzanti pel Clero, la quale nascondeva
secondi fini e mire partigiane! E non scarseggiavano quelli che non si
sgomentavano di usare due pesi e due misure, negando sistematicamente al
Clero il diritto di voto attivo e passivo, nel caso che se ne fosse servito
a difesa degli interessi della religione, della morale o contro abusi e
ingiustizie statali, ma concedendoglielo se l'avesse adoperato in favore del
partito e della causa liberale o massonica.
Saredo, guidato in questa quistione da una serenità ammirevole, chiese ed
insegnò sempre la perfetta parità fra i diritti elettorali del Clero e
quelli degli altri cittadini; e se un tempo può aver commesso un errore, fu
per necessario riconoscimento di tali diritti del Clero, quando propugnò
l'obbligatorietà del voto per tutti e propose che il Clero, come ogni altro
cittadino, venisse severamente punito se non si recava alle urne, come
vedremo in un prossimo capitolo.
Basti qui ora trascrivere i seguenti suoi brani concernenti il sacerdozio e
l'elettorato: «Il più
grande errore giuridico che si sia commesso in questa faccenda si fu di
vedere nel prete e nel frate, non la personalità del cittadino, ma l'uomo
della Chiesa; per cui fu messo al di fuori, al dissotto e al dissopra della
legge. Di qui una protezione assurda: esenzione da certi carichi civili; ed
altri privilegi di questo genere. Dall'altra parte, il chierico fu fatto
segno di inique persecuzioni ; fu privato d'ogni più importante diritto
civile; e si finì con farne come si è fatto oggidì in Italia ed in Francia,
un paria politico...». «Che comanda il diritto? Che si dimentichi l'abito dell'individuo, i voti che può aver prestato; ma che non si veda in lui se non un libero cittadino di un libero Stato. Abiti e voti religiosi sono cose che riguardano esclusivamente la sua coscienza, santuario inviolabile entro cui a nessuno è dato di penetrare. Agli occhi della legge non vi sono ne preti, ne frati, ne monache; vi sono dei cittadini; e quando adempiono le condizioni richieste di capacità, hanno al pari di ogni altro cittadino il diritto di eleggere e di essere eletti». (1)
«Lo dichiaro senza esitare: io non temo punto l'intervento del Clero nelle elezioni: trovo legittimi i mezzi con cui cerca di influire sulla coscienza degli elettori. E fra il ministro che promette strade, ponti, impieghi agli elettori, e il prete il quale promette premi oltremondani, io vedo una differenza che è in favore del Clero. Il giorno in cui preti e monaci porteranno tutti indistintamente nei comizi un suffragio coscienzioso, allora si potrà dire davvero che le forti consuetudini dei popoli liberi sono penetrate anche in Italia e che i dissidi civili hanno cessato per sempre di degenerare in funeste e sanguinose querele». (2)
_________________________
Alludendo a
costoro ed alle loro tendenze, si domanda: «E quali sono i mezzi che
propongono per ottenere il loro scopo? Gli uni - si risponde - il
protestantesimo, gli altri il razionalismo, gli altri l'uso puro e semplice
della forza, collo scacciare dalla nostra patria Papa e Cardinali, chiudere
le Chiese e procedere, com'essi dicono con elegante vocabolo - rivoluzionariamente -, facendo tavola rasa di tutto quel complesso di
convinzioni, d'interessi e d'istituzione che è indissolubilmente connesso
alla religione cattolica in Italia e più particolarmente al Pontificato» Nel volumetto
su Federico Sclopis, a pag. 28, plaude poi espressamente ai Papi ed
all'opera loro in questi termini :
A queste chiare e leali affermazioni, che rimontano al 1862 quando insegnava
all' Università di Sassari, serbò sempre fede; e vorrei anzi dire che in
processo di tempo esternò, in maniera ancor più sensibile, il suo rispetto
per le cose attinenti al Clero ed alla Religione, (2) ciò che, d'altronde,
si rileva luminosamente dai seguenti brani di articoli del sen. march.
Filippo Crispolti, riflettenti in modo particolare l'ultimo periodo della
vita di Saredo(3) «Ma in
queste influenze... sui suoi colleghi del Senato egli si dette un eccellente
compito, e fu quello di combattere quanto poteva i tentativi di legislazione
massonica. Il progetto anticlericale di precedenza del matrimonio civile lo
ebbe avversario efficacissimo».
«...L'ultimo suo atto pubblico, che tutti i giornali nostri riferirono,
fu quel brano d'una sua prefazione (è la prefazione al Codice della
beneficenza) in cui combattendo l'esclusione del clero
____________________________
e gii altri due
alla di lui morte avvenuta il 29 Dicembre 1902.
Più che amore, Saredo nutrì per gli Scolopi una vera venerazione, che,
presentandosi l'occasione, non nascose mai ad alcuno in nessun tempo della
sua lunga esistenza, nemmeno quando visse a fianco di arrabbiati
anticlericali, frequentò circoli di nemici della Chiesa e collaborò sui loro
giornali.
Sua Ecc. Boselli discorrendomi di questo periodo dell'attività sarediana, mi
affermò di sapere in modo assoluto che Saredo rispettò e si sforzò sempre di
far rispettare i
figli del Calasanzio. Per lui l'amarli,
stimarli e farli rispettare era un dovere.
In ciò, del resto, conta competitori illustri e non pochi, tra coloro che
frequentarono le Scuole Pie di Savona, primi fra tutti lo stesso on.
Boselli, che in ripetutissime circostanze significò, con parole e con
scritti, la sua alta stima per i Padri Scolopi ed il loro collegio di
Savona; il filosofo prof.
Recatomi poi io nell'estate del 1929, dallo stesso senatore Galimberti per
chiedergli notizie di Saredo, di cui fu allievo ed amico, dopo una lunga e
cordiale conversazione in cui si parlò anche dei PP. Scolopi, mi mostrò, con
evidente compiacenza, come in pegno del suo continuo attaccamento verso di
essi, tenesse sempre appeso ad una parete dello studio il ritratto del Padre
Giuseppe Mallarini, che nelle Scuole Pie gli fu rettore amatissimo ed
indimenticabile. Quanto Saredo amasse gli Scolopi e fosse pronto a testimoniare loro anche pubblicamente la sua gratitudine e stima appare pure da questo episodio narratomi da S. Em. il Cardinale Mistrangelo.
Trovandosi un giorno questi - allora non ancora Cardinale, ma già
Arcivescovo di Firenze - nella casa di Saredo in via Modena, a Roma, assieme
ad alcuni deputati, senatori e ministri ed avendo ammirato la ricca e
interessante biblioteca, esistente nel salone ov'erano riuniti, Saredo
rispose: «Se posseggo una sì bella biblioteca lo debbo ai Rev. Padri
Scolopi, che m'invogliarono agli studi e non mi furono scarsi di aiuti». Nè s'appagò di ricambiare con soli complimenti e parole le cure e favori che gli erano stati largiti in sua gioventù dai discepoli del Calasanzio.
Quando Saredo amministrava, qual Regio Commissario, il Comune di Napoli, gli
si presentò il P. Gisoldi, provinciale degli Scolopi di quella regione,
esponendogli la questione della Chiesa di S. Carlo all' Arena, ch'era stata
chiusa al culto e che gli Scolopi desideravano far riaprire ed ufficiare.
Un altro tratto della benevolenza di Saredo verso l' Ordine dei suoi cari
Padri si vide nell'opera prestata in prò del Collegio Nazareno di Roma.
Questo Collegio, retto dagli Scolopi, aveva ottenuto dal
ministro Bacelli
il pareggio cogli istituti statali. Qualche tempo dopo, essendo
ministro
Coppino, si tentò di ritorglierglielo, ma per l'opportuno intervento e la
grande influenza di Saredo il pareggio restò. Potrei riferire qui ancora dell'interessamento di lui per la nuova convenzione fra il Comune di Savona ed i Padri Scolopi, relativa ai locali e scuole ginnasiali di Monturbano, ma ne riparlerò nel capitolo «Saredo e la sua città».
___________________________ dalla Tip. Nazionale di Savona. Che Saredo si recasse di fatto ogni qualvolta che arrivava a Savona, a visitare i Padri Scolopi finche vi rimasero suoi antichi superiori e maestri, me lo confermò tra gli altri il venerando Padre Luigi Del Buono, il quale mi disse inoltre che coprendo egli nel 1901 la carica di Provinciale ed avendo invitato a pranzo il Saredo, questi accettò e durante il desinare ricordò volentieri i giorni della sua vita di studente in quel collegio, indicando più d'una volta con segni di visibile gratitudine il poco ove
tante volte, aveva ricevuto la colazione dai buoni Padri. della disfatta di Lissa.
Vedi il Numero unico pubblicato nel 1922 per il «Terzo Centenario della
fondazione del Real Collegio delle Scuole Pie di Savona» p. 67.
«Il libero edificare» del 7 Giugno 1891.
Fatto degnissimo di rilievo e
Questa nomina, che destò lieto entusiasmo nell'animo dei migliori fiorentini, di coloro specialmente che avevano già inteso notizia dei frutti di bene compiuti da Mons. Mistrangelo fra le popolazioni pontremolesi, venne invece accolta malamente da spiriti maligni e settari, che macchinarono tosto contro di essa, speranzosi di ostacolarla e farla fallire. Un giorno infatti il degnissimo Prelato - me lo confidò egli stesso - ricevette da Roma una lettera, colla quale lo si avvertiva delle nere arti, che s'adopravano contro di lui coll'accusarlo come irreducibile intransigente e nemico della Casa Savoia, per fargli negare la concessione del nuovo exequatur.
Al Ministero di Grazia e Giustizia sedeva in quel tempo l'on Bonasi, uomo retto e di idee moderate.
Giunto a Roma, Mons. Mistrangelo trovò in Saredo tutta la bontà ed aiuti,
che si possono sperare
Per il colloquio si scelse l'abitazione dello stesso Saredo,
perchè come il Ministro Bonasi non credette opportuno recarsi al Collegio
Nazareno, ove l' Arcivescovo aveva preso dimora, così non ritenne prudente
che questi si facesse vedere negli ambienti del Ministero.
Dalla conversazione chiara ed esauriente, cui parteciparono, oltre Bonasi e
Mistrangelo, anche Boselli (allora ministro del Tesoro) e Saredo, potè il
Bonasi convincersi facilmente dell'ingiustizia delle accuse lanciate contro
il dotto e zelante figlio del Calasanzio e, non tenendo più conto di esse,
ordinò che si desse libero corso alla pratica dell' exequatur il 17 Dicembre
1899 il Mistrangelo prese solennemente possesso della sua nuova Sede
Arcivescovile.
Si narra, a proposito di ciò, che il
Pontefice Leone XIII appreso il felice
esito della cosa e riflettendo che, per opera dello stesso Saredo, anche
Savona, nell'anno precedente, era riuscita ad avere il suo Vescovo, abbia
esclamato: Il premuroso e valido appoggio di Saredo per l' exequatur a Mons. Mistrangelo non è l'ultimo benevolo atto che si potrebbe citare fra i molti da lui compiuti verso i Padri Scolopi. Il rev. Padre Luigi Del Buono, già noto ai lettori, mi assicurò che ogni qualvolta essi si rivolsero per favori a Saredo, vennero sempre esauditi; e poterono ricorrervi fino agli ultimi tempi che visse, perchè le amichevoli relazioni tra essi ed il grande uomo di Stato non si sciolsero che colla di lui morte.
_____________________________
E qui parmi opportuno registrare, almeno di sfuggita, che anche i PP. Scolopi coglievano volentieri le occasioni di mostrare la loro deferenza ed amore all'antico collegiale e grandissimo amico, ricevendolo festosamente nelle loro case, felicitandosi con lui ad ogni ascesa che faceva nella brillante carriera, rallegrandosi nelle sue gioie e dolendosi nelle sue amarezze; e due di essi, il P. Escrio e Del Buono, sapendo di fargli cosa assai grata, quantunque non avessero cura d'anime, si recarono a visitare ed assistergli affettuosamente il vecchio genitore languente sul letto di morte.
________________________
Se per lunghissimi anni Saredo non die segno di praticare i doveri
religiosi; se professò ed insegnò dottrine contrarie alle verità cattoliche,
se ebbe momenti di ribellione a decreti della Sede Apostolica e se parve
talora che dubitasse perfino d'una vita futura, pure nell'animo suo il
problema religioso occupò sempre un posto eminente.
Nei suoi scritti parla spesso di Dio riconoscendolo «creatore dell'uomo e
del mondo» Colui «che ha dato la legge del progresso dell'uomo» «creatore
degli astri e dell'ordine del firmamento»; (1) ammette che il nobile
ingegno della sua Luisa fu un dono di Dio; (2) e nomina Iddio in non poche
delle poesie a lei indirizzate. Proclamò che il
problema religioso è uno di quelli che maggiormente interessano l'umana
esistenza e che il Cristianesimo è la somma di credenze che più risponde ai
bisogni del nostro spirito assetato di luce. «La superiorità della
religione cristiana - egli scrisse - considerata filosoficamente, sopra
tutte le altre consiste in ciò: essa presenta all'uomo la soluzione più
bella, più universale, più progressiva che si sia conosciuta prima di lei
del problema che lo preoccupa: essa appaga meglio di ogni altra religione il
bisogno di ideale che prova lo spirito umano». (3)
Sentì e seguì, nonostante che un tempo si fosse dichiarato favorevole alla
separazione della Chiesa dallo Stato, un nobile impulso a lavorare per
l'avvicinamento dei due grandi poteri e s'industriò attivamente a tal uopo a
studiare ed a preparare la soluzione della questione romana, che augurava e
intravvedeva come uno dei massimi benefici all' Italia. E, trattando dei doveri dello Stato verso la religione, andò ancora più oltre, affermando: «Chi disse: lo Stato è ateo: quegli ha pronunziato la più stolta bestemmia, ha dato un violento crollo alle tre basi sulle quali si poggia l'edificio sociale: la religione, la famiglia, la proprietà». (1)
In lui la fiamma della fede non era spenta, ma sonnecchiava sotto la cenere,
assopita in fondo al cuore. E talora si ridestò, e fu specialmente allorché
ripensando agli amatissimi genitori defunti si commoveva e faceva celebrare
Messe in loro suffragio. Elogiando la pietà filiale che spingeva anche
Giovanni Pascoli a far celebrar Messe per i suoi cari defunti, il prof.
Giulio Foddai commentava: «Quando si compiono atti simili vuol dire che
in fondo all'anima v'è qualcosa che oltrepassa il sentimento: v'è la fede».
(2) E la fede di Saredo risorse sopratutto nelle ore in cui egli s'appressava a morire. Egli accolse il Ministro di Dio come l'amico più caro, ne ascoltò con tenerezza le parole di vita confidandosi a lui totalmente come un ingenuo e innocente fanciullo, lo ringraziò dei conforti religiosi recatigli e spirò fiducioso nell'amplesso della misericordia divina.
______________________
la cortesia di scrivermi...
che un giorno Giovanni Pascoli, parlando insieme di religione, con le
lacrime agli occhi, gli diede l'elemosina di tre Messe per i suoi poveri
morti».
FONTI e LINKS di approfondimento
1. GIUSEPPE
SAREDO - BIOGRAFIA
3. IL
CREDO POLITICO
- SAREDO LIBERALE E MONARCHICO
4. TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIONE
5. L'INFUENZA POLITICA E LA QUESTIONE ROMANA
|