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TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIOSE

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Il presente capitolo illustra il pensiero filosofico e religioso di Giuseppe Saredo alla base dell'insegnamento universitario da lui tenuti.
Dell'opera di Ambrogio Casaccia intitolata "Giuseppe Saredo" edita da Stabilimento Tipografico Editoriale Ricci, Savona 1932
riportiamo integralmente:

il Capitolo   VI: Teorie filosofiche e religiose                             da pag. 123 a pag. 144
il Capitolo  VII: Benemerenze di Saredo verso la Religione   da pag 145 a pag. 162


 

 

CAPITOLO VI

TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIOSE 


 

PIU' CHE UN ABBOZZO
 

Chi volesse lo schizzo di Giuseppe Saredo, illuminato sul suo sfondo religioso, sarebbe presto appagato.
Nato da genitori profondamente cristiani, egli venne istruito ed educato, fanciullo e giovinetto, da preti; indossò  anzi, per circa due anni, la tonaca, incamminato al sacerdozio; dimessala e vissuto dal "48 fin verso il "60 a Torino, si illanguidì nella fede e s'imbeve di razionalismo ed idee liberali: da scrittore e maestro insegnò talora dottrine contrarie alla Chiesa, ma la lodò e la difese colla parola, l'azione e gli scritti.
 

Verso il 1870 aderì all'eresia e ribellione dei vecchi cattolici, incorrendo nella scomunica, da uomo politico favorì la libertà della religione, ma, per lunghissima pezza, non osservò le pratiche della fede e del culto; chiuse la sua esistenza cristianamente confessato e pentito fra le braccia d'un Vescovo.

Un sì scheletrico profilo non accontenta certamente la legittima curiosità del lettore, ne è sufficiente allo scopo che ci siamo prefissi.

Sorvolando pure, quindi, sul tempo che, frequentando le Scuole Pie di Savona ed i corsi di filosofia, dedicò all'erudizione e formazione cristiana del suo spirito o consacrò a catechizzare i fanciulli della sua borgata, (1) vedremo ora con quali apprezzamenti ed atteggiamenti si scostò dalla religione cattolica e quali furono i punti, in cui principalmente la difese, sostenne e onorò.

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NOTE
1) Questo particolare mi venne riferito da molti vecchi savonesi.
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CONCETTI KANTIANI


Che mutazione nel lasso d'un decennio !
Alle brevi e succose pagine della «Dottrina cristiana» erano subentrate nelle mani di Saredo le voluminose carte di novatori in filosofia, etica e religione; alle spiegazioni semplici, ma chiare e dotte dei Padri Scolopi, erano succedute nella mente di lui le elucubrazioni scientifiche della Scuola Kantiana e di altri razionalisti trasformanti l'idea del Dio personale della fede cattolica, in quella d'un essere vago, astratto, soggettivo e riducenti la religione ad un sentimento, una facoltà, un istinto dell'uomo.
 

Dottrine consimili, quantunque continuasse a definire, colla formola biblica, Iddio per «Colui che è», ossia l'essere reale, sussistente, esistente per essenza, ed ammettesse che la religione cristiana era la più perfetta, Saredo le insegnò da professore e le pubblicò fra i suoi scritti.

A giudicare dalle sue parole, anche per lui, la religione non consisteva più nel «rationabile hominum erga Deum obsequium» (1) o nella «volontaria dipendenza dell'uomo da Dio» (2) ma doveva ritenersi come un puro sentimento naturale ed un bisogno dello spirito umano.
 

Ma udiamo le sue parole:
«Gli animi volgari si preoccupano assai poco di questa libertà (quella di culto). Per loro, le preoccupazioni religiose e filosofiche sono un frutto o dell'ignoranza o dell'ipocrisia. La religione è per molti una malattia transitoria dello spirito umano, che risponde ad un periodo di civiltà bambina e che va guarendosi sotto l'influenza progressiva della scienza. Il filosofo ed il pubblicista devono occuparsene non per studiarla e guarentirne la libera espansione, ma per restringerne il campo e affrettarne la caduta definitiva».

«Questo modo di considerare la religione, che appartiene più specialmente alla democrazia, è però più diffuso che non si pensi. Eppure esso è in contraddizione colle leggi più evidenti della nostra natura».
 

Rifiutata così una tal maniera di pensare, continua: «Lo studio delle facoltà umane ci presenta un fatto universale, costante e perpetuo, ed è che accanto al sentimento, all'intelletto ed al volere esiste in noi una quarta potenza che agisce: è la religione o la religiosità. Essa è una categoria o una forma essenziale dello spirito umano. Solamente un'analisi incompleta delle potenze naturali dell'uomo ha condotto alcuni filosofi a considerare la religione come un frutto dell'infanzia dei popoli e degli individui, destinata necessariamente a perire sotto i colpi della ragione e della civiltà». (3)
 

Non sembra avere tra le mani pagine d'un precursore delle teorie dell'immanenza e del modernismo? La religione in esse non viene delineata come un insieme organico di verità da credersi e praticarsi, emananti dalla rivelazione d'un Essere a se, superiore e creatore delle facoltà umane, dal quale queste devono dipendere ed il quale devono sottomettersi. Ma viene designata quasi come un parto dell'immaginazione umana, senza fondamento in una realtà esteriore all'uomo, o peggio, come il frutto necessario e ineluttabile d'un istinto o come una potenza innata nello spirito, l'operazione ed il termine della quale sono indubbiamente soggettivi, risentendo dell'indole, tendenze e disposizioni dell'individuo cui la potenza appartiene.
 

E' vero, si, che per comprovare che la religione è necessaria e che «non può perire» afferma: «che non v'è una sola delle nostre facoltà - sentimento, intelletto, volere - che... non tenda ad un bene straniero e superiore ai bisogni della vita»: (4) ma invece di farvele tendere per riconoscere, dar gloria e onore all' Ente superiore, ve le fa convergere «per trovare il proprio compimento» ossia il famoso «sviluppo della personalità umana», che per lui è principio e fine dell'uomo.
 

E che, «almeno a parole», egli riduca l'idea di Dio quasi all'effetto d'un impulso naturale dell'uomo o come il logico effetto d'un sentimento dell'animo, ce lo prova il passo seguente: «L'impulso che proviamo, il sentimento che ci guida è ciò che chiamiamo religione: l'ideale supremo che contempliamo, che aspiriamo a raggiungere, è Dio».
 

«Ciascun uomo ha la sua propria religione, ciascun uomo ha il suo proprio Dio; perchè ciascun uomo prova in modo distinto e proprio l'impulso naturale che lo fa tendere al suo ideale. In questo senso vi sono tante religioni e tanti Dei quanti sono
gli uomini del nostro globo. E ne vediamo un esempio nel seno di una stessa religione positiva,
il cattolicismo, dove il Dio di Torquemada non è il Dio di Fenélon
». (5)
 

Alle quali espressioni di sapore Kantiano possono aggiungersi pur queste, ove ribadisce il concetto che la religione, quantunque più elevata e più nobile, è una facoltà come l' intelletto, il sentimento e il volere:
«Noi possiamo adunque avere il concetto razionale della religione; la quale dev'essere considerata come una delle facoltà essenziali dello spirito umano; essa fornisce alle altre quella sete dell'infinito, quell'aspirazione all'ideale, che sono ad un tempo causa ed effetto d'ogni progresso». (6)

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NOTE
1) San Paolo: ad Romanos XII - 1.
2) E' la definizione data dal P. Tapparelli
3) Saredo : «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 86
4) Vedi idem p. 86.
5) Vedi idem p. 89. Speciosa !a trovata di Torquemada e Fenélon : ma fuor di luogo, perchè l'uno e l'altro credevano in Dio non per impulso, ma ragionando ed accettando la rivelazione: e se uno esaltava per esempio la giustizia e l'altro la misericordia di Dio, non credevano in due Dei diversi, ma in uno solo considerato sotto due aspetti.
6) Vedi idem p. 89.
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PROVVIDENZA E RIVELAZIONE

Altri errori fondamentali delle teorie di Saredo, considerate in rapporto alla religione cattolica, sono quelli relativi alla azione della Provvidenza sul progresso dei popoli, ed alla esclusione di concetti divini nell'idea di diritto.
 

Egli nega, non solo implicitamente, ogni intervento provvidenziale nello sviluppo e perfezionamento della civiltà, ma afferma che «principio e fine del progresso è l'uomo» e che l'uomo come i popoli non hanno «bisogno di una rivelazione,di una grazia speciale, o di una direzione provvidenziale per raggiungere il loro bene». (1)
 

Per lui, il progresso è opera dei popoli, e si compie così: i popoli sono formati da individui, i quali tendono naturalmente al bene, a perfezionarsi; più questi si perfezionano più i popoli progrediscono; e quel popolo che possiede maggior numero di individui perfezionati è il più progredito.

E sta bene!
Ma, a detta dello stesso Saredo, gli uomini per sviluppare la loro personalità, ossia per giungere al compimento della loro perfezione, abbisognano dell'intelletto, della volontà, del sentimento; ed oltre a ciò hanno spesso mestiere di sanità, di mezzi di fortuna, di occasioni propizie, di alte aspirazioni ecc. Tutte queste cose saranno sempre e unicamente frutti del caso? Non potrà mai vedervisi l'assistenza d'una mano sovrana, il dito della Provvidenza? E se la Provvidenza guida e largheggia di benefici verso gli individui, questi benefici non ridonderanno a vantaggio della società e del progresso?
 

Non insisterò molto sull'esclusione che egli fa d'ogni elemento sovrannaturale dalla nozione di diritto avendone già discorso altrove. Mi limiterò a rilevare la contraddizione, in cui lo fa cadere sopra questo punto, la scuola liberale cui apparteneva.
 

Se egli ammette - e l'ammette, come vedremo - che esiste un Dio Creatore e che esistono leggi naturali, superiori ed indipendenti dall'uomo, che l'uomo conosce ed alle quali devono conformarsi le leggi positive, per essere buone: (2) come può, determinando la nozione del diritto, non tener conto di Colui che del diritto pose i germi nell'anima umana e lo scolpì nelle leggi naturali?
Come può non tener conto dell'elemento divino se i trattati di diritto quasi altro non sono che il commento e l'applicazione dei precetti della Legge di Dio: non rubare, non ammazzare, non dire il falso, non disonorare il padre e la madre?
 

Contraddizione strana, analoga ad innumerevolissime altre cosparse nei sistemi di non pochi liberali, come ad esempio quella di coloro che decretando che il sovrano deve regnare «nel nome di Dio e per volontà della nazione» non vogliono poi che Iddio abbia a regnare nelle leggi civili e quindi nella società; o quella di coloro, che proclamando la libertà d'insegnamento, la distruggono poi, piuttosto che lasciarla godere ai preti e frati; o di coloro che riconoscendo il diritto di proprietà ed associazione per tutti, lo sopprimono poi per la Chiesa e gli ordini religiosi.
 

Saredo che seppe trionfalmente resistere a numerosissime di tali contraddizioni liberali, in qualcuna però soccombette: come, ad esempio, in quella più sopra citata.

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NOTE
1) Vedi idem vol. I p. 123, 125.
2) Vedi idem vol. I p. 45 e 47: e «Trattato di diritto civile» vol. I p. 5.

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TEOCRAZIA

Conseguenza dell'ostracismo dato all'ideale divino, nel campo del diritto, può ritenersi la specie di sacro timore nutrito da Saredo per la teocrazia, da lui definita l'«assorbimento del potere civile per parte del sacerdozio». (1)

Dichiara che le cause di tale assorbimento devono ricercarsi «nello stato di ignoranza e da debolezza in cui i popoli si sono trovati... nella loro infanzia».

«Spaventati - aggiunge - da fenomeni di cui non conoscono il significato, accasciati dalla coscienza della loro debolezza, dominati dal sentimento che opera potentissimo in loro a danno della ragione, circondati da una natura ostile e selvaggia, si capisce che i popoli incolti si abituano a vedere una divinità presente in ogni forza naturale, e che ai sacerdoti di queste divinità attribuiscano uffici, mandati e poteri straordinari». (2)
 

Ricusa di accondiscendere alla odiosa insinuazione di quelli scrittori, che attribuiscono la fortuna della teocrazia «all'astuzia della casta sacerdotale» ed esclama: «Nulla di più falso. La causa vera di questo predominio bisogna cercarla nell' energia del sentimento religioso dei popoli e nei servigi che la teocrazia più illuminata, più istrutta rendeva loro».

E qui, riferendosi in particolare al Cristianesimo, enumera i benefici da esso apportati alla società e per i quali l' Europa potè entrare «nella via che doveva condurla allo stato nel quale ora si trova».
 

Ma poco appresso ripiglia il tono sfavorevole alla teocrazia, osservando che se essa «è efficace e benefica nel periodo genesiaco delle nazioni, quando essa le addestra ed abilita a correre i primi arringhi civili, non così può avvenire quando il perfezionamento successivo della vita sociale sopraggiunge a creare nuove condizioni, nuovi bisogni, nuovi interessi, a soddisfare i quali nessuna religione, non escluso il Cristianesimo, può prestarsi senza snaturare la propria indole ed il proprio mandato». (3)

Ed alcune righe più sotto prosegue: «La teocrazia va ogni giorno perdendo terreno, ed è naturale. Ogni incremento della scienza le è necessariamente fatale. Le menti umane si sciolgono a poco a poco dagli impacci dell'ignoranza e della superstizione per divenire autonome e signore di se: il sentimento religioso si purifica incessantemente e chiede per agire piena libertà. Di tutti i sistemi che reggono i rapporti fra Chiesa e Stato il sistema teocratico è il più antico e il più condannato dalla civiltà. Esso è la negazione più aperta che si conosca della libertà di coscienza e della libertà di culto». (4)
 

Non si esigono grandi sforzi per indovinare che uno dei moventi dello scrittore, nell'assalire così serratamente i governi teocratici, dev'essere stato quello di colpire il potere temporale dei Papi: e su ciò non può nutrirsi alcun dubbio, non avendo egli stesso, subito dopo, esitato a confessare: «Il secolo decimonono è, a mio avviso, destinato ad assistere all'ultimo periodo ed alla caduta definitiva della teocrazia, nei due soli paesi in cui esiste tuttora in Europa: Roma e Costantinopoli».
 

Questa confessione, lumeggiata dalle asserzioni precedenti dello stesso Saredo, diventa eloquentissima, rivelando lo spirito informatore dei suoi giudizi intorno ai sistemi teocratici e ci dispensa dal trattenerci ad esaminare partitamente i non pochi giudizi discordi dalle dottrine cattoliche e le frasi ed affermazioni inesatte, che, nei periodi surriferiti son contenute.
 

Noterò ancora, a proposito dei regimi teocratici, che egli non s'arrestò ad osteggiare il monopolio scolastico da essi affidato a Congregazioni religiose, ma s'aggregò a coloro che vollero ed ottennero da governi non teocratici l'abolizione dell'insegnamento della teologia nelle Università, col pretesto ch'essa inceppava la libertà di coscienza. (5)

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NOTE
1) Vedi «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 96
2) Vedi idem vol. III p. 96.
3)Curiosa questa teoria liberale che si degna concedere alla Chiesa cristiana la capacità di somministrare il biberon ai popoli e di far loro da balia!
4) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 97.
5) Vedi idem vol. III p. 181, 182.
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DIVORZIO

Se non in omaggio alla libertà di coscienza, certo in nome di un'altra, di quella cioè dei contratti, sostenne un tempo, il diritto dei coniugi al divorzio.
Dissi: un tempo: perchè nel primo corso di insegnamento universitario svolto da lui a Sassari, pur trattando diverse questioni relative al matrimonio, non accenna affatto al divorzio e perchè nell'ultimo periodo di sua vita vi fu decisamente contrario.
 

La sua aperta ed incontrovertibile professione di fede divorzista risale al 1869 ed è scolpita ripetutamente nel «Trattato di diritto civile». (1)
Ma, forse, non fu e non restò che una professione teorica: prima di tutto perchè può credersi che gli sia stata suggerita dalla convenienza di mostrarsi coerente ai larghissimi principi di libertà che predicava a favore dell'individuo; in secondo luogo perchè, probabilmente anche in materia di contratti matrimoniali, badò a separare e far esulare l'elemento divino ed ecclesiastico dalle leggi civili: ed infine perchè, ai tempi in cui egli dottoreggiava sul divorzio, questo in Italia non era oggetto che di oziose divagazioni filosofico-giuridiche.
 

Quando invece esso divenne argomento, specialmente per opera del radicalismo, del socialismo e di tutte le democrazie anticlericali, di possibili riforme legislative, Saredo aveva mutato opinione, diventandone coraggioso avversario.
 

La ragione, che nel «Trattato di diritto civile» aveva addotta come sufficiente a giustificare il divorzio era l'identica, che prima e dopo di lui, venne sfruttata da tutti i nemici dell'indissolubilità familiare e che può riassumersi in questo sillogismo: ogni contratto fatto tra persone libere può scindersi dalle stesse; ma il matrimonio è un contratto di persone libere: dunque esse possono scinderlo.
 

Ma, come quasi tutti i fautori del divorzio, egli non rifletteva che se il matrimonio è un contratto, lo è in modo ben diverso dagli altri e che quindi non poteva paragonarsi ad essi in quanto alla durata e rescissione.
Esso non solo dev'essere indissolubile perchè vincola, per legge naturale, i contraenti fino alla morte di uno di essi; ma perchè lo richiedono gli interessi vitali della prole e della civil società. Il divorzio conduce alla disgregazione della famiglia e la disgregazione di questa porta allo sfacelo sociale.

 

L'evoluzione sarediana da divorzista ad antidivorzista si operò lenta o subitanea?
In che momenti ed in quali circostanze si maturò? Non è facile rintracciarlo e del resto non importa necessariamente saperlo. Quello che è indubitato ed ora c'interessa è che egli mutò d'opinione.
E come il senatore C. F. Gabba, valentissimo giureconsulto, il quale dopo aver nell'età giovanile sostenuto il divorzio, lo combattè poi strenuamente, (2) così Saredo, convertitosi sinceramente all'antidivorzismo, gioiva e si rallegrava per la fortuna d' Italia quando vedeva arenare od affogare nel Parlamento i tentativi d'introdurre il cancro del divorzio nel nostro paese.
A testimonianza di ciò valga il bellissimo brano, qui riprodotto, d'una lettera del Senat. March. Filippo Crispolti alla March. Teresa Marieni-Saredo: «L'ultima volta che lo visitai, (il nostro Giuseppe Saredo) poco tempo prima della morte, quand'era già sofferentissimo ed alterato nell'aspetto, nei pochi minuti che mi fu dato di trattenermi, gli portai la notizia che la Commissione parlamentare aveva respinto il progetto sul divorzio. Mi rispose: Ringrazio Iddio che abbia risparmiato questa sventura al nostro paese».

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NOTE
1) Saredo : «Trattato di diritto civile» p. 590 ed altrove.
2) Il sen. Gabba nel suo famoso volume «Il divorzio nella legislazione italiana», a conclusione della stringente polemica centro i divorzisti, pose queste eloquenti parole «Quando l'indissolubilità del matrimonio e della famiglia sarà combattuta in Italia, da uomini autorevoli per virtù, per sapienza come un Balbo, un Manzoni, un Gioberti, un d' Azeglio, allora sol tanto la Nazione vi si convertirà o tollererà che vi si convertano in suo nome i suoi rappresentanti».

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MATRIMONIO

E noi dobbiamo ringraziare Iddio che, in questi ultimi tempi, oltre ad avere allontanata, e speriamo per sempre, la minaccia di un tanto male dal cielo della nostra Patria, ha pure, in questi ultimi anni, liberato l' Italia da un umiliante avanzo dell'agnosticismo di Stato, di cui i sistemi liberali l'avevano onerata in fatto di matrimonio. Alludo alla parte dei Patti del Laterano, che riconosce, in forma ufficiale e solenne anche di fronte alle leggi civili, la validità del matrimonio religioso, fino allora ignorato e negletto dalla giurisprudenza e legislazione italiana.
 

E fra gli interpreti ed esaltatori di questa giurisprudenza e legislazione noncurante, nel campo legale, delle nozze religiose militò pure Giuseppe Saredo, nonostante ch'egli si fosse sposato cristianamente e riconoscesse a tutti, come individui e non come cittadini, il diritto di sposarsi innanzi all'altare.

A dire il vero egli, in teoria, sarebbe stato favorevolmente propenso al sistema del matrimonio facoltativo, (1) al sistema cioè vigente attualmente fra noi, per il quale viene dallo Stato riconosciuta la validità tanto del rito religioso che di quello civile, a seconda che gli sposi preferiscono pronunziare il sì in chiesa od in comune.
 

Ma, in pratica, stava attaccatissimo alla lettera del Codice italiano, che non ammetteva alcun valore legale al matrimonio ecclesiastico. E ripetute volte s'accese di sdegno, scattando contro i magistrati, che, come quelli di Napoli, attribuivano efficacia legale alle nozze religiose anche dinanzi al foro civile. (2)
Circa questo punto si mostrò fermo, irremovibile nel suo modo di vedere: per lui l'articolo del Codice non tollerava discussione, era un dogma.
E considerò come dogma anche ciò che il Codice espressamente non contemplava.
 

A quei tempi si dibatteva vivamente la questione della validità, dinanzi alle leggi italiane, del matrimonio in cui uno dei contraenti fosse un sacerdote od ma persona stretta da voti religiosi solenni; e nel giugno del 1871 la suprema corte di Napoli sentenziò che i voti d'un prete costituiscono vero impedimento al matrimonio civile.
 

Saredo che già nei «Principi di diritto costituzionale» aveva negato che i voti religiosi abbiano forza di impedimento civile (3) nel «Trattato di diritto civile» (vol. 1 p. 377) aveva insegnato la medesima cosa, insistendo che «ubi lex voluit, dixit», ossia che la legge civile non riconosce tali impedimenti, perchè non parla di essi.

Appresa la sentenza di Napoli pubblicò contro di essa un lunghissimo articolo per sostenere la validità del matrimonio, che essa aveva annullata, ed adoperando il frasario liberale dei tempi, ravvisò in quella sentenza «pericoli minacciati allo Stato, alle civili libertà, alle guarentigie essenziali del nostro diritto pubblico». (4)
 

Ma, pur carezzandone ed avvalorandone molti, egli non soggiacque a tutti i pregiudizi e falsità dei liberali contro il matrimonio cristiano, e sovratutto non si macchiò dell'illogicità di coloro che nel medesimo tempo negavano e riconoscevano, un tal matrimonio, strombazzando ai quattro venti che esso non doveva esistere per la legge italiana, ma che la legge italiana doveva impedire che si celebrasse prima di quello civile.
 

Saredo infatti - dato che la legge non doveva immischiarsi nei matrimoni religiosi - non fece una vera e propria questione di precedenza, ma approvò incondizionatamente il disposto del Codice perchè non conteneva alcun «precetto relativo all'anticipazione o posticipazione della solennità civile o ecclesiastica». (5)
 

E qui si mostrò simpaticamente consono ai principi, che, come or ora vedremo, professava di netta separazione fra Stato e Chiesa; mentre altri liberali, buffamente ed a ludibrio di ogni decantata separazione e di ogni arcielogiata libertà di pensiero, di coscienza e di culto, non si vergognarono dì invocare multe, pene e prigionie per i sacerdoti, che assistessero e per gli sposi che celebrassero le nozze religiose prima del rito civile.

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NOTE
1) Vedi Saredo: «Trattato di diritto civile» vol. I p. 341.
2) Vedi nella rivista «La Legge» di Roma, in cui Saredo, negli anni 1871 1872 ha vari commenti in tal senso.
3) A p. 209 del vol. II afferma: «che il matrimonio essendo un contratto civile, tutti coloro che hanno le condizioni giuridiche volute, possono contrarlo indipendentemente dai voti religiosi che abbiano fatto o dall'abito che abbiano vestito. Che il contratto esigendo l'esistenza reale e la personalità giuridica dei due contraenti, i voti religiosi come quelli che non adempiono queste condizioni, non sono punto contratti e perciò non hanno valore e forza legale) in faccia al potere sociale».
4) Vedi in rivista «La legge» di Roma, anno 1871 p. 565.
5) Vedi Saredo : «Trattato di diritto civile» vol. I p. 242.

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CHIESA E STATO

Allo stesso modo che egli pose il rispetto scrupoloso della libertà individuale come base fondamentale dei rapporti fra Stato e cittadini, così ritenne ed insegnò che la norma principalissima da seguirsi nel determinare le vicendevoli relazioni fra la Chiesa e lo Stato è quella di ispirarsi al massimo rispetto della libertà e indipendenza sia dell'una che dell'altro.
 

Ammiratore entusiasta di Camillo Cavour, s'appropriò il suo motto «Libera Chiesa in libero Stato» interpretandolo nel senso più largo; spingendosi cioè a considerare la Chiesa come un'associazione qualsiasi, vivente nel territorio nazionale, guarentita nei suoi diritti di esistenza, esercizio ed espansione, ma priva d'ogni privilegio e protezione statale.

Niente quindi chiese nazionali od ufficiali; niente concordati !

Non vuole le chiese nazionali perchè esse incarnano quel sistema «col quale lo Stato assorbe la Chiesa: o quello, a dir meglio, che affida al potere civile l'indirizzo delle cose religiose, il capo dello Stato è altresì il capo della religione, e subordina questa ai suoi politici interessi».
E non le vuole principalmente perchè esse sono contrarie «ai principi più elementari della nostra scienza, ai canoni medesimi del buon senso. Ogni ingerimento governativo nelle cose della religione è non solo ingiusto, ma assurdo: poiché esso pretende regolare e dirigere ciò che vi ha di più libero al mondo; le aspirazioni della coscienza». (1)
 

E quest'ultima ragione influenzò potentemente, almeno per un tempo, anche il giudizio di Saredo sulle chiese ufficiali ; giudizio di netta condanna, nonostante che proprio il primo articolo dello Statuto della Monarchia italiana, alla quale egli si inchinava ossequioso e fedele, sancisse solennemente che la «religione cattolica» è la religione ufficiale dello Stato.
 

Al motivo del temuto violentamento della coscienza pubblica e privata, ne accoppia, per combattere il sistema della religione ufficiale, tre o quattro altri, disapprovando le pene minacciate dai Codici agli oltraggiatori della fede e delle persone sacre; criticando i privilegi e favori accordati ai seguaci del culto ufficiale e censurando le spese ed onori che lo Stato largisce al culto che protegge.
 

Ed a suggello di tale sua antipatia per la chiesa ufficiale scrisse: «Ho io bisogno di dire che un governo costituzionale degno di questo nome non consente in nessun modo l'esistenza di una religione ufficiale? E' tal verità che scaturisce troppo luminosa da se medesima perchè sia mestieri svolgerla più a lungo. La protezione esclusiva accordata ad un culto è la dichiarazione dell'infallibilità del legislatore; il quale afferma che egli solo conosce la verità religiosa e che i cittadini devono riceverne la comunicazione da lui». (2)

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NOTE

1) Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 98. Ma se condannò, bollandole a sangue, le chiese nazionali assorbite ed asservite ai governi tirannici, non risparmiò le sue critiche aspre alle chiese nazionali di tipo temperato, a quelle cioè ideate e spalleggiate allo scopo politico di cementare l'unità di razza e la forza dei popoli.
2) Vedi idem p. 99.
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I CONCORDATI

Altro aspetto della forma della chiesa ufficiale, anch'esso poco ben viso a Saredo, è quello dei concordati.
Contrariamente alla realtà ed alla dottrina cattolica egli sostiene che dei concordati approfitta sempre la Chiesa e ne scapitano sempre gli Stati.
 

Scrive infatti: «Cos'è un concordato? E' un trattato internazionale che il potere civile di uno Stato cattolico stringe col Capo della sua Chiesa: trattato oneroso solamente pel potere civile, in quanto che questi non ha che doveri, mentre la Chiesa non ha che diritti. Di guisa che ogni concessione che fa il potere religioso è considerata come un atto di generosità da parte sua, ed è per lo più ampiamente compensata dai vantaggi o dai privilegi che egli riceve dal governo contraente». (1)


Gli scrittori cattolici reputano invece unanimamente che nei Concordati è sempre la Chiesa che cede e rinunzia, perchè essa, società perfetta avente pieno diritto alla vita ed all'espansione, accondiscende (il più delle volte per evitare mali maggiori) a scendere a patti ed a farsi riconoscere dagli Stati civili ciò che le spetta per istituzione divina e per diritto comune alle altre società.
E che di fatto la Chiesa sia arrendevole, bastano a convincercene le concessioni larghe, estreme cui arrivò il Pontefice Pio VII nel Concordato napoleonico e le disposizioni di molti altri Papi, che accordarono ai governi diritti di nomine, di exequatur, di placet ; controlli speciali sull'amministrazione dei fondi ecclesiastici; giuramenti di fedeltà e simili.
 

Più oltre però Saredo non sa nascondersi che siano esistiti e possano esistere concordati oppressivi della libertà della Chiesa, «nei quali il governo impone egli medesimo le sue condizioni, costringe la Chiesa a subirle e ottiene colla violenza morale una quantità di attribuzioni nelle cose ecclesiastiche; attribuzioni nelle quali egli è assolutamente incompetente».
 

Ma sia che ne avvantaggi la Chiesa o lo Stato, egli permane nel suo atteggiamento di contrasto ai concordati giudicandoli o contrari all' autonomia dell' individuo o a quella dello Stato o snaturanti gli uffici del potere sociale. Ed aggiunge: «Qualunque sia lo spirito che domina un concordato, esso consiste essenzialmente in ciò: che il potere religioso e il potere civile, trattando da pari a pari si fanno reciproche concessioni in compenso di reciproci vantaggi. Ma concessioni e vantaggi sono funesti allo Stato come alla Chiesa». (2)

Ostile, per principio, ai concordati e alle chiese ufficiali e nazionali, egli, come dissi, poneva la soluzione del problema dei rapporti fra Chiesa e Stato nel riconoscimento, da parte di questo, della più ampia libertà per la Chiesa di organizzarsi, espandersi ed amministrarsi.

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NOTE
1) Saredo: «Principi di diritto costituzionale»  vol. III p. 103.
2) Vedi idem vol. III p. 104.
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LIBERTA' DI CULTO

Ciò era per lui la conseguenza logica e necessaria della libertà di coscienza che tanto inculcava; e correva ancora più in là, domandando e proclamando la netta separazione fra i due poteri e la assoluta libertà di professare e seguire qualunque culto e credenza.
 

Tra le non rare sue affermazioni di diritto alla libertà di culto, basterà citare la seguente, che non potrebbe essere di tonalità più estensiva:
«Cos'è la libertà di culto? E' la facoltà che ha ciascun membro del civile consorzio di estrinsecare liberamente le sue aspirazioni all'infinito. Non basta che io senta, che io creda; bisogna che mi sia concesso di agire e come credo e come sento. Io voglio credere in Dio... come la mia fede mi comanda: non in segreto, ma pubblicamente... ; non isolato e solo, ma unito a coloro che partecipano alla mia fede... non chiusi in una stanza, ma adunati in un tempio aperto a tutti, o sulla piazza, a cielo scoperto. Voglio cercar di agire sugli spiriti, liberamente; voglio propagare la mia fede, perchè la credo buona, santa, e vera. Voglio servirmi del libro e del giornale; della cattedra e della conferenza, di tutti i mezzi, in tutti i luoghi. Voglio, insomma, essere credente senza ostacoli; voglio che mi sia guarentito il diritto di esserlo, e che sia guarentito anche agli altri come a me... voglio finalmente che ciascuno di noi, nell'affermare le proprie credenze, nel combattere le altrui, possa godere di tutta la libertà che è consentita dai severi comandi della, giustizia». (1)
 

Con quanta forza e calore rivendicasse poi la piena libertà e indipendenza della Chiesa cattolica lo rivela questo passo:
«La Chiesa dev'essere libera nella nomina dei suoi Vescovi, e dei suoi Parroci; libera nella promulgazione dei suoi Brevi, delle sue Encicliche e delle sue Pastorali; libera d'insegnare nei Seminari, di predicare nei pulpiti; di assolvere, di condannare; libera di concedere i suoi funerali, e i suoi Tedeum, o di rifiutarli: libera finalmente in tutto, per tutto e innanzi a tutti. Lo Stato non ha da entrare in Chiesa per nulla, come la Chiesa non ha per nulla da ingerirsi negli affari dello Stato; se un vescovo od un prete lede i diritti di qualcheduno, sia punito; ma non per avere adempiuto i suoi uffici di prete o di vescovo; sibbene per aver leso i diritti altrui». (2)


Se le idee di Saredo circa i rapporti del potere civile con quello ecclesiastico non sono, dal punto di vista cattolico, i più plausibili ed accettabili, tuttavia egli, nel campo liberale, seppe mantenersi ad un livello di encomiabile equanimità, perchè mentre tanti suoi correligionari, pur strombazzando ad ogni occasione e ad ogni angolo «libera Chiesa in libero Stato» si degradarono poi a chiedere contro di essa restrizioni ed angherie d'ogni sorta, egli invece conformò regolarmente e sinceramente la sua condotta ai principi che professava, non rifuggendo talora, per mantenersi coerente ad essi, di esporsi a molteplici critiche e sottoporsi a sacrifici, come documenterò parlando della sua rinunzia al ministero di Grazia e Giustizia offertogli da Di Rudinì.
 

E parecchi anni dopo le sopra mentovate dichiarazioni di recisa opposizione alla chiesa ufficiale ed ai concordati, pubblicando l'introduzione al «Codice civile ed amministrativo del regno d' Italia», introduzione che vide la luce anche in fascicolo a parte nel 1893, Saredo correggeva visibilmente le sue opinioni non solo ammettendo la possibilità di accordi fra Chiesa e Stato in Italia, ma tacciando di spiriti poco pratici coloro che l'idea di una tale possibilità rigettavano, paghi della semplice e vaga formola della «separazione».

Scrive, infatti, a p. 26 di detta introduzione che s'ingannano grandemente «coloro i quali in base a delle fantastiche teorie, suppongono come risoluta la questione tra Stato e culti colla semplice formula della separazione, e che non possono ammettere l'idea d'un diritto ecclesiastico, che abbia il suo posto nelle istituzioni giuridiche dello Stato».
E, più innanzi, aggiunge: «Quale sia l'avvenire riservato alla grave questione dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa si può piuttosto desiderare che prevedere. Certo è che nulla finora accenna a una prossima soluzione; è quindi opera sapiente ed utile preparare gli elementi onde compiere questa grande opera di pacificazione sociale».

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NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 85.
2) Vedi idem vol. III p. 105. Leggendo qualche pagina della rivista «La Legge» specialmente delle andate 1870-73, può nascere il dubbio che Saredo abbia modificato alquanto la sua generosità verso i diritti di libertà della Chiesa, lo credo piuttosto che usando certe frasi e periodi un pò ostici non sia stato spinto tanto da avversione alla Chiesa, quanto da spirito troppo legalistico nel commentare o difendere articoli del Codice o leggi relative a cose ecclesiastiche. Sta però di fatto ch'egli in pratica, come vedremo, si mostrò animato da grande deferenza verso le cose e persone religiose.
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I VECCHI CATTOLICI, L'INFALLIBILITA' PONTIFICIA, LA SCOMUNICA

Ora, prima di elencare quelle, che potrebbero chiamarsi le benemerenze di Giuseppe Saredo verso la religione cattolica, mi resta a dire d'un altro dissidio teorico-pratico ch'egli ebbe colle dottrine della Chiesa e che gli attirò la scomunica.

Si tratta della parte che prese al movimento dei «vecchi cattolici» contro la definizione del dogma dell'infallibilità.

Chi ha una qualche dimestichezza colla storia della Chiesa non ignora quante difficoltà, lotte e guerre spietate precedettero ed accompagnarono la promulgazione di molti dogmi.
I nomi Ario, Nestorio, Fozio, Lutero squillano ancor oggi sinistramente come trombe eccitatrici di quelle dolorose e funeste campagne!
 

Battaglia non meno accanita e insidiosa si scatenò sulla Chiesa al tempo del Concilio Vaticano, appuntandosi dai nemici di essa gli strali più avvelenati e feroci contro la dottrina e la verità dell'infallibilità del Pontefice.

"Don Emilio Campana (1874-1939). Scheda biografica":
Jean-Claude Lechner (Hrsg.), Edizioni moderne dei Padri della Chiesa. Da Erasmo a Migne, Morbio Inferiore 2006, 37-38

Il can. prof. Emilio Campana, insegnante nel Seminario di Lugano, adunò in pregevolissimi volumi un ricco materiale illustrante il clima sotto cui si svolse detto Concilio ed il lavoro preparatorio della definizione del dogma. Che varietà di umori, di diffidenze, di tendenze, di subdole arti, di agguati, di intrighi, di assalti e di minacce roteava e si cercava di far pesare sopra la Chiesa dalle sette, dai liberali, dai parlamenti e dagli stessi governi ! E non da costoro soltanto: perchè un'opposizione, e non lieve, moveva altresì dalle file cattoliche, sia da laici che da preti e da Vescovi, animati in massima parte, non da sentimenti ostili alla sostanza della dottrina, ma preoccupati dell' opportunità di dichiararla pubblicamente e solennemente in quei tempi e circostanze.
Questa opposizione cattolica, salvo rare eccezioni, non fu cieca e ostinata; e, come afferma il Card. Hergenröther nella sua «Storia universale della Chiesa» : «...anche quei Vescovi della minoranza che avevano opposto la più lunga resistenza possibile alla definizione, si sottomisero; ne per quanti tentativi si facessero, niuno si lasciò condurre a porsi alla testa di un partito antivaticano; questo partito restò confinato a pochi preti e ai laici aizzati da essi». (1)
 

Tra questi preti sventurati si distinse il bavarese Ignazio Döllinger, uomo di ingegno potente ed erudizione vastissima,

 Ignaz von Döllinger
By Franz S.von Lenbach
Düsseldorf,Kunstmuseum

 scrittore di molti volumi, professore di storia e di diritto ecclesiastico, il quale sorse tra i primi a sventolare la bandiera dell'antinfallibilità e continuò ad agitarla, dirigendo ed incoraggiando l'eresia dei «vecchi cattolici» insofferenti di sottostare alle decisioni del Concilio; insofferenza dimostrata ed alimentata con giornali, conferenze, libri, manifesti, adunanze e congressi dei quali il Döllinger era anima incitatrice ed ispiratrice; e l'atteggiamento di costui assunse grado grado un carattere sì indisciplinato e settario da costringere la Santa Sede a scagliare contro di lui la maggiore scomunica.


Provvedimento necessario e sapiente da parte della Chiesa, perchè come una famiglia ha il diritto di diffidare un figlio degenere, come un esercito può degradare ed espellere un militare indegno, così la Chiesa può cacciare da sè quei cristiani che ricusano di obbedire alle sue leggi, rispettare il suo magistero e seminano a piene mani la zizzania nel campo divino.
Di tale provvedimento abusarono però tosto i corifei del Döllinger, servendosene come nuova arma e nuovo motivo di riscossa contro il Papato e la Chiesa di Roma, e fra gli altri mezzi di lotta organizzarono pure proteste di stima e di adesione al Döllinger, che dovevano sottoscriversi dai dotti, dai professori e dagli uomini politici delle varie nazioni.

Tra siffatti sottoscrittori figura Giuseppe Saredo.

Per qual motivo s'indusse ad apporvi la firma?

Già nel 1862 non aveva fatto mistero di sentimenti avversi all'infallibilità, quando, combattendo, i governi assoluti e teocratici, scriveva sembrargli assurdo che potessero esistere legislatori e prìncipi «i quali abbiano trovato il Vero religioso ed il Vero morale; e che perciò la loro teologia e la loro filosofia possiedano ad esclusione di ogni altra l'infallibilità, la certezza, l'immutabilità, la verità» e quasi subito dopo aggiungeva di sapere che invece esistevano governi «che parlano in nome di Dio, come suoi interpreti diretti, che si arrogano il monopolio della verità e che fulminano pene temporali e spirituali contro coloro che osano mettere in dubbio la loro infallibilità...». (2)
 

Non è forse in questi sentimenti che deve ravvisarsi una delle cause principali della firma concessa? Ed altre possono ricercarsi nelle idee di Saredo sulla libertà di pensiero e nell'ambiente in cui allora viveva: l'infallibilità pontificia significava l'aperta condanna degli sbrigliamenti del libero pensiero, e l'ambiente in cui Saredo viveva e insegnava a Roma, non era il meno saturo di avversione e di odio antipapale.
 

Ma qualunque cagione sia stata a determinarlo a concedere la firma, questa non solo non valse a liberare il Döllinger dalla censura, ma provocò una nuova scomunica, la minore, sul capo di tutti i firmatari, Saredo compreso.
Com'egli accogliesse questa nuova decisione della Sede Apostolica, per la quale era direttamente e personalmente colpito, non mi fu dato scoprirlo nè dalle sue pubblicazioni, nè dai suoi manoscritti.

Seppi invece che molti anni dopo ne venne assolto con enorme soddisfazione, gioiendo come quei
                                                                   «che da opprimente peso alfin si sgrava».

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NOTE
1) Vedi Hergenröther: «Storia della Chiesa», vol. VII p. 617 (ediz. italiana).
2) Vedi Saredo: «Principi d' diritto costituzionale» vol. III p. 73.
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Inizio Pagina

 

 

 

CAPITOLOVII

BENEMERENZE DI SAREDO VERSO LA RELIGIONE

 


SOCIETA' SEGRETE

 

Ed eccoci ai racconto di quelle, che chiamai le «benemerenze» di Giuseppe Saredo verso la Religione e i suoi ministri.

E prima fra esse può collocarsi quella di non essersi asservito alle sette massoniche, così numerose e influenti in quei tempi e che erano veri centri e focolai di odio rabbioso contro la Chiesa e il Papato, fino a sognarne la totale e definitiva scomparsa.

A differenza d'uno sterminato esercito di maestri, professori, avvocati, giudici, medici, ingegneri, artisti ed uomini politici, che nella bramosia di vedersi spalancate le porte dei pubblici impieghi, favori ed onori vendevano, nonostante l'ostentazione di principi liberali ed individualistici, la loro coscienza, assoggettando i propri sentimenti patriottici e religiosi ad un potere estraneo e tenebroso, egli ebbe il vanto di mantenersi libero e indipendente, conservando la padronanza dei suoi giudizi in fatto di fede e di cristianesimo e la franchezza di apertamente manifestarli.

Ritratto di Federico Sclopis, 1904
Modello originale per la testa della statua in bronzo del monumento a Federico Sclopis, conte di Salerano (Torino 1798-1878), sito nei giardini della Cittadella a Torino. Opera dello scultore Edoardo Rubino

Non solo da testimonianze di intimi suoi conoscenti e di qualche personaggio politico a lui stretto da cordiali rapporti mi risultò che non s'affigliò mai a società tenebrose e segrete, che anzi le disapprovò e che, specialmente in Senato, ostacolò l'accesso al laticlavio di rappresentanti la setta verde; ma, in varie pagine delle sue opere, rinvenni frasi di chiaro ripudio di somiglianti conventicole.
Così, ad esempio, nella vita di Federico Sclopis, parlando dell'educazione del popolo inglese, egli scrive che quando questo vuol riformare le sue leggi «non si riunisce in tenebrose congreghe per cospirare, ma nelle pubbliche piazze, dove proclama a cielo aperto quello che vuole, e invece di chiamare il proprio paese: la giovane o nuova Inghilterra, lo chiama con nobile orgoglio: la vecchia Inghilterra». (1) E nell'operetta su Terenzio Mamiani, da lui tanto amato e stimato, riferisce, con visibile compiacenza, come questi contrariasse le associazioni segrete ed avesse rifiutato di entrare a far parte della «Giovane Italia» ; e, discorrendo di questa società, Saredo, per conto suo, non esita a definirla associazione «di non fausta celebrità». (2)

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NOTE
1) Vedi Saredo : «Vita di Federico Sclopis» p. 78.
2) Vedi Saredo : «Vita di Terenzio Mamiani» p. 7.

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ORDINI RELIGIOSI

Una prova assai convincente della indipendenza di Saredo dalle logge massoniche si deduce poi dalla bella e coraggiosa difesa, ch'egli fece del diritto di esistenza e di proprietà per gli ordini religiosi e di quello di insegnamento per il Clero.
Udiamo le sue parole: «Un dato numero di individui si associano ; ciascuno degli associati mette in comune il suo patrimonio ; essi vestono un abito uniforme e pregano, insegnano o predicano. Ledono essi, ciò facendo, il diritto di qualcheduno? E' evidente che no. Il Governo può egli rifiutare loro il battesimo dell' esistenza legale? No.
Può egli, a suo beneplacito, distruggere la loro società sotto pretesti di interesse pubblico? Meno che mai.
La loro società esiste di pieno diritto; essi rispettano i diritti altrui; dunque la loro attività giuridica è inviolabile... Spegnerla senza giustizia, è un assassinio; toglierle senza giustizia i suoi beni, è un latrocinio
».
 

«Singolar contraddizione! Un individuo isolato è riconosciuto proprietario inviolabile dei suoi beni: ma se unisce questi beni a quelli di un altro, e consacra la sua vita alla preghiera, lo si spoglia senza cerimonie del suo, a profitto del governo.
Altra contraddizione: se un ladro privato si introduce in un monastero e lo deruba di una piccolissima somma, il governo sociale lo arresta, e lo condanna come ladro, come violatore del diritto di proprietà del monastero; ma quando esso stesso toglie agli associati del monastero tutto quello che essi possiedono, allora egli non commette più un furto, ma agisce secondo la giustizia e la morale!
Che ignobile commedia!

Ma v'è un'ultima contraddizione: negli Stati liberi è guarentito il diritto di associazione, il diritto di proprietà, la libertà di coscienza: ma se dieci cittadini si associano, possiedono e adorano Dio secondo la loro coscienza, sono messi fuori della legge; la loro società è disciolta, i loro possessi derubati, la loro libertà di coscienza è ridotta ad una mistificazione. E tutto questo in nome della giustizia e del diritto
».

Ed alcune righe più innanzi riprende: «...dichiaro che frati e monache hanno pieno diritto di associarsi per pregare Dio come credono e come vogliono e che le leggi civili, siccome non creano la società religiosa, ma la riconoscono, così esse non possono modificarla o distruggerla, senza commettere una grande ingiustizia». (1)
 

In questi vigorosi e schietti accenti, non sembra vibrare l'anima d'un grande polemista cristiano, assertore di diritti oltraggiati da altri e di verità da altri conculcate? E Saredo va altamente e sinceramente elogiato perchè, liberale qual'era, non arrossì di tenere un siffatto linguaggio insegnando nelle aule universitarie a pochi anni di distanza dalla soppressione degli ordini religiosi, fatta in Piemonte da Rattazzi e Cavour, (1855) e mentre altri liberali acclamavano baldanzosamente agli incameramenti ed alle leggi eversive, augurando che presto dovessero estendersi all'intera Penisola. Coerente a sè stesso, manifestò identici sentimenti, anche parecchi anni più tardi, nella rivista «La Legge» e nella sua lunga carriera amministrativa e politica compì più d'una volta atti comprovanti la lealtà di quei sentimenti.
 

La difesa in favore delle scuole e dell'insegnamento del Clero non è meno calorosa della precedente. Propostosi le principali obbiezioni mosse contro il diritto del Clero a insegnare, vi risponde con chiarezza, dimostrando la loro insussistenza ed afferma che la maggior colpa della lotta contro un tale insegnamento ricade su molti del partito liberale, perchè contraddicono a sè stessi ed ai loro più elementari ed essenziali principi, giungendo al punto di cancellare dal loro programma la libertà d'insegnamento piuttosto che concederla al Clero: «La contraddizione in cui cade (un enorme gruppo di liberali) lo mette al livello degli uomini più spregevoli del partito illiberale. Quando accusa i Gesuiti di avere due coscienze, dimentica di esaminare sè stesso: se lo facesse non vi troverebbe due, ma tre e quattro coscienze. Egli invoca la libertà, ma se ne fa un'arma per colpire i suoi avversari: e come? Prima inceppa loro le mani e poi li combatte. E questa è coscienza? E questa è giustizia? E poi, che buon senso ad accecarci di un occhio perchè anche il Clero sia accecato! E' un agire come i Giapponesi nei loro duelli: quando uno vuole sfidare un nemico, si apre il ventre; lo sfidato è obbligato a fare altrettanto, e così muoiono ambedue. E chi ne profitta?».
 

E dopo questa frustata prosegue: «Lasciamo anche al Clero la libertà d'insegnare; con ciò non solo rispettiamo il diritto sacrosanto che ha; ma daremo origine ad una lotta che sarà feconda di beni per lo Stato. Io non temo, ve lo confesso, i danni che si pretendono inseparabili dall'ingerimento del Clero nell'insegnamento. Chi fa la sua potenza è il privilegio o la persecuzione. Lasciatelo libero ed uguale in diritti e doveri con gli altri cittadini, e non sarà potente che nel bene. Se vorrà discepoli ed uditori dovrà dare un'istruzione buona e poco costosa; se la darà cattiva e a caro prezzo, nessuno manderà da lui i propri figli... Io ho una fiducia senza limiti nella libertà, perchè è l'opera del Creatore, ho una diffidenza non meno illimitata verso il monopolio, perchè è l'opera della prepotenza umana». (2)
 

Parole belle ed eloquenti, veramente onorifiche per colui che le scrisse, il quale quantunque praticasse uomini ed ambienti spiccatamente avversi alla Chiesa, seppe resistere alla marea antireligiosa, perseverando in quelle convinzioni che si era formato e sostenendole sia nei ritrovi di amici che nelle pubbliche adunanze e nella stampa.

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NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. III p. 11 e seg.
2) Vedi idem vol. III p. 171 e seg.

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ELETTORATO DEL CLERO

Quanto non fu detto e scritto a proposito del diritto del Clero all'elettorato amministrativo e politico! Si versarono fiumi di inchiostro e si pronunziarono tante parole e discorsi da riempire i volumi d'una colossale biblioteca; affermandosi da un canto che preti e frati, essendo cittadini come tutti gli altri, avevano pieno diritto di essere sia elettori che eletti ed asserendosi dall'altro che, data la loro missione ed i privilegi di cui godevano, bisognava privarli dei diritti elettorali, senza dei quali avrebbero esercitato più liberamente il loro ministero e le loro funzioni di pubblici pacificatori e conciliatori degli animi.
 

Carità pelosa quella di coloro che la pensavano in questo ultimo modo, gli anticlericali e i liberali meno simpatizzanti pel Clero, la quale nascondeva secondi fini e mire partigiane! E non scarseggiavano quelli che non si sgomentavano di usare due pesi e due misure, negando sistematicamente al Clero il diritto di voto attivo e passivo, nel caso che se ne fosse servito a difesa degli interessi della religione, della morale o contro abusi e ingiustizie statali, ma concedendoglielo se l'avesse adoperato in favore del partito e della causa liberale o massonica.

Tipico rimarrà sempre l'esempio d'un deputato socialista ligure, il quale in un comizio elettorale, dopo aver inneggiato all'apostata Romolo Murri, additandolo come un sacerdote modello perchè era sceso nell'agone politico a fianco dei candidati radicali e democratici, inveì contro tutti gli altri preti fulminandoli di minacce perchè partecipavano alle lotte politiche, uscivano di sacristia, ma sopratutto perchè spalleggiavano partiti e uomini avversi al programma ch'egli annunziava.
 

Saredo, guidato in questa quistione da una serenità ammirevole, chiese ed insegnò sempre la perfetta parità fra i diritti elettorali del Clero e quelli degli altri cittadini; e se un tempo può aver commesso un errore, fu per necessario riconoscimento di tali diritti del Clero, quando propugnò l'obbligatorietà del voto per tutti e propose che il Clero, come ogni altro cittadino, venisse severamente punito se non si recava alle urne, come vedremo in un prossimo capitolo.
 

Basti qui ora trascrivere i seguenti suoi brani concernenti il sacerdozio e l'elettorato:
«Ve lo confesso candidamente, non ho ancora capito oggi il motivo per cui in alcuni paesi retti a governo costituzionale il clero sia stato colpito da un così inesorabile ostracismo elettorale. Ho letto e meditato gli argomenti che si sono addotti per giustificare questa severità eccezionale; non solo non mi hanno mostrato che sia giusta, ma hanno radicato nell'animo mio un contrario convincimento».
 

«Il più grande errore giuridico che si sia commesso in questa faccenda si fu di vedere nel prete e nel frate, non la personalità del cittadino, ma l'uomo della Chiesa; per cui fu messo al di fuori, al dissotto e al dissopra della legge. Di qui una protezione assurda: esenzione da certi carichi civili; ed altri privilegi di questo genere. Dall'altra parte, il chierico fu fatto segno di inique persecuzioni ; fu privato d'ogni più importante diritto civile; e si finì con farne come si è fatto oggidì in Italia ed in Francia, un paria politico...».
 

«Che comanda il diritto? Che si dimentichi l'abito dell'individuo, i voti che può aver prestato; ma che non si veda in lui se non un libero cittadino di un libero Stato. Abiti e voti religiosi sono cose che riguardano esclusivamente la sua coscienza, santuario inviolabile entro cui a nessuno è dato di penetrare. Agli occhi della legge non vi sono ne preti, ne frati, ne monache; vi sono dei cittadini; e quando adempiono le condizioni richieste di capacità, hanno al pari di ogni altro cittadino il diritto di eleggere e di essere eletti». (1)


Procedendo innanzi, confuta con bel garbo e varietà d'argomenti le difficoltà di coloro, che contrastavano al clero tali diritti o col pretesto che aveva cura d'anime o perchè poteva esercitare una forte influenza sulle popolazioni o perchè s'opponeva ai principi delle moderne libertà o infine perchè l'occuparsi di politica poteva fargli trascurare gli interessi religiosi dei fedeli; e ad un certo punto esclama:
«Aprite anche al Clero le fonti della vita civile... E quando (preti e frati) prenderanno parte alle lotte elettorali, come è loro sacro diritto e non meno sacro dovere, vi porteranno quell'ardore, quella fermezza di convinzioni, quella devozione al bene che li distinguono quasi dappertutto nella vita religiosa e privata».
 

«Lo dichiaro senza esitare: io non temo punto l'intervento del Clero nelle elezioni: trovo legittimi i mezzi con cui cerca di influire sulla coscienza degli elettori. E fra il ministro che promette strade, ponti, impieghi agli elettori, e il prete il quale promette premi oltremondani, io vedo una differenza che è in favore del Clero. Il giorno in cui preti e monaci porteranno tutti indistintamente nei comizi un suffragio coscienzioso, allora si potrà dire davvero che le forti consuetudini dei popoli liberi sono penetrate anche in Italia e che i dissidi civili hanno cessato per sempre di degenerare in funeste e sanguinose querele». (2)

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NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. II p. 161.
2) Vedi Idem , vol. II p. 162.

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IL PAPATO

E colla stessa virile franchezza con cui rivendicò la totalità dei diritti elettorali del Clero, si schierò altresì contro l'opinione e le velleità di coloro, e non erano pochi, che - sono parole di Saredo -: «devoti all'unità nazionale sono concordi nell'affermare che il Papato è la piaga d' Italia; che bisogna estirparlo; che quando ciò sia fatto il problema italiano è immediatamente sciolto».
 

Alludendo a costoro ed alle loro tendenze, si domanda: «E quali sono i mezzi che propongono per ottenere il loro scopo? Gli uni - si risponde - il protestantesimo, gli altri il razionalismo, gli altri l'uso puro e semplice della forza, collo scacciare dalla nostra patria Papa e Cardinali, chiudere le Chiese e procedere, com'essi dicono con elegante vocabolo - rivoluzionariamente -, facendo tavola rasa di tutto quel complesso di convinzioni, d'interessi e d'istituzione che è indissolubilmente connesso alla religione cattolica in Italia e più particolarmente al Pontificato»
E subito appresso aggiunge: «Io non so se sia possibile concepire sistemi più gretti, più assurdi, e, lasciatemelo dire, più iniqui di questi».(1)
 

Nel volumetto su Federico Sclopis, a pag. 28, plaude poi espressamente ai Papi ed all'opera loro in questi termini :
«Sappiamo che esiste attualmente una scuola storica, la quale mette un'insistenza curiosa nel negare i benefici che il mondo civile deve ai più grandi tra i Pontefici; ma noi invieremo costoro (seguaci di detta scuola) alla Storia d' Inghilterra di uno dei più grandi scrittori del nostro secolo, Tomaso Babington Macaulay» il quale quantunque liberale e protestante mette in chiara luce le benemerenze dei Papi.

Ed a pag. 25 dello stesso volumetto su Sclopis, Saredo, quantunque non nomini direttamente i Papi, espone un altro giudizio benevolo e lodativo per loro, esaltando i vantaggi che il Diritto canonico - ispirato, voluto ed approvato dai Sommi Pontefici - arrecò ai popoli ed alla civiltà.
Scrive infatti: «A' giorni nostri, quando si parla del diritto canonico si sorride quasi come per quando si discorre di un ricordo ridicolo del Medio Evo. Eppure l'influenza di questa parte della legislazione positiva dei secoli scorsi fu talmente grande che le dobbiamo moltissimi dei progressi che ha fatto il diritto civile: il primo merito suo si fu di aver temperato la barbarica severità del diritto romano».
 

A queste chiare e leali affermazioni, che rimontano al 1862 quando insegnava all' Università di Sassari, serbò sempre fede; e vorrei anzi dire che in processo di tempo esternò, in maniera ancor più sensibile, il suo rispetto per le cose attinenti al Clero ed alla Religione, (2) ciò che, d'altronde, si rileva luminosamente dai seguenti brani di articoli del sen. march. Filippo Crispolti, riflettenti in modo particolare l'ultimo periodo della vita di Saredo(3)
«Qualunque siano le sue convinzioni in materia religiosa egli ha il merito di riconoscere che il più grande problema italiano è quello dei rapporti dello Stato colla Chiesa; e che la più grande follia è quella di non far nulla per migliorarli e fare anzi di tutto per renderli peggiori. Se nel Consiglio di Stato da alcuni anni si è notato un maggior riguardo verso i diritti degli enti ecclesiastici e del Clero, è notorio che lo si deve in parte all'influenza sua».
«...Aveva una profonda simpatia per gli uomini che la professano (la religione) e una profonda diffidenza per gli uomini che la combattono. Il suo sogno sarebbe stato la cessazione del dissidio che travaglia l' Italia. Così favoriva tutto ciò che gli paresse politica equa e mite verso la Chiesa, tutto ciò che potesse contrariare i progetti dell'anticlericalismo».

«Ma in queste influenze... sui suoi colleghi del Senato egli si dette un eccellente compito, e fu quello di combattere quanto poteva i tentativi di legislazione massonica. Il progetto anticlericale di precedenza del matrimonio civile lo ebbe avversario efficacissimo».
«...Anche in seno ad esso (Consiglio di Stato) Saredo aveva combattuto l'anticlericalismo e spesso con grande efficacia; come nel far rendere alcune giustizie ad enti ecclesiastici; come nell'aver ottenuto che, colla relazione del Bonfadini, il catechismo nelle scuole fosse dichiarato parte non abrogata della legge Casati».

«...L'ultimo suo atto pubblico, che tutti i giornali nostri riferirono, fu quel brano d'una sua prefazione (è la prefazione al Codice della beneficenza) in cui combattendo l'esclusione del clero dalle congregazioni di carità, voluta dalle leggi sulle opere pie, dichiarava necessario tornarci sopra, e ristabilire la provvida ingerenza sacerdotale nelle istituzioni pubbliche di carità».

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NOTE
1) Vedi Saredo: «Principi di diritto costituzionale» vol. IV p. 216.
2) Degno di menzione è il tratto di Saredo, con cui disapprovò il Consiglio di disciplina degli avvocati di Parigi, che nel 13 Marzo 1831, aveva respinta
    la domanda del Padre Lacordaire desideroso d'essere iscritto nell'ordine degli avvocati. Vedi la rivista «La Legge» anno 1871, p. 887.
3) Gli articoli furono pubblicati nel giornale «Il Cittadino» di Genova: uno alla nomina di Saredo a presidente del Consiglio di Stato, nel Gennaio 1898

    e gii altri due alla di lui morte avvenuta il 29 Dicembre 1902.
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SAREDO PER I PADRI SCOLOPI

A circa un mese di distanza dalla morte di Giuseppe Saredo, dal marchese dott. Giovanni Assereto, presidente del Comitato prò valico Savona-Sassello-Acqui, veniva letta, in seno al comitato stesso, una commemorazione dell'insigne uomo di Stato, nella quale dopo essere stati ricordati i modesti natali dell'estinto e gli innumeri benefici che ricevette dai rev. Padri Scolopi, si diceva:
«E' questo il racconto, (quello dei benefici ricevuti) che quale tributo di gratitudine, io ebbi a sentire dalla bocca stessa del Saredo venuto a salutare il Sindaco di Savona, or sono pochi anni. E con quella bonarietà che era tutta caratteristica sua soggiungeva: vedete, ogni qualvolta vengo da queste parti mi credo in dovere di salutare i miei Vecchi Padri Scolopi, sia a Carcare (1) che a Savona, poiché mai dimenticherò la riconoscenza che loro devo». (2)
Ai motivi che lo sospingevano a tanta riconoscenza accennai già abbastanza diffusamente, come il lettore rammenterà, nel primo capitolo di questo volume, (3) per cui non ne riparlerò qui, ove mi propongo di prospettare in nitida luce un altro dei titoli gloriosi e meriti di Saredo verso la religione cattolica.
 

Più che amore, Saredo nutrì per gli Scolopi una vera venerazione, che, presentandosi l'occasione, non nascose mai ad alcuno in nessun tempo della sua lunga esistenza, nemmeno quando visse a fianco di arrabbiati anticlericali, frequentò circoli di nemici della Chiesa e collaborò sui loro giornali.
 

Sua Ecc. Boselli discorrendomi di questo periodo dell'attività sarediana, mi affermò di sapere in modo assoluto che Saredo rispettò e si sforzò sempre di far rispettare i figli del Calasanzio. Per lui l'amarli, stimarli e farli rispettare era un dovere.
 

Pietro Sbarbaro
Savona 1838 - Roma 1893 Pubblicista. Dopo aver compiuto gli studi umanistici a Pavia ed aver collaborato con diverse riviste ottenne nel 1865 la cattedra di economia politica all’università di Modena. Nel 1868 pubblicò Degli operai nel secolo XIX e nel 1870 venne sospeso dall’insegnamento per aver preso le difese di due studenti socialisti, polemizzando contro il ministro della Pubblica Istruzione. Spirito polemico fondò il giornale Le forche caudine dalle cui colonne si scagliò contro il malcostume e la corruzione della classe politica, specie durante lo scandalo della Banca romana.

In ciò, del resto, conta competitori illustri e non pochi, tra coloro che frequentarono le Scuole Pie di Savona, primi fra tutti lo stesso on. Boselli, che in ripetutissime circostanze significò, con parole e con scritti, la sua alta stima per i Padri Scolopi ed il loro collegio di Savona; il filosofo prof.
          Goya - S.Giuseppe Calasanzio          
Pietro Sbarbaro che tra la colluvie delle sue pagine, mordaci, caustiche, maciullataci di uomini, di istituzioni e di cose, ha vere oasi di sviscerato elogio e d'apoteosi degli Scolopi; il sen. Tancredi Galimberti, ex ministro delle Poste, il quale ancora pochi anni fa, cioè più di mezzo secolo dopo aver fatti gli studi alle Scuole Pie savonesi, scrisse che fu in queste ove egli apprese ad amare la patria: «...fu quella la prima volta - così egli - che compresi come oltre l'adorata mia mamma, io avessi una madre più eccelsa, che dovevo amare e servire più ancora devotamente, la Patria». (4)
 

Recatomi poi io nell'estate del 1929, dallo stesso senatore Galimberti per chiedergli notizie di Saredo, di cui fu allievo ed amico, dopo una lunga e cordiale conversazione in cui si parlò anche dei PP. Scolopi, mi mostrò, con evidente compiacenza, come in pegno del suo continuo attaccamento verso di essi, tenesse sempre appeso ad una parete dello studio il ritratto del Padre Giuseppe Mallarini, che nelle Scuole Pie gli fu rettore amatissimo ed indimenticabile.
 

Quanto Saredo amasse gli Scolopi e fosse pronto a testimoniare loro anche pubblicamente la sua gratitudine e stima appare pure da questo episodio narratomi da S. Em. il Cardinale Mistrangelo.

Trovandosi un giorno questi - allora non ancora Cardinale, ma già Arcivescovo di Firenze - nella casa di Saredo in via Modena, a Roma, assieme ad alcuni deputati, senatori e ministri ed avendo ammirato la ricca e interessante biblioteca, esistente nel salone ov'erano riuniti, Saredo rispose: «Se posseggo una sì bella biblioteca lo debbo ai Rev. Padri Scolopi, che m'invogliarono agli studi e non mi furono scarsi di aiuti».
 

Nè s'appagò di ricambiare con soli complimenti e parole le cure e favori che gli erano stati largiti in sua gioventù dai discepoli del Calasanzio.

Quando Saredo amministrava, qual Regio Commissario, il Comune di Napoli, gli si presentò il P. Gisoldi, provinciale degli Scolopi di quella regione, esponendogli la questione della Chiesa di S. Carlo all' Arena, ch'era stata chiusa al culto e che gli Scolopi desideravano far riaprire ed ufficiare.

Ascoltate e ponderate le ragioni, il Regio Commissario congedò affabilmente il Padre con queste parole «Se la volete... e se posso...».
Non trascorse gran tempo che il Comune restituì la Chiesa al culto ed agli Scolopi.
 

Un altro tratto della benevolenza di Saredo verso l' Ordine dei suoi cari Padri si vide nell'opera prestata in prò del Collegio Nazareno di Roma. Questo Collegio, retto dagli Scolopi, aveva ottenuto dal ministro Bacelli il pareggio cogli istituti statali. Qualche tempo dopo, essendo ministro Coppino, si tentò di ritorglierglielo, ma per l'opportuno intervento e la grande influenza di Saredo il pareggio restò.
 

Potrei riferire qui ancora dell'interessamento di lui per la nuova convenzione fra il Comune di Savona ed i Padri Scolopi, relativa ai locali e scuole ginnasiali di Monturbano, ma ne riparlerò nel capitolo «Saredo e la sua città».

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NOTE
1) Nel Collegio di Carcare, circa 20 km. da Savona, Saredo non frequentò corsi di studio: ma là dovevano trovarsi suoi antichi maestri od altri padri conosciuti a Savona.
2) La Commemorazione fu letta dal March, dott. Giovanni Assereto, padre del primo ed attuale Podestà di Savona, il 15 Febbraio 1903 e fu pubblicato in volumetto

    dalla Tip. Nazionale di Savona.

    Che Saredo si recasse di fatto ogni qualvolta che arrivava a Savona, a visitare i Padri Scolopi finche vi rimasero suoi antichi superiori e maestri, me lo confermò tra

    gli altri il venerando Padre Luigi Del Buono, il quale mi disse inoltre che coprendo egli nel 1901 la carica di Provinciale ed avendo invitato a pranzo il Saredo, questi

    accettò e durante il desinare ricordò volentieri i giorni della sua vita di studente in quel collegio, indicando più d'una volta con segni di visibile gratitudine il poco ove

    tante volte, aveva ricevuto la colazione dai buoni Padri.
3) Vedi pagg. 6, 7, 9 ed altre.
4) L'on. Galimbeti narra in questo scritto la commoventissima scena di dolore e di amor patrio svoltasi nel collegio, colla partecipazione di tutti i superiori, all'annunzio

    della disfatta di Lissa.

    Vedi il Numero unico pubblicato nel 1922 per il «Terzo Centenario della fondazione del Real Collegio delle Scuole Pie di Savona» p. 67.
    Il lettore che desiderasse vedere con quanta devozione Sbarbaro scriva degli Scolopi può leggere ad esempio, l'articolo «Un Santo Maestro» pubblicato nel giornale

    «Il libero edificare» del 7 Giugno 1891.
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L' EXEQUATUR A MONS. MISTRANGELO
 

Fatto degnissimo di rilievo e che proietta un roseo sprazzo di luce sui sinceri vincoli di affetto del nostro personaggio verso gli Scolopi è quello concernente l' exequatur a Mons. Mistrangelo in seguito alla sua nomina ad Arcivescovo della metropoli toscana.
 

Questa nomina, che destò lieto entusiasmo nell'animo dei migliori fiorentini, di coloro specialmente che avevano già inteso notizia dei frutti di bene compiuti da Mons. Mistrangelo fra le popolazioni pontremolesi, venne invece accolta malamente da spiriti maligni e settari, che macchinarono tosto contro di essa, speranzosi di ostacolarla e farla fallire.

Un giorno infatti il degnissimo Prelato - me lo confidò egli stesso - ricevette da Roma una lettera, colla quale lo si avvertiva delle nere arti, che s'adopravano contro di lui coll'accusarlo come irreducibile intransigente e nemico della Casa Savoia, per fargli negare la concessione del nuovo exequatur.


La lettera era dell'amico e concittadino Giuseppe Saredo, Presidente allora del Consiglio di Stato, il quale, dopo aver deplorate le accuse, invitava il novello Arcivescovo a recarsi alla Capitale per sventare le subdole arti e giustificarsi innanzi al Governo.

Al Ministero di Grazia e Giustizia sedeva in quel tempo l'on Bonasi, uomo retto e di idee moderate.

Giunto a Roma, Mons. Mistrangelo trovò in Saredo tutta la bontà ed aiuti, che si possono sperare
 Card. Alfonso Mistrangelo  dall'amico più fedele e cordiale, perchè Saredo si offerse a fargli da intermediario presso il Ministro, riuscendo, in breve, a metterli a colloquio e a far appianare ogni cosa.
 

Per il colloquio si scelse l'abitazione dello stesso Saredo, perchè come il Ministro Bonasi non credette opportuno recarsi al Collegio Nazareno, ove l' Arcivescovo aveva preso dimora, così non ritenne prudente che questi si facesse vedere negli ambienti del Ministero.
 

Dalla conversazione chiara ed esauriente, cui parteciparono, oltre Bonasi e Mistrangelo, anche Boselli (allora ministro del Tesoro) e Saredo, potè il Bonasi convincersi facilmente dell'ingiustizia delle accuse lanciate contro il dotto e zelante figlio del Calasanzio e, non tenendo più conto di esse, ordinò che si desse libero corso alla pratica dell' exequatur il 17 Dicembre 1899 il Mistrangelo prese solennemente possesso della sua nuova Sede Arcivescovile.
 

Si narra, a proposito di ciò, che il Pontefice Leone XIII appreso il felice esito della cosa e riflettendo che, per opera dello stesso Saredo, anche Savona, nell'anno precedente, era riuscita ad avere il suo Vescovo, abbia esclamato:
«In Italia fa più vescovi Saredo che la Santa Sede». (1)
 

Il premuroso e valido appoggio di Saredo per l' exequatur a Mons. Mistrangelo non è l'ultimo benevolo atto che si potrebbe citare fra i molti da lui compiuti verso i Padri Scolopi.

Il rev. Padre Luigi Del Buono, già noto ai lettori, mi assicurò che ogni qualvolta essi si rivolsero per favori a Saredo, vennero sempre esauditi; e poterono ricorrervi fino agli ultimi tempi che visse, perchè le amichevoli relazioni tra essi ed il grande uomo di Stato non si sciolsero che colla di lui morte.

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NOTE
1) Dal «Memoriale» della March. Marieni.

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I PADRI SCOLOPI PER SAREDO
 

E qui parmi opportuno registrare, almeno di sfuggita, che anche i PP. Scolopi coglievano volentieri le occasioni di mostrare la loro deferenza

ed amore all'antico collegiale e grandissimo amico, ricevendolo festosamente nelle loro case, felicitandosi con lui ad ogni ascesa che faceva nella brillante carriera, rallegrandosi nelle sue gioie e dolendosi nelle sue amarezze; e due di essi, il P. Escrio e Del Buono, sapendo di fargli cosa assai grata, quantunque non avessero cura d'anime, si recarono a visitare ed assistergli affettuosamente il vecchio genitore languente sul letto di morte.


Ed il Superiore Generale dell' Ordine, il famoso letterato P. Mauro Ricci, il 28 Maggio 1897 «honoris gratique animi causa» partecipava a Giuseppe Saredo di averlo iscritto nell'albo di coloro che «amore et beneficiis de Ordine nostro optime meruerunt» avvertendolo inoltre che per tale iscrizione avrebbe goduto, sia in vita che dopo morte, del frutto delle preghiere, opere buone e Messe di tutti i figli del Calasanzio. (1)

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NOTE
1) La lettera del P. Mauro Ricci è gelosamente conservata dalla Marchesa Marieni.

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FEDE NON SPENTA
 

Se per lunghissimi anni Saredo non die segno di praticare i doveri religiosi; se professò ed insegnò dottrine contrarie alle verità cattoliche, se ebbe momenti di ribellione a decreti della Sede Apostolica e se parve talora che dubitasse perfino d'una vita futura, pure nell'animo suo il problema religioso occupò sempre un posto eminente.
 

Nei suoi scritti parla spesso di Dio riconoscendolo «creatore dell'uomo e del mondo» Colui «che ha dato la legge del progresso dell'uomo» «creatore degli astri e dell'ordine del firmamento»; (1) ammette che il nobile ingegno della sua Luisa fu un dono di Dio; (2) e nomina Iddio in non poche delle poesie a lei indirizzate.
 

Proclamò che il problema religioso è uno di quelli che maggiormente interessano l'umana esistenza e che il Cristianesimo è la somma di credenze che più risponde ai bisogni del nostro spirito assetato di luce. «La superiorità della religione cristiana - egli scrisse - considerata filosoficamente, sopra tutte le altre consiste in ciò: essa presenta all'uomo la soluzione più bella, più universale, più progressiva che si sia conosciuta prima di lei del problema che lo preoccupa: essa appaga meglio di ogni altra religione il bisogno di ideale che prova lo spirito umano». (3)
 

Sentì e seguì, nonostante che un tempo si fosse dichiarato favorevole alla separazione della Chiesa dallo Stato, un nobile impulso a lavorare per l'avvicinamento dei due grandi poteri e s'industriò attivamente a tal uopo a studiare ed a preparare la soluzione della questione romana, che augurava e intravvedeva come uno dei massimi benefici all' Italia.
 

E, trattando dei doveri dello Stato verso la religione, andò ancora più oltre, affermando: «Chi disse: lo Stato è ateo: quegli ha pronunziato la più stolta bestemmia, ha dato un violento crollo alle tre basi sulle quali si poggia l'edificio sociale: la religione, la famiglia, la proprietà». (1)

In lui la fiamma della fede non era spenta, ma sonnecchiava sotto la cenere, assopita in fondo al cuore. E talora si ridestò, e fu specialmente allorché ripensando agli amatissimi genitori defunti si commoveva e faceva celebrare Messe in loro suffragio. Elogiando la pietà filiale che spingeva anche Giovanni Pascoli a far celebrar Messe per i suoi cari defunti, il prof. Giulio Foddai commentava: «Quando si compiono atti simili vuol dire che in fondo all'anima v'è qualcosa che oltrepassa il sentimento: v'è la fede». (2)
 

E la fede di Saredo risorse sopratutto nelle ore in cui egli s'appressava a morire. Egli accolse il Ministro di Dio come l'amico più caro, ne ascoltò con tenerezza le parole di vita confidandosi a lui totalmente come un ingenuo e innocente fanciullo, lo ringraziò dei conforti religiosi recatigli e spirò fiducioso nell'amplesso della misericordia divina.

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NOTE
1) Vedi Saredo: «Du principe des alliances internationales» e «Principi di diritto costituzionale» in numerosi punti.
2) Vedi Saredo, prefazione ai «Principi di diritto costituzionale».
3) Vedi Idem vol. III p. 92.
4) Vedi Saredo: «Solaro de la Margarita» p. 21
5) Il Foddai scriveva nel giornale savonese «Il Letimbro» del 1 Giugno 1929 «Sei anni fa il Superiore dei Cappuccini di Barga, che conobbe il poeta e più volte parlò con lui, ebbe

    la cortesia di scrivermi... che un giorno Giovanni Pascoli, parlando insieme di religione, con le lacrime agli occhi, gli diede l'elemosina di tre Messe per i suoi poveri morti».
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FONTI e LINKS di approfondimento

 

 

1.  GIUSEPPE SAREDO - BIOGRAFIA

2.  L'INSEGNAMENTO SCOLASTICO E UNIVERSITARIO
 

3.  IL CREDO POLITICO - SAREDO LIBERALE E MONARCHICO
 

4. TEORIE FILOSOFICHE E RELIGIONE

 

5. L'INFUENZA POLITICA E  LA QUESTIONE ROMANA

6. IL COMMISSARIAMENTO E L'INCHIESTA DI NAPOLI

 

7. SCHEDE DEI LICEI DI SAVONA


 

 

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